Periodicamente si ripropongono attacchi alle scuole paritarie, ben regolate dalla legge 62/2000, un’ottima legge dei Governi di centrosinistra, mai cambiata in seguito, attacchi che pretenderebbero di basarsi su una lettura statalista-monopolista della Costituzionale.
La legge 62/2000 configura un servizio pubblico di istruzione in cui lo Stato è al contempo sia regolatore sia gestore. E’ chiaro che si tratta di un ambito che ha bisogno di un intervento diretto particolarmente incisivo dello Stato, ma non fino al punto identificare in modo monopolistico Stato e intervento pubblico. Le scuole paritarie che accettano i vincoli penetranti posti dal legislatore sono scuole pubbliche a tutti gli effetti.
La scelta del legislatore del 2000 è del tutto coerente con la Costituzione
Come già aveva spiegato Moro, da relatore, il 22 ottobre 1946 in prima Sottocommissione “il supremo compito che gli si attribuisce (allo Stato -Ndr) deve essere esercitato non soltanto attraverso una propria diretta attività, ma anche attraverso le funzioni giuridiche di ordinanza, le quali garantiscono che possa svolgersi l’attività non statale di istruzione e di educazione.” Lo Stato doveva essere al contempo “amministratore” diretto e “legislatore” per porre regole.
Si veda qui:
e in termini più ampi l’intervento di Moro in Assemblea del 23 aprile 1947.
E’ in questa visione, complessivamente accolta dalla Costituzione, che va collocato il significato effettivo del “senza oneri per lo Stato” di cui all’articolo 33 della Costituzione, quale risulta chiaramente dai lavori preparatori del testo. Chiunque legga attentamente la seduta dell’Assemblea Costituente del 29 aprile 1947 in cui tale dizione fu aggiunta vede che sia il proponente Corbino sia Malagugini (Pci) sia Codignola (socialista), dopo uno scambio di opinioni con Gronchi (Dc) lo intendevano nel senso che non vi potesse essere nessun automatismo, nessun obbligo di caricarsi oneri. Per rifarsi alle parole esatte di Corbino: “noi non diciamo che lo Stato non potrà mai intervenire a favore degli istituti privati; diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato. È una cosa diversa: si tratta della facoltà di dare o di non dare.”
Qui si può leggere il dibattito.
Si potrebbe certo opporre in questo come in altri casi che i significati originari non sono pietrificati nell’evoluzione costituzionale. Il punto è però che il seguito non solo sul piano legislativo, come il decisivo passaggio del 2000, ma anche la giurisprudenza costituzionale hanno confermato quell’impostazione, arricchita peraltro nel 2001 dal riconoscimento nell’articolo 118 della Carta del principio di sussidiarietà orizzontale.
La Corte costituzionale con la sentenza 42/2003 ha dichiarato infatti inammissibile il quesito referendario sulla legge del 2000 che pretendeva di escludere le paritarie perché, scrive la Corte “il principio della esclusione dal sistema scolastico nazionale che si pretende di introdurre in via referendaria rende attiva una connotazione discriminatoria” verso tali scuole.
Si può quindi discutere dei modi migliori del COME finanziarie le paritarie, ma la questione del SE sia legittimo farlo non è in discussione sulla base della Costituzione. E’ già stato risolto positivamente in modo chiarissimo. Il nostro sistema di istruzione basato sulla Costituzione, come conclude Salvatore Curreri nelle sue recenti “Lezioni sui diritti fondamentali” ha “carattere pluralista e misto”. Da questi punti fermi occorre partire ora per esaminare la questione delle scuole paritarie nella conversione del decreto crescita.