di Ranieri Bizzarri
Con la fine della prima fase del congresso del PD, si possono trarre alcune prime conclusioni politiche.
La prima, e più evidente, è che la mozione di Zingaretti è maggioritaria, ma è ben lungi dal rappresentare la stragrande maggioranza del partito.
La seconda è che la mozione di Martina, nonostante l’appoggio di svariati parlamentari e notabili locali di area “renziana”, non ottiene il successo sperato (rimanere ad un’incollatura da Zingaretti o addirittura essere prevalente).
Terza arriva la mozione Giachetti-Ascani, che rappresenta la reale sorpresa di questa prima tornata rivolta agli iscritti: nata quasi l’ultimo giorno utile, e basata su un’infrastruttura organizzativa precaria e scarso appoggio dalla dirigenza locale, la mozione supera agevolmente il limite minimo del 5% e raccoglie anche notevoli consensi in alcune aree del Paese.
Personalmente, non sono stupito del successo della mozione Giachetti-Ascani. Il motivo è semplice, e va alla radice del dibattito politico dentro al PD.
Almeno Renzi aveva un disegno
Facciamo un piccolo passo indietro: la segreteria Renzi si è configurata per molte cose, alcune più positive, alcune meno.
Alcune sono alla base anche dell’insuccesso del 4 Marzo 2018, sebbene il contesto europeo non fosse certo favorevole alle parole d’ordine di una sinistra liberale e democratica.
Ma quello che possedeva la segreteria Renzi, al di là di ogni opinione sui singoli fatti, era un disegno di rinnovamento della politica e della società. Cosa particolarissima, invero, stante l’incapacità di Renzi di affiancare ai suoi collaboratori con profilo prettamente “esecutivo” anche persone dedite ad una piena elaborazione del suo manifesto politico (Giuliano da Empoli è stata una delle poche, lodevolissime, eccezioni).
Bisognava cambiare la struttura del Pd
E infatti molti concordano sull’inadeguatezza della segreteria Renzi nel modificare radicalmente la struttura del PD-partito per renderla consona all’attività riformista del suo esecutivo (e di quello Gentiloni).
Cooptare localmente notabilato privo di reale spessore, e idealmente neutro rispetto alla necessità di un profondo cambiamento in senso riformista, ha spesso danneggiato il messaggio del “nuovo PD”, in primis quella “vocazione maggioritaria” che non può certo sopravvivere alla cultura degli accordicchi e del tirare a campare.
Non stupisce che il notabilato non si ritrovi nella mozione Giachetti-Ascani: al di là degli specifici obiettivi, questa mozione provoca in molti dirigenti viva inquietudine sul proprio futuro personale, nonostante il suo prevedibilmente alto dividendo politico. Ma il coraggio, da tanti anni, alberga poco a sinistra.
Da qui l’idea di liquidarla (ne sono testimone) come uno sterile velleitarismo che divide il fronte riformista.
Il rischio di archiviare il passato
Ma Renzi, che lo si ami o no, che lo si sia approvato sui singoli provvedimenti o no, aveva un coraggioso disegno di riformismo; indicava, non curandosi di spezzare liturgie consolidate, obiettivi precisi al suo elettorato. Aver mancato obiettivi come la riforma costituzionale ha rappresentato ben più di una sconfitta di Renzi stesso, ma l’archiviazione di un coerente disegno riformista.
Di questo pochi, dentro il PD, sembrano occuparsene. Tutto archiviato, tutto passato. Ed è incredibile come il mantra dell’unità sopravanzi l’idea di proporre obiettivi concreti.
L’unità è ovvia precondizione per una comune attività politica, richiamarsi all’unità significa sottrarsi a dire cosa si vuole fare insieme. Puro conservatorismo.
Dobbiamo vedere l’orizzonte
La gente, là fuori, ha invece bisogno di vedere l’orizzonte, il nostro manifesto. Da che mondo è mondo i tifosi di calcio seguono più il calciomercato che le effettive partite, perché sognare è (giustamente) bello. Non c’è paragone tra attaccare le figurine panini dei propri eroi e vedere lo zero a zero tra due squadre più o meno modeste, commentando i limiti del 4-4-2 o del 3-5-1-1.
Attenzione: Giachetti e Ascani non hanno certo la capacità della leadership renziana, né lo pretendono; sarebbe surreale. Al contempo, non sono nemmeno un franchising del renzismo d’antan. La loro coraggiosa presenza in campo testimonia in primo luogo la necessità di un manifesto globale del riformismo.
Non si può giocare in difesa
Mi sfugge il senso di perdersi in sofismi come “riforme per o con gli italiani” o proposte che mirano alla manutenzione del quadro sociale e politico nel turbine della globalizzazione, come fa la mozione Martina. Né appare sensato dipingere gli anni scorsi come una svendita alle peggiori pratiche del liberismo, come fa quella di Zingaretti. E anche se le mozioni non dovessero essere prese alla lettera, le stesse figure degli altri due candidati “maggioritari” testimoniano il clima di rimessaggio e manutenzione politica, del nostro giocare sempre in difesa e sperare in qualche (raro) contropiede. In attesa di (forse) piccoli successi locali e (sicura) vocazione minoritaria nazionale.
Tutto chiaro e limpido, quindi? No, non lo penso, anzi. Il successo della mozione Giachetti-Ascani, per quanto tutto da verificare e forse insufficiente a vincere il Congresso, mostra con chiarezza che là fuori c’è (anche) un popolo che attende un manifesto di società; una leadership coerente con quel disegno e non al ribasso per il riposizionamento di alcuni dirigenti; la chiarezza degli obiettivi; e soprattutto, la fiducia nel futuro.
Questo congresso è forse un primo passo, ma ci sarà bisogno di tutti. E in primo luogo ci sarà bisogno di capacità di elaborazione politica a 360 gradi (come quella delle 11 tesi di Libertà Eguale), perché l’errore di far prevalere nell’azione politica solo il piano esecutivo non si ripeta mai più. Non possiamo permettercelo.
Esemplare. Cristallina, condivisibile analisi. Si tratta, semplicente, di ciò CHE SERVE AL PAESE!