di Marco Leonardi
La legge di gravità del sistema pensionistico si chiama calcolo contributivo: è il sistema di calcolo delle pensioni previsto dalla riforma Dini del 1995 e che dovrebbe entrare a regime in via definitiva tra circa 10 anni (ovvero 40 anni dopo la sua approvazione…). Ma prima o poi si arriverà lì, come la legge di gravità.
In base a questa riforma, agli occupati che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995 si applica il sistema di calcolo della pensione “contributivo”, ossia basato sul totale dei contributi versati. Semplificando, si riceve indietro sotto forma di rendita ciò che si è versato nel corso della vita, senza costi aggiuntivi da parte dell’Inps per aumentare l’importo della pensione.
Per questo, tutti i governi degli ultimi 10 anni hanno cercato di imporre, esclusivamente a chi voleva pensionarsi prima dei requisiti Fornero (42 anni e10 mesi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne), il ricalcolo contributivo della pensione. Purtroppo non ci sono mai riusciti, ma il ricalcolo contributivo per chi vuole anticipare la pensione sarebbe un elemento di giustizia, sia nei confronti dei giovani che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995, sia di chi è già pensionato e accetta da anni tagli molto consistenti dei propri assegni (10 miliardi all’anno sono i tagli alla rivalutazione delle pensioni sopra i 2100 euro al mese) per finanziare un sistema che altrimenti non sta in piedi.
Non ci si è mai riusciti, per l’opposizione dei sindacati e di parte della politica a imporre costi sostanziali a chi voleva anticipare la pensione. L’unica pensione anticipata che funzionava con il ricalcolo contributivo è “opzione donna”, mentre invece per gli uomini che volevano anticipare la pensione si è sempre ricorso a costose quote di vario tipo 100, 102, 103 (le quote sono per lo più per gli uomini).
La Lega si è sempre distinta nello sfidare più di tutti la forza di gravità del calcolo contributivo. É il partito che ha fatto quota 100 inaugurando la stagione delle quote, ha fatto una battaglia quasi personale contro la legge Fornero, ha condotto più di una campagna elettorale all’insegna di quota 41 per tutti. Come a volte accade, per paradosso della storia, è il ministro del Tesoro leghista a cui tocca per primo arrendersi alla forza di gravità.
Vale la pena ricordare brevemente cosa successe l’anno scorso a dicembre. Per salvaguardare i conti pubblici, il ministro Giorgetti aveva già scritto in legge di bilancio la molto restrittiva quota 104 (41 anni di contributi e 63 di età) ma intervenne a quel punto Salvini che pretese di tornare alla precedente quota 103. Giorgetti acconsentì a patto che fosse quota 103 con il ricalcolo contributivo. Fa una bella differenza aggiungere il ricalcolo contributivo che impone un taglio dell’assegno (!), e infatti quota 103 non la ha usata nessuno (7000 persone invece delle preventivate 17mila). La stessa cosa accadrà presumibilmente quest’anno: Salvini proporrà quota 41 per tutti (costo 12 miliardi all’anno) e Giorgetti risponderà quota 41 con il ricalcolo contributivo. Forse costerà troppo anche quella (circa 1 miliardo/anno) ma, qualsiasi cosa si farà, si farà con il ricalcolo contributivo. La legge di gravità ha sempre ragione, era chiaro da 10 anni, ma ci si arriva solo ora.
Purtroppo, con il sistema contributivo, molti non raggiungono una pensione decente. Per questo il governo pensa di dirottare parte del TFR (circa una mensilità all’anno è tenuta da parte dal datore di lavoro per la tua liquidazione) nella previdenza complementare. Già ora è possibile per ognuno di noi destinare il TFR alla previdenza complementare, anzi è incentivato fiscalmente, ma la gente o non lo sa o non si fida. Allora si procederebbe con il silenzio assenso: cioè rovesciamo la situazione attuale, a meno che non mi dici il contrario, il tuo TFR va nel fondo di categoria complementare e non rimane in azienda. Si sono già fatti in passato dei periodi di silenzio assenso. Costa, non è gratis: costa alle piccole imprese che usano il TFR come una tesoreria liquida; costa allo Stato perché il TFR inoptato rimane nella tesoreria dell’INPS. Entrambi i costi sono superabili, non dimentichiamoci però che noi abbiamo i fondi pensione (aperti) con le commissioni più alte di Europa. Bisognerebbe pretendere che le commissioni si abbassassero e che ci fosse competizione tra i fondi. Non mi sentirei di difendere il TFR, un istituto unico al mondo, ce lo ha solo l’Italia, e viene da un tempo in cui l’assicurazione di disoccupazione era misera e la liquidazione era tutto.
Sulle pensioni il governo non può sbagliare dopo la grave colpa sul superbonus. È riuscito a far cadere la colpa sui governi precedenti e sulla Ragioneria Generale dello Stato, ma tutti dovrebbero sapere che la maggioranza della spesa del superbonus è avvenuta nel 2023, più che la somma delle spese del 2021 e del 2022, grazie a tutti gli emendamenti che hanno lasciato correre le spese mentre si diceva di volerlo fermare.
Professore di economia politica all’università degli Studi di Milano, si occupa di disoccupazione e diseguaglianze. E’ stato tra gli anni 2015 e 2018 membro del comitato tecnico di valutazione della Presidenza del Consiglio e consigliere economico del Presidente Gentiloni. Ha scritto un libro sulle riforme di quegli anni dal titolo “le riforme dimezzate, perché su lavoro e pensioni non si può tornare indietro”, EGEA 2018. Fa parte della Presidenza Nazionale di Libertà Eguale.