di Claudio Petruccioli*
Sappiamo tutti che l’articolo 138 contempla due possibilità per introdurre modifiche nella Costituzione: che siano approvate con i due terzi dei voti favorevoli in Parlamento, ovvero ricorrendo a un referendum popolare qualora questo risultato non sia raggiunto, non si verifichi cioè alla Camera o al Senato una convergenza convinta e un consenso largo.
Spesso e volentieri il senso comune, ma anche posizioni di esponenti politici o di dotti specialisti considerano equivalenti le due ipotesi, quando non preferiscono la seconda. Io penso invece che ratio che ha guidato il processo della elaborazione e della approvazione Carta costituzionale consenta di affermare che una norma approvata dai due terzi dei parlamentari è più forte che se approvata con un referendum il quale, dovendo garantire un responso conclusivo, non prevede neppure il vincolo della partecipazione della maggioranza degli aventi diritto.
Sottigliezze a parte (ma sottigliezze non sono) è perfettamente comprensibile chiedersi quante siano le possibilità che la nostra iniziativa abbia successo, possa cioè influire positivamente in modo che la riforma oggi all’ordine del giorno sia fatta bene e soprattutto con una convergenza convinta e un consenso largo. I tanti precedenti negativi rendono legittimo il dubbio; ma sono anche fondati gli spiragli di ottimismo, a cominciare dalle ampie e significative convergenze manifestatesi nel corso delle audizioni parlamentari.
Ad autorizzare, anzi a spingere all’ottimismo c’è però in modo particolare un dato politico, oso perfino dire storico, al quale non si presta molta attenzione e che voglio qui mettere in forte evidenza perché lo considero importantissimo. Lo traggo da un passaggio del penultimo messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica, quello del 31 dicembre 2022.
“Nell’arco di pochi anni – ha osservato Mattarella – si sono alternate al governo pressoché tutte le forze politiche presenti in Parlamento, in diverse coalizioni parlamentari”. Mattarella non è uomo che indulga alla retorica; ancor meno è disposto a mettere in luce i propri meriti. Ma una frase del genere solo lui poteva dirla, avendo alle spalle la difficilissima gestione della XVIII legislatura, iniziata con il governo giallo-verde presieduto da uno sconosciuto Conte e terminata con il governo Draghi. Nella XIX, iniziata poche settimane prima di quel discorso, aveva tenuto a battesimo il primo governo della Repubblica presieduto dalla leader del partito dichiarato e riconosciuto come partito della destra italiana.
Ha potuto così dire con legittimo orgoglio, istituzionale ma anche personale, che “la nostra democrazia si è dimostrata una democrazia matura anche per questa esperienza, da tutti acquisita di rappresentare e governare un grande Paese. Questo corrisponde – ha voluto concludere – con lo spirito della Costituzione di cui domani primo gennaio sarà il 75° anniversario della sua entrata in vigore”.
La constatazione da cui è partito non gli serve, però, solo per esaltare la robustezza della Costituzione che – parole sue – “resta la nostra bussola”. “Quanto è avvenuto – precisa Mattarella – ha posto, in tempi diversi, tutte le forze politiche di fronte alla necessità di misurarsi con la difficoltà del governare… di confrontarsi con i limiti imposti da una realtà sempre più caratterizzata da fenomeni globali. La concretezza della realtà ha così convocato ciascuno alla responsabilità. Sollecita tutti ad applicarsi all’urgenza di problemi che attendono risposte”.
Ad autorizzare l’ottimismo sul buon esito della nostra iniziativa non c’è dunque solo – come alcuni hanno detto – il velo d’ignoranza, la prudenza dettata dal fatto che nessuno può avere certezza su ciò che accadrà, per esempio, in un referendum che cadrebbe fra due anni. Non c’è solo la paura dell’ignoto: dovrebbe esserci, può esserci la responsabilità e la determinazione alimentate da quanto messo in evidenza più di un anno fa dal Presidente della Repubblica: ormai tutte le forze politiche presenti in Parlamento si sono alternate al governo, si sono misurate con la difficoltà del governare.
Non ci sono più esclusioni o divieti. E’ la condizione ideale per assumere, muovendo ciascuno per la propria strada e con il proprio passo, corresponsabilità costituenti, per aggiornare laddove è necessario, in modo concorde, il nostro sistema democratico. Tutti sanno che, nel tempo, a prevalere sarà l’uno o l’altro; non c’è situazione migliore per definire insieme le regole che tutti devono rispettare; le regole che nella dialettica tra maggioranza e opposizione garantiscono, con il ruolo di ciascuno, l’efficienza nella vita della Repubblica.
Il dato messo in risalto dal Presidente Mattarella è una assoluta novità nella varia e contrastata vita politica non solo della Repubblica ma dell’Italia unita. Capirne l’importanza, cogliere l’occasione che offre, volerla cogliere non è solo la via migliore per rendere più efficace, incisivo e solido il nostro governo democratico.
Può avere un significato più ampio e profondo: può avvicinarci tutti a quella idea condivisa di nazione ancora fragile e controversa nel nostro Paese. Tutti sono convocati alla responsabilità non per appelli volontaristici ma per esperienza vissuta. Sottrarsi o rifiutarsi al confronto sarebbe oggi colpa grave; più di quanto lo sia mai stata in passato.
*Intervento alla maratona oratoria “Premierato: non facciamolo ‘strano’!” del 27 febbraio 2024
Politico e giornalista, fa parte della presidenza di Libertàeguale. È stato parlamentare del Pci/Pds/Ds per cinque legislature. Presidente della Commissione di vigilanza Rai dal 2001 al 2005 e Presidente del consiglio d’amministrazione della Rai dal 2005 al 2009.