di Alfonso Pascale
Il problema sollevato da alcune modifiche apportate dal Senato al disegno di legge sull’agricoltura biologica, che ora torna alla Camera, non è tanto quello riferito ai contenuti dei disciplinari di taluni marchi biodinamici, ma il carattere discriminatorio della norma introdotta.
Recita, infatti, l’art. 1, comma 3, del Ddl 988: “Ai fini della presente legge, i metodi di produzione basati su preparati e specifici disciplinari applicati nel rispetto delle disposizioni dei regolamenti dell’Unione europea e delle norme nazionali in materia di agricoltura biologica sono equiparati al metodo di agricoltura biologica. Sono a tal fine equiparati il metodo dell’agricoltura biodinamica ed i metodi che, avendone fatta richiesta secondo le procedure fissate dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali con apposito decreto, prevedano il rispetto delle disposizioni di cui al primo periodo”.
La confusione tra aspetti scientifici, politici e giuridici è generata dall’espressione “sono equiparati”. In realtà, l’agricoltura biologica è cosa ben diversa dall’agricoltura biodinamica. L’agricoltura biologica è disciplinata da regole approvate e aggiornate dall’Unione europea, mentre quella esclusivamente biodinamica, che non sia anche biologica, non è soggetta alle stesse norme.
Il principale ente che riconosce e attesta quali sono i prodotti biodinamici è la multinazionale tedesca “Demeter”, che esiste da cento anni ed è preesistente anche all’industria del biologico, nata un’ottantina d’anni fa. “Demeter” non è una certificazione ufficiale regolamentata a livello europeo come quella del biologico, ma un marchio privato commerciale. Nel tempo sono nati altri marchi privati, come, ad esempio, “Agri.Bio.Dinamica” e “Verdea” di proprietà di un consorzio cooperativo operante nel comparto ortofrutticolo.
Ma nei fatti, l’agricoltura biodinamica è un settore indefinito. Chiunque, in Europa, può dire di aver prodotto un alimento secondo il proprio metodo biodinamico. “Demeter” ha potuto registrare solo in USA il termine “biodinamico” per la produzione di alimenti. Non è riuscita a farlo in Unione europea perché il marchio “biodinamico” è stato registrato preventivamente da un’azienda spagnola che produce materiali per la cura dei denti.
Dove nascono le ragioni delle pressioni, se ve ne sono, per ottenere l’inserimento del biodinamico in una legge che regolamenta l’agricoltura biologica? Intanto, i gruppi di produttori biodinamici eserciterebbero una prelazione mediatica. Direbbero ai consumatori: “Vedete, lo Stato ci prende esplicitamente in considerazione, vuol dire che valiamo più di altri”. Prepariamoci alle campagne pubblicitarie: “Biodinamico = Biologico. Lo dice la legge”.
Ma il beneficio più consistente per i “biodinamici” è ottenere un posto dedicato, in aggiunta al rappresentante del settore, al Tavolo tecnico che stabilisce i criteri di attuazione delle norme generali. L’art. 5 del Ddl 988 prevede, infatti, tra i partecipanti al Tavolo tecnico per la produzione biologica, “un rappresentante per ciascuna delle associazioni maggiormente rappresentative nell’ambito della produzione biologica e da un rappresentante delle associazioni maggiormente rappresentative nell’ambito della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biodinamico”. Non è facile ravvisare il criterio secondo cui si dedica un rappresentante alle associazioni maggiormente rappresentative di un metodo indefinito soprattutto dopo che sia stata fatta una equiparazione tra queste e il metodo biologico.
E ancora più importante è il privilegio accordato all’agricoltura biodinamica all’art. 9 del ddl 988, laddove si parla del “piano nazionale per le sementi biologiche finalizzato ad aumentare la disponibilità delle sementi stesse per le aziende e a migliorarne l’aspetto quantitativo e qualitativo con riferimento a varietà adatte all’agricoltura biologica e biodinamica”. Piano da finanziare con le risorse del Fondo previsto dal successivo art. 9.
Com’è facile comprendere, ci troviamo dinanzi a norme fortemente discriminatorie, come ha dichiarato il prof. Sergio Saia dell’Università di Pisa. I cosiddetti “metodi di produzione basati su preparati e specifici disciplinari applicati nel rispetto delle disposizioni dei regolamenti dell’Unione europea e delle norme nazionali in materia di agricoltura biologica” sono tanti. Basterebbe dare un’occhiata ai testi di cucina religiosa per rendersi conto della diversità culturale con implicazioni anche riguardo ai metodi produttivi. E altre varietà produttive potrebbero nascere nel tempo. Che senso ha accordare una posizione di vantaggio solo all’agricoltura biodinamica, la quale non è definita da alcuna norma europea o nazionale?
In ultimo e non per ordine di importanza, bisogna riflettere sul problema culturale che il “biodinamico” pone in riferimento alle sue origini esoteriche ed occultistiche. Un movimento mondiale che fa capo all’insegnamento di Rudolf Steiner e che nega i principi di verifica sperimentale e di ripetibilità del dato come richiesto dal metodo scientifico. I suoi rappresentanti dichiarano che questo punto del loro credo è superato? Lo dimostrino nei fatti, aprendosi al confronto con la comunità scientifica. Tali dimostrazioni, benché esplicitamente richieste dai prof. Pellegrino Conte, prof. Enrico Bucci e dr. Donatello Sandroni e diversi altri professori universitari e ricercatori, sia italiani, sia esteri, non è mai avvenuto.
Di qui le preoccupazioni delle istituzioni di scienze agrarie che hanno il dovere di indicare e preservare il confine tra scienza e pseudoscienza e che hanno mostrato, in solido, di avere molte remore e preoccupazioni circa l’attuale impostazione del Ddl 988.
Presidente del CeSLAM (Centro Sviluppo Locale in Ambiti Metropolitani). Dopo una lunga esperienza di direzione nelle organizzazioni di rappresentanza dell’agricoltura, nel 2005 ha promosso l’associazione “Rete Fattorie Sociali” di cui è stato presidente fino al 2011. Docente del Master in Agricoltura Sociale presso l’Università di Roma Tor Vergata, si occupa di sviluppo locale e innovazione sociale. Collabora con istituzioni di ricerca socioeconomica e di formazione e con riviste specializzate. Ultima pubblicazione: CYBER PROPAGANDA. Ovvero la promozione nell’era dei social (Edizioni Olio Officina, 2019).