di Enrico Morando
Finalmente ci siamo. Ma abbiamo perso tanto, troppo tempo prima di convocarlo, questo benedetto Congresso. Ora dicono tutti che bisognava farlo prima, ma dovrebbero spiegare – Martina e Gentiloni in primis, per via del rispettivo ruolo -, quali mai siano state le ragioni di questa dannosa attesa.
Finalmente il Congresso
Inutile ora piangere sul latte versato? Mica tanto: se dopo una simile sconfitta e le conseguenti dimissioni del Segretario eletto dal Congresso, il partito non dispone di energie e regole sufficienti per attivare immediatamente le procedure previste dallo Statuto per l’elezione della nuova leadership e la scelta della nuova linea politica, questo solo fatto testimonia della profondità della crisi in cui il partito come struttura, come macchina politico-organizzativa, è stato lasciato precipitare. E bisogna tenerne conto, nel decidere quale dei candidati alla segreteria sostenere.
Giachetti è l’unico che si è impegnato concretamente – da subito e a modo suo -, per la convocazione immediata del Congresso. Per me, è una prima, buona ragione per aiutarlo a vincere un Congresso che vorrei mettesse rimedio a un gravissimo limite delle leadership precedenti: la mancata cura del partito-macchina.
Un partito è fatto di quattro componenti: visione, programma, leadership e organizzazione (la comunicazione è l’attività che le collega). Anche Veltroni e Renzi – i leader per me più convincenti per visione e programma -, hanno dimostrato di considerare l’organizzazione (e, quindi, la comunicazione) come Napoleone considerava l’intendenza: sostanzialmente irrilevante, seguirà. Si sbagliavano. E la crisi del nostro progetto trova qui una delle sue principali ragioni. Mettervi rimedio, è una priorità.
Centrosinistra a vocazione maggioritaria contro i nazionalpopulisti
In secondo luogo, la funzione del partito e la strategia. Le prime righe della mozione Giachetti-Ascani dicono, per me, tutto il necessario: se questa che viviamo è una “fase populista”, compito dei riformisti è evitare che essa si trasformi in una “epoca” populista.
In Italia, i nazionalpopulisti si sono strutturati in due partiti, Lega e Movimento 5 Stelle. La funzione del PD è quella di costituire l’asse dell’alternativa di governo ad entrambi. Ad entrambi, perché entrambi – pur diversi tra di loro – sono dannosi per il Paese (l’esperienza dei primi sei mesi di governo lo dimostra) ed entrambi costituiscono una minaccia per la democrazia liberale.
Su questo punto, ogni incertezza (e c’è stata, nella fase precedente la formazione del governo gialloverde, quando il M5S cercava di fare del PD il suo “secondo forno”) e ogni ambiguità (e c’è, se Zingaretti deve tanto affannarsi a smentire…il coordinatore della sua campagna congressuale) possono risultare esiziali.
Per il Paese, che resterebbe privo non solo di una speranza per il futuro, ma anche di un sicuro riferimento per il presente: Forza Italia fa l’opposizione ai nazionalpopulisti in nome della alleanza con la Lega. Se il PD la facesse in nome dell’alleanza con il M5S – sia pure per un lontano domani – si dovrebbe concludere che una opposizione seria e intransigente non la fa nessuno. E quella metà di italiani che pensa al governo gialloverde come ad una iattura, e non ritiene che i danni provocati derivino più dall’azione della Lega che da quella del M5S, resterebbe senza rappresentanti.
Meglio dunque sciogliere ogni equivoco: PD partito di centrosinistra a vocazione maggioritaria, asse dell’alternativa di governo ai nazionalpopulisti. Quale che sia il sistema elettorale che si usa e si userà; quale che sia lo stato dei rapporti interni alla coalizione nazionalpopulista. Che nel confronto politico-parlamentare quotidiano si debba lavorare sulle loro interne contraddizioni, è una ovvietà che non ha bisogno di un Congresso per essere ribadita.
Le cause della crisi del Pd e del centrosinistra
In terzo luogo, le cause della crisi del PD e del centrosinistra: è quasi impossibile non vedere che l’offensiva nazionalpopulista – adattandosi con efficacia alle specifiche realtà nazionali – ha determinato una crisi profonda dei partiti socialdemocratici e democratici in tutto l’Occidente. Incapaci – almeno per ora – di riaffermare la loro funzione nel mondo globalizzato.
Nel centrosinistra, c’è chi pensa che la ricetta per fare fronte ad una crisi così grave – di consenso e di funzione – sia scritta nel grande libro del passato della sinistra: torniamo là, e torneremo a rappresentare (i perdenti della globalizzazione, ad esempio), e a vincere. Illusione. Magari generosa, ma illusione.
La mozione SEMPREAVANTI sceglie con nettezza la strada opposta: anch’essa parte dalla consapevolezza della profondità della crisi… Anch’essa si propone di recuperare capacità di rappresentanza “comprendendo” le sofferenze di chi sente la globalizzazione come causa solo di incertezza e ne ha paura… Ma punta verso nuove forme di governo globale, attraverso l’Unione europea e la costruzione – alla dimensione dell’Area dell’euro – di una nuova sovranità.
Gli ideali e i principi sono comuni. Ma le politiche atte ad inverarli sono decisamente diverse, rispetto a quelle proposte da chi ha nostalgia della vecchia sinistra.
L’orgoglio riformista
Infine, l’orgoglio riformista e l’identificazione tra Segretario nazionale del PD e candidato Presidente del Consiglio.
Se abbiamo perso tanto – aldilà dei rilevanti fattori di difficoltà che condividiamo coi democratici e i riformisti di tutto l’Occidente -, è perché abbiamo commesso errori su cui è giusto continuare a riflettere. Due per tutti: l’aver condotto la campagna per il referendum costituzionale all’insegna dei “costi della politica” e del “se perdo me ne vado”; la scelta di intervenire col REI (un istituto di sostegno universale delle persone in situazione di povertà assoluta) solo alla fine della legislatura. Ma, detto questo, i governi del PD degli ultimi cinque anni hanno dato vita ad una esperienza riformista che va rivendicata con orgoglio. Senza nutrire imbarazzi e offrire scuse.
Segretario e candidato premier
Quanto all’identificazione tra Segretario e candidato Premier, giova ripetere: se il PD pensa se stesso come asse dell’alternativa di governo, allora il leader nazionale è ovviamente il candidato Presidente del Consiglio. Ed è giusto che lo si faccia scegliere dagli elettori. Se invece il PD pensa se stesso come junior partner di un governo con altri, maggiori partiti, allora è giusto che l’identificazione venga superata (e sarebbe onesto proporre che siano i soli iscritti ad eleggere il Segretario). Ecco perché la mozione Giachetti-Ascani si impegna – sul punto in questione – a lasciare lo Statuto così com’è.
Presidente di Libertà Eguale. Viceministro dell’Economia nei governi Renzi e Gentiloni. Senatore dal 1994 al 2013, è stato leader della componente Liberal dei Ds, estensore del programma elettorale del Pd nel 2008 e coordinatore del Governo ombra. Ha scritto con Giorgio Tonini “L’Italia dei democratici”, edito da Marsilio (2013)
Finalmente si parla anche di organizzazione. Dalla quale, insieme ai contenuti,deriva la presenza sul territorio. Ad oggi del tutto assente.