di Giovanni Cominelli
Dando seguito all’accordo tra Governo e Regioni, siglato dal governo Gentiloni il 28 febbraio 2018, il 15 febbraio di quest’anno si dovrebbero firmare delle Intese tra il Governo e le Regioni Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna, che consentirebbero alle tre Regioni di trattenere una quota considerevole dei tributi riscossi nel loro territorio per finanziare da subito cinque competenze regionali – politiche del lavoro, istruzione, sanità, tutela dell’ambiente, rapporti internazionali – per aggiungerne eventualmente altre, già previste dall’art. 117 della Costituzione.
Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e le altre
La prospettiva ha allarmato alcune forze intellettuali, queste ultime principalmente legate alle Università di Napoli e di Bari. Così il filosofo Eugenio Mazzarella ha lanciato un Appello, sottoscritto da intellettuali, economisti e tecnici non soltanto meridionali – tra cui Casavola e Pisauro – contro la temuta “secessione dei ricchi”. L’Appello è già stato firmato da quindicimila persone. Si paventa che il regionalismo/federalismo differenziato accentui e legalizzi le diseguaglianze territoriali e individuali e, infine, allenti ulteriormente i legami della già debole e traballante unità nazionale. Con ciò l’antico disegno secessionistico di Bossi si troverebbe realizzato per vie traverse, con l’aiuto del M5S, proprio mentre, paradossalmente, la Lega si dichiara nazionale. Il tutto perseguito attraverso un rapporto diretto Governo-Regioni, che taglierebbe fuori dal dibattito e dalle decisioni il Parlamento.
Dal punto di vista della tenuta del quadro politico, è certo che il governo sta navigando nei pressi dello scoglio più pericoloso per la navigazione giallo-verde, destinato a mettere a rischio più il lato verde-leghista che quello giallo. Salvini si trova stretto tra il “suo” Nord, che preme per riscuotere la cambiale, già rilasciata dal Governo Gentiloni, e il Sud, iper-rappresentato dal lato giallo del governo. Non è escluso che le “superiori” cogenze del quadro politico costringano i due vice-presidenti all’ennesimo compromesso, con ciò allontanando provvisoriamente il nodo dal pettine.
Nord e Sud sempre più lontani
Tuttavia, il nodo resta grosso: perché, al di sotto della politica e delle sue schermaglie, vere o finte, la società del Nord e quella del Sud si stanno allontanando reciprocamente come due navicelle che, avendo fallito l’aggancio, procedono ormai su traiettorie divergenti. Il 4 marzo 2018 la rappresentanza politica ha solo fotografato questa dinamica. Il mix meridionale di crisi economica, di stagnazione ventennale dello sviluppo, di fallimento educativo, di mancate riforme della macchina amministrativa – al Sud così inefficiente da non riuscire neppure a spendere i miliardi che arrivano gratis dall’Europa – di corruzione politica e amministrativa, di evasione fiscale e di economia in nero, di illegalità feroce ha scagliato il Sud su un’altra orbita. Manca nell’Appello “contro la secessione dei ricchi” anche solo un accenno a tutto ciò. E’ invece presente tutta la retorica vetero-meridionalista, che tocca il diapason nella difesa dello Stato-nazione. Dovrebbe essere ormai evidente che la difesa dell’unità nazionale richiede una profonda riforma dello Stato-nazione.
Ora, inutile qui stare a piangere sulle modalità con cui è stata fatta l’Unità d’Italia e sul patto perverso di sottosviluppo meridionale allora siglato tra le classi dirigenti del Nord e quelle del Sud. E sul fatto che la Costituzione del ’48 sia ricorsa alle Regioni a Statuto speciale per riuscire tenere insieme pezzi di territorio, che dal disastro dell’8 settembre rischiavano di andare altrove. E sulla generosa illusione proto-industrialista dei primi vent’anni di Prima repubblica e sul ruolo prevalentemente clientelare dei 100 mila miliardi spesi dalla Cassa del Mezzogiorno. E sul controllo territoriale pervasivo esercitato dalla criminalità organizzata, sostenuta da intrecci di interessi economici, sociali e culturali della società (in-)civile. E sul fatto che assai spesso i partiti al Sud condividono la cultura e la pratica mafiosa delle relazioni e della costruzione del consenso.
