di Antonio Preiti
Ultima arriva l’Austria. La sconfitta dei socialdemocratici si aggiunge al minimo storico dei socialdemocratici tedeschi, all’azzeramento dei socialisti francesi, al risultato populista della Brexit e all’elezione ugualmente populista di Trump. Insomma, anche a essere ciechi, si vede che in occidente qualcosa a sinistra non va.
La domanda, allora, diventa: la sinistra (intesa in senso lato), con il suo apparato di idee, programmi, linguaggio, sensibilità, e con la sua concezione del mondo, è in grado di riconquistare la fiducia dell’opinione pubblica occidentale? Se sì, in quale modo?
Socialdemocratici: un problema di identità
Intanto cerchiamo di capire che natura ha la crisi. E’ crisi economica? Non si direbbe per la Germania, dove esportazioni, economia e reddito crescono a ritmi da record. Eppure nemmeno lì il governo viene premiato. Se si parla della Germania, la parola crisi non si può certo usare. Neppure per l’Austria, se è per questo. Neppure per l’Inghilterra. Se persino in Germania e in Austria, la gente sente una rabbia così forte che li porta a premiare l’opposizione populista, forse c’è qualcosa che conta più dell’economia.
Cos’è? Dev’essere qualcos’altro. Se si ha la libertà intellettuale di guardare alle motivazioni, e al sentimento di chi non vota più a sinistra, si coglie che, inesorabilmente, la questione centrale sia l’identità. E si sa che quando c’è in gioco l’identità non c’è nessuna economia che tenga. Ma in che senso c’è un problema di identità? Almeno in due modi.
Il primo s’incunea sin nella radice del significato oggi di essere di sinistra (o democratici, che è dizione migliore e più ampiamente comprensiva). E’ noto che le condizioni dei paesi del terzo mondo siano molto migliorate negli ultimi anni. Insomma, il mondo nel suo complesso non è mai stato – proprio mai –meglio di adesso, e più la globalizzazione va avanti, più migliora. Se ci sentiamo dentro i confini dell’umanità dovremmo essere felici; se ci sentiamo dentro i confini nazionali, lo siamo di meno; se ci sentiamo dentro i confini, ad esempio, della classe media dei paesi europei (o americani) ci sentiamo male. Quali sono i nostri confini? Ci percepiamo come umanità o come comunità?
I valori della sinistra
Il secondo modo agisce in profondità e non è disgiunto dal primo, anzi alimenta il primo, e si riferisce ai valori collettivi. Quando si manifestano concezioni della vita radicalmente diverse dalle nostre, con una gerarchia di valori discorde e talvolta opposta, allora la questione dell’identità si presenta nuovamente e chiede confini, questa volta non fisici, ma morali, valoriali, culturali, con contraddizioni che sono dilanianti per il mondo progressista. Un solo esempio. Il valore dell’accoglienza è un grande valore, cristiano anzitutto, e poi solidarista e perciò socialista. Si accolgono le persone, ma si possono accogliere anche tutte le loro idee, anche quelle inaccettabili? Perché si è (giustamente) intolleranti verso un occidentale che manifesti (anche solo) poco rispetto per le donne e allo stesso tempo temperare quest’avversione quando sia espressione di una cultura o di un credo religioso?
Alcuni valori non sono discutibili. L’uguaglianza sostanziale di ogni persona; l’assoluta parità della donna; la possibilità di esprimere il proprio credo religioso (e anche di cambiarlo) sono princìpi nostri. In una parola, la libertà per noi è un valore assoluto, e non può essere relativa. La libertà della singola persona, per essere chiari, dev’essere garantita anche dentro una famiglia di religione diversa dalla nostra, in ogni situazione. I principi su cui è fondata la nostra collettività non si trovano dappertutto e dobbiamo difenderli sempre. E’ una battaglia culturale che non è contro l’accoglienza, ma corre parallela.
Abbiamo imparato che i confini del nostro mondo non sono fissi e non sono barriere. I confini sono fatti per essere spostati sempre un passo più in là. Ma se non si tracciano, c’è solo l’indistinto, il vuoto, il silenzio. E questo è riempito da quelli che propongono confini netti, immobili, regressivi. L’orrore del vuoto è anche delle collettività, oltre che delle singole persone.
