di Elisabetta Corasaniti
Nell’Italia governata dal nazionalpopulismo, e più in generale in parte dell’Occidente, viviamo una fase di profonda regressione in cui governi di estrema destra sposano l’integralismo cattolico, e la democrazia illiberale prende il sopravvento sui diritti e le libertà.
A quarant’anni di distanza dall’approvazione della L. 194, Forza Nuova la definisce ‘’strage di stato’’ e, tra cartelloni allarmistici (a suon di: abortiamo la 194) e mozioni per finanziare i gruppi pro-vita, mi viene da pensare quanto sarebbe stata rischiosa la sua approvazione se fosse stata discussa oggi.
E’ desolante notare come l’aborto si porti ancora dietro un giudizio negativo, un riprovevole isolamento a cui sono costrette moltissime donne alle prese con la scelta più difficile: la maternità.
Eppure, gli unici custodi della 194 sono le donne con il loro imprescindibile diritto a decidere liberamente del proprio corpo, in ordine alla sessualità e alla procreazione.
Prima della grande stagione dei diritti civili, l’aborto era ancora vincolato alle leggi fasciste (in un periodo in cui le ‘donne della nazione’ erano sotto il controllo del patriarcato) che lo inserivano fra i delitti “contro l’integrità e la sanità della stirpe”.
Gambi di prezzemolo e ferri da maglia
Eppure, che fosse legale o meno, le donne intenzionate ad abortire lo facevano comunque, per disperazione, con i metodi poco ortodossi a loro disposizione, rivolgendosi a mammane, che molto spesso non potevano salvar loro la vita.
Erano segreti di gambi di prezzemolo e ferri da maglia che si tramandavano nella vergogna di un silenzio omertoso. Luoghi svelati solo dal passaparola.
Bugigattoli bui, popolati dalle sole ‘’donne che aiutano le donne’’, senza competenze o possibilità di rimediare a errori fatali. Si moriva così, in una stanza fredda. Nella migliore delle ipotesi si riusciva a correre in ospedale: si sussurrava di aver avuto un aborto spontaneo e si subiva il peso dello ‘’stigma sociale’’.
Era quindi imperativo trovare una soluzione.
Con la sentenza 27/1975 della Corte Costituzionale viene sancita una insindacabile certezza: “ Non esiste equivalenza tra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio dichi è già persona, come la madre, e la salvaguardia del- l’embrione, che persona deve ancora diventare”.
Ergo, anche prima del 1978, la giurisprudenza riconduceva nell’ambito della liceità le ipotesi in cui l’interruzione della gravidanza veniva posta in essere al fine di salvare la vita o la salute della donna.
Il quadro del bene giuridico tutelato dalla L 194 è composito: libertà di autodeterminazione, diritto alla salute fisica e psichica delle donne. Come la stessa legge 194 recita, non si tratta di un mezzo di controllo sulle nascite.
Lo Stato garantisce il diritto alla “procreazione cosciente e responsabile”. L’interruzione volontaria di gravidanza non è un gioco in mano ad avventate disperate, per questo la legge prevede che l’aborto avvenga in strutture pubbliche in modo gratuito e sicuro. In particolare, la normativa contempla una particolare procedura per offrire il necessario sostegno sia psicologico che medico, per permettere una maternità che sia il più possibile cosciente e responsabile e quindi realmente voluta e non casuale.
I muri invalicabili
La legge 194 tutela anche il diritto dei medici a non eseguire la prestazione: è l’obiezione di coscienza. Nel 2018, in Italia, non si contano i casi di donne che hanno dovuto cambiare anche più di venti ospedali prima di trovare un medico non obiettore, o che sono state costrette a spostarsi in altre regioni o addirittura all’este- ro. L’articolo 9 è un limite invalicabile della legge.
In tal modo, viene compromessa pesantemente la reale applicazione della legge stessa e quindi la possibilità per le donne di accedere a un servizio che dovrebbe essere loro garantito, ma che fa continuamente i conti con tassi di obiettori di coscienza che, in alcune zone, superano il 90 percento.
Accade, per di più, che il personale medico non obiettore viene spesso relegato allo svolgimento esclusivo di IVG (interruzioni volontarie di gravidanza).
I consultori non sono e non sono mai stati quei fondamentali presidi (per la prevenzione dell’aborto e per le IVG) previsti dalla legge: essi sono depauperati quanto a struttura, a servizi e a personale.
A tutto ciò, si aggiungono la resistenza e la diffidenza nei confronti della Ru-486, oltre alla sua difficile reperibilità. Irreperibilità irresponsabile visto che gli aborti terapeutici possono avvenire entro le prime 9 settimane di gravidanza. Solo una bassa percentuale di ospedali usa la RU-486 perché la legge italiana, unica in Europa, richiede un costoso ricovero di tre giorni.
La cultura integralista la demonizza come uno strumento per la ‘banalizzazione’ dell’aborto. Una demonizzazione senza senso, considerato che le conseguenze fisiche e psicologiche che vive la donna che interrompe una gravidanza non sono mai ‘’banali’’.
A 40 anni dall’approvazione di quella legge è ancora necessario parlare di aborto: finché ci saranno questi muri invalicabili, finché la Repubblica non “rimuoverà gli ostacoli economici e sociali che limitano di fatto la libertà’’ della donna.
Sostenere realmente la madre, per proteggerne i figli
Perché la vita sessuale delle donne, la loro sfera riproduttiva è costantemente sotto sorveglianza? La donna deve stare attenta a non rimanere incinta, o a rimanerci entro parametri ben delineati. La donna non deve vestirsi troppo succinta per non essere stuprata. Anche le ambizioni professionali devono essere modulate sulla base del proprio corso biologico-riproduttivo.
La nostra società, ora più di allora, non sostiene realmente né le donne, né i bambini e le bambine che nascono.
Perché, sia chiaro, solo sostenendo realmente la madre, lo stato proteggerà i suoi figli. I figli dell’errore o della costrizione, o di una madre che aveva un altro progetto di vita sono destinati ad una sopravvivenza peggiore, fatta di sensi di colpa e di felicità già compromessa.
A chi vuole colpevolizzare le donne, a chi vuole trattarle come irresponsabili e assassine, rispondo: ogni donna che è potenziale madre (e sottolineo potenziale) ben conosce il dramma e il dolore di una gravidanza indesiderata, la sofferenza intima dovuta alle difficoltà sociali ed economiche (anche solo per la scelta fra lavoro e maternità).
La libertà di scelta e di autodeterminazione deve essere tutelata senza pregiudizio o perbenismo anche per gli “incidenti di percorso”.
La libertà è come l’aria. Ci si accorge quanto vale quando comincia a mancare. Ricordatevi, ogni giorno, che sulla libertà bisogna vigilare. (Piero Calamandrei)