di Umberto Minopoli
Giorgia Meloni è l’unica che ha vinto le elezioni: ha guadagnato oltre 6 milioni di voti. Il tracollo più grande lo hanno subito i 5 stelle (più che dimezzati) e Salvini (meno tre milioni di voti).
Eppure la vulgata generale è che le elezioni le abbia perse solo il Pd (che ha perso 800.000 voti). A questa rappresentazione, che è falsa, contribuisce, come sempre, la fragilità fatta di paglia e aria, dei dirigenti del Pd. Che, invece di combattere la rappresentazione falsata, abbondano nelle iperboli dell’autodistruzione: rifondarsi, cambiare tutto – leader, simbolo, nome, alleanze – e chi più ne ha, più ne metta. Una sindrome dell’autodafé ricorrente a sinistra, retaggio di una vecchia matrice ideologica, di partito sempre in bilico tra logica normale dell’alternanza e miraggio della diversità, inconsueta in qualunque grande formazione europea. E per cui una sconfitta elettorale equivale alla disfatta esistenziale.
Ad essere rigorosi il Pd non avrebbe subito affatto una debacle. Ha perso molti meno voti di tutti i grandi partiti eccetto FdI. Ha annullato gli effetti di due scissioni. Ha migliorato perfino la sua percentuale sulle ultime elezioni. La somma dei voti della potenziale coalizione alternativa al cdx (il campo largo) sulla carta avrebbe il 48%, più forte del cdx. Non significa nulla, certo, ma che l’opposizione sia più forte del governo dovrebbe indurre il partito più forte dell’opposizione a un minore disfattismo e auto contrizione.
Guardiamo ai fatti. In una democrazia normale è logico che, all’avvio della legislatura, dinanzi a un governo in cui solo il Premier e il suo partito possono dirsi forti, in cui sulle questioni decisive (energia, bilancio, lavoro) il governo dovrà lavorare in continuità col precedente governo, in cui il Pd ha l’occasione per riprendere un discorso di riforma istituzionale e della legge elettorale (che consenta, finalmente, magari di mettere su basi concrete una prospettiva di alternanza), il principale referente dell’alternativa auto dichiari la sua chiusura, una lunga seduta di autocoscienza congressuale, il deserto dei soliti dilemmi astratti e ideologici che preludono, sempre e solo, a ulteriori scissioni?
Nel Pd manca una sola vera corrente: quella del buon senso, del realismo e del pragmatismo della politica democratica. Milioni di cittadini hanno votato il Pd per dargli il ruolo di seconda forza del paese (la più continuativa) e guida dell’opposizione. I dem dovrebbero pensare a come diventare primi invece di di fustigarsi nei loro riti medievali, a farsi dettare il tempo da altri perdenti delle altre opposizioni, invece di rivendicare autonomia, responsabilità e, anche, un po’ di ambizione.
Un po’ di corda, su!
Presidente dell’Associazione Italiana Nucleare. Ha lavorato nel Gruppo Finmeccanica e in Ansaldo nucleare. Capo della Segreteria Tecnica del Ministro delle Attività Produttive tra il 1996 e il 1999. Capo della Segreteria Tecnica del Ministro dei Trasporti dal 1999 al 2001. Consigliere del Ministro dello Sviluppo Economico per le politiche industriali tra il 2006 e il 2009.