Serve una visione nuova
Ci vuole una visione nuova, che agisca su due fronti: il governo dei fenomeni e, appunto, la battaglia dei valori. C’è un’enorme sfida che riguarda già adesso l’integrazione di migliaia di persone che arrivano da mondi culturalmente diversi e lontani. Come si fa l’integrazione? il lavoro, la scuola, la formazione, la cittadinanza: abbiamo un modello, un programma o pensiamo che si possa agire solo sul piano legislativo?
Questo è un nodo cruciale. Il mondo progressista da un lato deve dimostrare che è in grado di governare il fenomeno dell’immigrazione. Governare è più che bloccare (per altro complicato e forse vano) e sicuramente è più che accogliere senza sapere cosa succede un minuto dopo l’accoglienza. Governare il fenomeno significa sostanzialmente che si è in grado di costruire, con un certo numero di immigrati (non illimitato, ovviamente) un paese migliore. E’ tutto qui. Perché finché la gente è convinta che non sarà un posto migliore, non sarà mai favorevole. Naturalmente non è facile. Ma questa è la sfida.
L’altra faccia della luna è quella dei valori occidentali che sono attaccati dal terrorismo fondamentalista, da concezioni aberranti della libertà umana che mettono in discussione persino il valore della persona. Questa offensiva militare, fisica, culturale non può trovare disarmati, prima di tutto culturalmente, il mondo occidentale e la sinistra al suo interno. C’è un’analogia che viene in mente. Le persone di colore che hanno combattuto negli Stati Uniti per la parità hanno sempre rivendicato il loro essere americani (immigrati, come tutto il resto della popolazione di quel continente). Vale a dire hanno richiamato quei valori americani di libertà, uguaglianza e perseguimento della felicità. Hanno combattuto nel loro nome, non contro. Il valore dell’accoglienza sta totalmente dentro i valori cristiani, occidentali e di sinistra, così come il valore della libertà e della primazia della persona. Sono inscindibili.
Governare i fenomeni, affermare i valori
Se guardiamo alla storia della socialdemocrazia, vedremo che quando è stato usato questo doppio pedale (pragmatismo nel governare i fenomeni e battaglia valoriale) il suo successo è stato clamoroso. Non ha mai demonizzato il capitalismo: l’ha lasciato libero e allo stesso tempo, con il welfare, ha affermato i valori della solidarietà, del riscatto sociale e dell’uguaglianza. Cambiando strumenti (il welfare così com’è non funziona più bene), allargando il proprio orizzonte (che non può più essere nazionale), rifondando i propri valori (che vanno riaffermati in una gamma più profonda e più coraggiosa) la sinistra e il mondo democratico possono provare a dare risposte nuove al mondo nuovo che si va costruendo dentro i nostri confini.
Bisogna però pensare i nostri confini come confini europei, e non più solo o principalmente nazionali. E’ questa la sfida politica che riguarda le forze democratiche del nostro continente. Anche in questo caso si tratta di spostare i confini fisicamente, creando un’identità più grande, un’economia più grande, una socialità più grande, e spostare di un po’ anche i nostri confini valoriali, affermando una comunità occidentale più grande di quella nazionale, che ha bisogno di un governo europeo vero e non dell’attuale burocrazia di Bruxelles. Non c’è molto tempo, anche perché le spinte che arrivano dalla Germania e dal continente vanno verso un ritorno alle patrie nazionali. Serve il coraggio, nel passaggio dai confini nazionali a quelli continentali, perché fanno saltare difese e sicurezze nazionali da cui è difficile staccarsi. Insomma non è un passaggio facile. Ma è l’unico di successo per tenere in piedi l’alternativa democratica.
Economista, docente all’Università di Firenze. È cresciuto al Censis, ha insegnato alla Luiss Management, Università di Bolzano, ha diretto l’Agenzia del turismo di Firenze, ha lavorato per Banca Imi e altre imprese. Ha ricoperto la carica di Consigliere d’Amministrazione di Enit e Vice Presidente di ETC (European Travel Commission). Collaboratore del Corriere della Sera. Svolge professionalmente studi e ricerche per Sociometrica, di cui è Direttore. Twitter @apreiti web www.antoniopreiti.it