di Lia Quartapelle
Non fermiamoci al Memorandum: per la Libia serve un inviato europeo per la pace, l’evacuazione dei campi, la missione navale europea subito in mare
C’è molta attenzione intorno al fatto che il 2 febbraio si rinnoverebbe automaticamente il memorandum con la Libia, del quale il governo italiano a ottobre ha chiesto modifiche. Chiariamo subito: il memorandum è in corso di revisione: il gruppo di lavoro è stato convocato prima della scadenza del 2 novembre; c’è una bozza di nuovo testo; la data del 2 febbraio non è vincolante rispetto al recepimento delle modifiche dell’accordo.
La discussione sul memorandum con il governo libico va quindi visto nel contesto più ampio di quanto sta accadendo in Libia e delle relazioni con il governo internazionalmente riconosciuto di Tripoli. Per l’Italia la Libia non è solo politiche migratorie. È un paese con cui di fatto confiniamo, e quando c’è instabilità lì gli effetti si ripercuotono subito in Italia. Per l’Italia, la Libia è la porta sull’Africa, è parte della nostra sicurezza energetica, è un paese chiave per la strategia contro il terrorismo di matrice islamista. È anche un cardine fondamentale per far si che le migrazioni dall’Africa in Europa siano sicure, ordinate e legali. Se esistesse un governo funzionante a Tripoli, la gestione dei flussi migratori potrebbe avvenire in modo regolare e umano. Il fatto che la Libia oggi sia uno Stato fallito rende le politiche migratorie un dilemma etico ineludibile.
Per gestire le migrazioni serve la fine del conflitto e un governo libico funzionante. Questo è l’obiettivo primario da perseguire come Italia. Sarebbe un errore invertire l’ordine dei fattori e trattare la Libia solo sotto la lente dell’ossessione migratoria. Questo è quello che è stato fatto da Salvini, che per i mesi in cui è stato al governo ha messo tutte le proprie energie nel fare la faccia cattiva alle navi dei migranti e ha disdegnato di partecipare al processo di pacificazione, ha abbandonato la ricerca di alleati, soprattutto europei, per favorire la mediazione politica. L’Italia sta pagando e continuerà a pagare l’assenza del nostro ambasciatore a Tripoli per 7 mesi, la debolezza e scarsissima autorevolezza con cui si è difeso il governo di Serraj sotto attacco, le liti con Macron e con l’Europa sulle migrazioni, l’atteggiamento ondivago sulle alleanze regionali. Per la destra, che vive di propaganda e semplificazioni, è inevitabile approcciarsi alla Libia solo come se fosse un problema di gestione dell’immigrazione. Ma noi non possiamo limitarci a questo aspetto. Una delle ragioni per le quali l’Italia difende di quello che potrebbe i propri interessi nel mondo deriva da un dibattito sulla politica estera tutto piegato su esigenze interne. Evitiamo di cadere nella stessa trappola.
Nel quadro dell’attacco di Haftar contro il governo internazionalmente riconosciuto, sarebbe sbagliato interrompere una qualsiasi forma di collaborazione con il governo di Serraj. Darebbe legittimazione a un insorto, che è il generale Haftar, e sconfesserebbe il processo di pacificazione internazionalmente riconosciuto oggi in atto.
Sarebbe però altrettanto sbagliato non adattare le iniziative in campo allo stato di guerra in corso in Tripolitania. Il memorandum prevedeva azioni di collaborazione pensate tre anni fa, quando in Libia non c’era uno scontro aperto tra fazioni che oggi coinvolge anche militari da Russia, Turchia e reduci siriani. Serve un cambio di passo con azioni significative dal punto di vista politico e umanitario.
Oggi è prioritario che, dopo Berlino, l’Europa si adoperi quotidianamente per trasformare gli impegni di Berlino in una tregua e eventualmente nella stabilità, nell’unita della Libia e nella pace. Per farlo, e per farlo con una voce sola, serve un inviato speciale europeo per la Libia. L’Italia solleciti la Commissione a nominare al più presto un inviato speciale che lavori ogni giorno per stabilizzare e pacificare la Libia, che deve essere un paese unitario, libero, capace di autodeterminarsi.
Per stabilizzare la Libia bisogna combattere i traffici illegali. In primis di armi, come prevede l’embargo Onu che non è rispettato, e di persone. In questo momento davanti alle coste della Libia sono presenti 5 assetti militari turchi, e nessun assetto europeo. Bisogna rimettere subito in mare l’operazione Sophia, come deterrente per le navi che trafficano armi, e per rafforzare la lotta ai trafficanti.
Per dare un sostegno concreto al governo di Tripoli, lo si aiuti subito a chiudere i campi governativi, che il governo in questa situazione di guerra non riesce più a gestire e che sono stati colpiti più volte dagli orrendi attacchi del generale Haftar.
Presenterò una risoluzione parlamentare per impegnare l’Italia da subito a essere capofila di una evacuazione straordinaria dai campi governativi in Libia verso tutti i paesi dell’Unione europea, a cominciare da un’evacuazione immediata delle centinaia di donne e bambini che ancora oggi sono nei campi. Il memorandum così come è prevede questa possibilità, e anzi obbliga Italia e Libia a agire in conformità con le Convenzioni internazionali firmate dai due paesi. È un dovere dell’Italia di non far mancare il sostegno al governo di Serraj, sia per la gestione dei campi, che con una iniziativa europea di pace, che nel contrastare traffici illegali di armi e persone, così come di comportarsi per proteggere i diritti umani. L’evacuazione straordinaria è una cosa che si può fare subito, anzi che si deve fare subito.
Non lasciamo che la discussione sulla Libia sia fatta solo con il metro imposto da chi nel nostro dibattito interno vuole agitare uno spettro immaginario dell’immigrazione incontrollata. Serve un quadro complessivo di interventi.
Deputato del Partito democratico, eletta a Milano. Già segretario della Commissione Esteri della Camera nel corso della scorsa legislatura. Fa parte della presidenza di Libertà Eguale ed è ricercatrice presso l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI). Insegna presso il corso di Politiche per lo sviluppo dell’Università di Pavia.
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