Le Regioni del Sud e la loro cattiva amministrazione
Cosa si deve fare ora?
L’Appello insiste giustamente sulla necessità che ogni cittadino, quale che sia la sua residenza, debba godere di pari prestazioni relative a sanità, istruzione, assistenza. D’altronde, l’articolo 117 (secondo comma, lettera m) della Costituzione prevede la determinazione dei livelli essenziali di prestazione (LEP), garantiti a tutti su tutto il territorio nazionale.
Tuttavia, ogni volta che, nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni, è stata posta all’ordine del giorno la definizione dei LEP, assumendo come termine per la loro elaborazione le prestazioni delle Regioni più civili ed avanzate, le Regioni meridionali hanno sempre opposto un muro di gomma ed hanno preteso un allargamento dei parametri di giudizio. Un’asticella più alta le avrebbe obbligate a cambiamenti e ad accelerazioni radicali, oltre che ad impegni finanziari. Per realizzare i quali occorre il federalismo fiscale, quale previsto dall’art. 119 della Costituzione, che riconosce ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa e la disponibilità di risorse autonome (primo comma). I medesimi Enti stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (cfr. art. 117), e dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio (secondo comma). Se si vogliono i LEP, occorre anche volere il federalismo fiscale.
L’obiezione principale che viene fatta è che il trattenere parte degli introiti fiscali al Nord priverà il Sud della somma corrispondente. Questa somma finirà per aumentare ulteriormente il livello delle prestazioni a Nord, accentuando il dislivello negativo del Sud. Pare, dunque, che il livello delle prestazioni dipenda dalla quantità della spesa. Ma questa correlazione è assai meno automatica. Le Regioni meridionali sono largamente imputabili e imputate – se ci limitiamo al sistema sanitario – di cattiva amministrazione del denaro, di sprechi, di scarsa preparazione professionale, di grave deficit di etica professionale, di assenteismo incontrollato del personale addetto, debitamente difeso da sindacati complici e spesso corrotti. Basterà leggere i Rapporti dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC).
Quanto all’assistenza, sono ben note le statistiche delle pensioni di invalidità, che secondo l’Inps, sono tre volte superiori a quelle del Nord. La media nazionale è di 50,3 prestazioni ogni mille abitanti, ma mentre Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia e Piemonte sono sotto 40 per 1000 abitanti, in Calabria si arriva a 78 per 1000 abitanti, benché l’età media dei calabresi sia assai più bassa di quella dei “nordici”.
Quanto al sistema di istruzione, a monte della preoccupazione dei firmatari dell’Appello per le diseguaglianze di trattamento retributivo conseguenti all’eventuale regionalizzazione nordista degli stipendi degli insegnanti, sta un’opposizione più radicale, ancorchè non confessata, alla differenziazione delle carriere e perciò degli stipendi degli insegnanti. Sennò, chi si potrebbe opporre ad un’integrazione regionale degli stipendi? Ma l’Appello dimentica, sempre a monte, di prendere atto del basso livello di prestazioni del sistema educativo meridionale, dei voti di maturità non credibili, del rifiuto ostinato della valutazione esterna – al Sud sta il record del cheating, il fenomeno degli insegnanti che compilano i test al posto degli alunni per far fare se stessi una miglior figura – dell’assenteismo e dell’abuso indecente della Legge 104!
Purtroppo “il teorema meridionale” non è un’invenzione cervellotica del leghismo, è quotidianamente realizzato dalle Regioni meridionali.
Così, alla fine, l’Appello raccoglie firme e truppe intellettuali per la conservazione/peggioramento dello stato di cose presente. E fa l’occhiolino al M5S, dal quale, secondo Mauro Calise, dipenderebbe ormai la salvezza del Sud. Anzi, pardon! della Nazione intera!
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.