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Per un’Eurozona politica (e senza retorica)

Marco Martorelli lunedì 6 Luglio 2015
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BC EU Europe Looking Up Alexis Tsipras ha voluto e vinto un vago e strumentale referendum, finalizzato a fornire al governo ellenico un surplus di legittimazione nella trattativa con i creditori internazionali per il salvataggio della Grecia.

Non è la prima volta che, nel processo di integrazione europea, l’avanzamento condiviso degli standard di governance politico-economica si scontra con resistenze di singole nazioni, le cui leadership possono trovare conveniente ammantare di orgoglio nazionale la conservazione dello status quo, in attesa di circostanze più favorevoli.

È accaduto con l’opposizione francese alla nascita della Comunità europea di difesa nel 1954, così come il 26 giugno scorso, quando un accordo Ue in tema di accoglienza dei migranti è stato limato più volte al ribasso a causa delle resistenze dei paesi baltici e dell’est.

Ma possono bastare poco più di 3,5 milioni di greci che si esprimono per il “no” a mettere in discussione un’integrazione economico-monetaria che coinvolge – nella sola Eurozona – 336 milioni di cittadini distribuiti in 19 paesi democratici? No, ovviamente, a patto che alla diffusa retorica “anti-austerity” ed euroscettica non si opponga né l’arida gestione dell’esistente che ha guidato le leadership europee degli ultimi anni, né una stantia retorica europeista senza radici nella realtà contemporanea.

Gli sviluppi della crisi greca stanno dimostrando che il processo di integrazione europea non è irreversibile e che la progressiva cessione di sovranità da parte degli stati nazionali può non essere accettata da larghi strati della popolazione, in particolare quelli meno garantiti e più esposti agli effetti del ciclo economico.

L’Unione europea così-com’è-oggi funziona quindi discretamente per chi se la passa bene, mentre resta un’aggregazione troppo macchinosa per reggere efficacemente gli squilibri della globalizzazione e garantire alla maggioranza dei suoi cittadini – soprattutto quelli “periferici” – buoni livelli di occupazione e benessere.

È probabile, allora, che una soluzione passi per un processo che concretizzi la più volte teorizzata “Unione a più velocità”, già in parte affermatasi con la nascita dell’Euro. Se – infatti – è nell’ambito della moneta unica l’epicentro del problema che investe la Grecia e i suoi creditori, è proprio dall’Eurozona che può sorgere una nuova Unione politica che semplifichi i propri processi decisionali e li legittimi democraticamente (anche i simboli contano e i mercati non ne sono insensibili) trasformando l’Euro – al pari del Dollaro – in uno strumento di crescita di una Federazione politica di Stati.

E sia chiaro: questo salto pragmatico in avanti può essere compiuto con o senza la Grecia, la cui leadership avventurosa ha compromesso le possibilità per le giovani generazioni elleniche di essere parte – con pari diritti e doveri – di una più grande patria che un giorno potremmo chiamare Europa.

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