In vista dell’Assemblea nazionale del Pd, Claudio Petruccioli ha scritto su Twitter che “Il contratto dimostra come la convergenza fra M5S e Lega sia ampia e fondata. È in questo senso una cosa seria e dimostra che dal voto del 4 marzo non poteva nascere governo diverso. Spero che il Pd cominci a discutere da questo dato di fatto”.
Il dibattito Petruccioli-Ricciardi
A Petruccioli ha risposto, sempre su Twitter, il nuovo direttore del Mulino, Mario Ricciardi: “A mio avviso dimostra invece che quella del M5S è un’identità politica flebile, che cede nel confronto con chi ha idee (sbagliate ma) forti. Quindi lo spazio per una maggioranza diversa c’era. Ma il Pd avrebbe dovuto rinunciare a sedersi sulla riva del fiume…”
Per una volta, non sono d’accordo col mio amico Petruccioli e condivido invece la posizione di Ricciardi. Mi ha colpito il fatto che il M5S abbia svolto un ruolo “moderatore” nei riguardi della Lega, in particolare, ma non solo, sulla politica estera e su quella europea. Penso che non aver almeno provato ad offrire a Di Maio un’alternativa, sia stato un errore storico da parte di Renzi.
Gli elettori hanno bocciato la linea del Pd
Del resto, noi avevamo ed abbiamo bisogno di ripartire dalla constatazione che la nostra linea di governo (il “sentiero stretto” di Padoan e di Draghi, di Renzi e Gentiloni, ma anche di Morando e, si licet parva… di Tonini) è stata sonoramente bocciata dagli elettori, al Sud come al Nord, almeno quanto il M5S ha bisogno di un bagno di realismo.
Potevamo quindi confrontarci, non per incontrarci a metà strada, ma per tentare insieme una terza via, quella della riforma europea alla Macron, come perno sul quale provare a risolvere il rompicapo italiano, irrisolvibile sul piano esclusivamente nazionale.
Perché non possiamo fare più avanzo primario (siamo al 2 per cento, dovremmo arrivare al 5, dice Cottarelli, per una gestione del debito che voglia essere risolutiva), perché gli elettori non vogliono saperne, ma non possiamo neppure lasciarci andare ad una nuova stagione di deficit spending, come vorrebbero i due vincitori, perché non ce lo consente il debito. E d’altra parte, la saggia posizione di Padoan è stata bocciata dagli elettori perché troppo lenta.
Un confronto con la realtà
Quindi, aprire un tavolo col M5S non sarebbe stato un cedimento al loro populismo, ma un comune confrontarsi col principio di realtà. E invece, abbiamo avuto paura e ci siamo rinchiusi a riccio nella consolatoria posizione del “tocca a loro”. Abbiamo rifiutato non l’accordo, che era certamente difficile e forse impossibile, ma perfino il confronto, che avrebbe comunque dato un ruolo e un peso alle nostre ragioni. Abbiamo preferito spingere il M5S nelle braccia della Lega, favorendo lo scenario peggiore: per il paese, se i due gemelli diversi andranno a sbattere insieme; per il Pd, se i dioscuri troveranno un passaggio a Nord-Ovest che gli consenta di quadrare il cerchio tra populismo ed europeismo, come ha saputo fare Tsipras.
Il Pd è diventato irrilevante
Ora il Pd è diventato irrilevante, come la maggior parte, ahimè, dei partiti socialisti europei: a differenza di Macron, non siamo riusciti a battere i populisti in campo aperto e non siamo neppure riusciti a condizionarli nella gestione della loro vittoria. Di tutti i nostri birilli, è rimasto in piedi il solo Mattarella, grazie all’usbergo costituzionale. Non a caso di noi non si parla più, se non per le nostre incomprensibili, stucchevoli e appunto irrilevanti diatribe interne su segreterie a tempo e calendari congressuali. Come è giusto, taglio basso nelle pagine interne…
Consigliere provinciale a Trento e presidente del gruppo del Partito Democratico del Trentino. Componente della Presidenza di Libertà Eguale.
Senatore dal 2001 al 2018, è stato vicepresidente del gruppo del Partito democratico in Senato, presidente della Commissione Bilancio e membro della segreteria nazionale del Pd.
E’ stato presidente nazionale della Fuci, sindacalista della Cisl, coordinatore politico dei Cristiano sociali e dirigente dei Democratici di Sinistra.
Tra gli estensori del “Manifesto per il Pd”, durante la segreteria di Walter Veltroni è stato responsabile economico e poi della formazione del partito.