di Carlo Fusaro
1-Con gli americani, in generale, ci vogliamo bene e ci stiamo abbastanza simpatici. Sappiamo come sono nati gli Stati Uniti d’America, sappiamo bene come ben due volte nel secolo scorso sono intervenuti in Europa a dar mano alle democrazie. Ma siamo diversi, molto diversi. Proprio in ragione di quella storia e delle diverse sfide che abbiamo dovuto affrontare e le diverse esperienze buone e cattive che abbiamo fatto. E soprattutto di come abbiamo costruito la nostra vita collettiva.
2-La grande e principale differenza sta nel rapporto radicalmente diverso fra cittadino e pubbliche autorità (dei vari livelli di governo). Sta nel cosiddetto «modello di vita». Noi europei e massimamente noi europei dell’Unione – chi più chi meno, chi con buona efficienza chi in modo più approssimativo e talvolta scalcagnato, noi tutti crediamo che le persone debbano poter contare dalla culla alla tomba sul sostegno, se necessario (e a volte anche se e quando necessario non sarebbe) della collettività. Crediamo nell’inclusione, crediamo nel (come si usa dire) «non lasciare indietro nessuno»… Gli americani che son figli della conquista del West (o comunque si considerano tali) credono molto di più nella responsabilità individuale spinta fino al «te la devi cavare da te, peggio er te se non ci riesci».
3-I dati sul rapporto fra tasse pagate dai cittadini (e dalle imprese) e PIL – più di qualsiasi discorso – fanno capire come stanno le cose. Su 191 paesi, TUTTI i paesi UE stanno sopra gli Stati Uniti e non di poco (fa eccezione l’Irlanda che è un caso a parte per la presenza di grandi multinazionali americane che ne gonfiano il PIL). Il primo paese al mondo è la Danimarca (48% del PIL intermediato dal settore pubblico, rispetto al PIL). La Francia è seconda, l’Italia sesta (43%). Sui primi 10 paesi al mondo 8 sono UE, il nono è la Norvegia. Sui primi 20 al mondo 15 sono UE e 19 sono europei. A parte l’irrilevante Nauru (11.000 abitanti, un quarto di San Marino), per trovare un paese non europeo occorre aspettare al 21esimo posto la Nuova Zelanda (37%). Il Canada sta al 30esimo posto (33%). Gli USA al 59esimo col 27% (poco più della metà dei primi 10 paesi dell’UE). Serve altro?
4-Per questo in America quando nasce un bambino i genitori, se possono, cominciano a mettere da parte i soldi per il college. Per questo non c’è un sistema sanitario nazionale. Per questo il celebre Obamacare serve ai fragili (minori, anziani) ed è comunque fondato su assicurazioni private. Per questo non c’è neppure un sistema pensionistico pubblico (le persone si fanno l’assicurazione da sé, durante la vita di lavoro, sempre se possono). Eccetera.
5-Per tutti i decenni dopo la seconda guerra mondiale gli interessi nostri e quelli degli Stati Uniti sono andati di pari passo. Mai stati identici, ma erano largamente coincidenti. E unificati da un sistema di valori (diritti umani, multilateralismo, superamento del colonialismo). Certamente la fine dell’Unione sovietica sembrava aver rotto quella solidarietà anti cortina di ferro che si era stabilita alla fine anni Quaranta. E ancor di più l’avvento di attori formidabili come la Cina, insieme al grande successo (grande, successo) dell’UE ha via via messo in evidenza interessi in diversi campi diversi. E’ vero, come si dice, che già con Obama e perfino con Biden lo spostamento di focus degli USA verso il Pacifico si era manifestato. Ma mai al punto da mettere in dubbio che fra europei e americani, pur nella diversità di modelli di vita e nella non omogeneità degli interessi, i punti in comune (interessi, valori) fossero comunque assai prevalenti.
6-Con la seconda elezione di Trump tutto è effettivamente cambiato. Certamente per questi quattro anni, forse di più se gli elettori americani non si renderanno conto in che guai si sono cacciati e hanno cacciato una buona parte del mondo. Per uno della mia generazione, che il Dipartimento di stato portava a visitare il muro che non separava solo Berlino Ovest da Berlino Est ma scorreva per centinaia e centinaia di chilometri per tutta la frontiera fra DDR e Germania Ovest, fra cavalli di frisia, torrette di guarda ogni due chilometri, truppe con i mitra spianati (soprattutto contro chi volesse eventualmente uscire dall’Europa sotto controllo sovietico), immaginare che un’amministrazione americana si allei di fatto con la Russia di Putin (erede conclamato dell’Urss e dell’Impero zarista) contro un paese europeo così platealmente invaso e occupato, contro l’Europa e l’Unione europea, nonché contro una serie di singoli stati sovrani (Canada, Danimarca, Messico, Panama in ordine alfabetico) va al di là della fantapolitica.
7-E’ a questo che siamo chiamati ora a reagire, con compostezza ma determinazione. Sapendo che fra le principali ragioni per cui Trump e i suoi scherani (a partire dall’inverosimile JD Vance) ce l’hanno con noi, c’è proprio l’incapacità di accettare il nostro modello di vita nel momento in cui essi esaltano ossessivamente la specificità del modello di vita americano tipo vecchio conquista del West, fondato sulla legge del più forte. Non a caso hanno anche il Canada nel mirino (anche se come modello sociale sta a metà strada).
8-Allora difendere il modello di vita europeo con la sua inclusività, con la sua solidarietà sociale, con il sostegno a chi ne ha bisogno, impone di fronteggiare chi in forme più o meno dirette, in forme più o meno violente e brutali, vuole in realtà farcelo radicalmente cambiare. In altre parole la sovranità dell’Europa vuol dire difesa del modello sociale europeo, messa in sicurezza del nostro modo di vivere con chi, si chiami Putin o si chiami Trump lo mette a repentaglio brutalmente.
9-Accade così che un intellettuale come Jurgen Habermas si pronunci sostanzialmente a favore del riarmo europeo, pur se – giustamente – spinge per una difesa europea affidata domani all’Unione più che ai singoli Stati: anche perché, com’è evidente a tutti, c’è sempre una questione tedesca di cui tenere conto. Ma hic rodus hic salta. In realtà non si può che procedere sui due piani: dei singoli stati, del coordinamento e poi della difesa europea (nel quadro Nato finché politicamente e militarmente possibile). E non si piagnucoli sulle risorse e i sacrifici: paesi europei (a partire dall’Italia) molto più poveri, per decenni ebbero spesa militare doppia o tripla di quella attuale, pur costruendo nel contempo lo stato sociale. Certo: allora i tassi di crescita erano altri.
Ma proprio per questo occorre darsi tutti una mossa, a partire dal superamento di certi eccessi di spesa pubblica (anche sociale) e di troppo rigida applicazione del principio di precauzione nei vari ambiti. Come la Costituzione, anche lo stato sociale, si difende riformandolo e recuperando decenti tassi di sviluppo, costi quel che costi: sicurezza e modello sociale vanno di pari passo come non mai.
Presidente del Comitato scientifico di Libertà Eguale. Già professore ordinario di Diritto elettorale e parlamentare nell’Università di Firenze e già direttore del Dipartimento di diritto pubblico. Ha insegnato nell’Università di Pisa ed è stato “visiting professor” presso le università di Brema, Hiroshima e University College London. Presidente di Intercultura ONLUS dal 2004 al 2007, trustee di AFS IP dal 2007 al 2013; presidente della corte costituzionale di San
Marino dal 2014 al 2016; deputato al Parlamento italiano per il Partito repubblicano (1983-1984).