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di Stefano Ceccanti

 

Ho conosciuto Pierre Carniti nel 1983 a Padova, al Congresso nazionale della Fuci. A quell’epoca, sulla base delle nostre frequentazioni coi nostri coetanei europei dell’associazionismo giovanile cattolico, cercavamo di capire come in Italia potesse essere possibile una feconda presenza del cattolicesimo democratico nella sinistra riformista, abbattendo un muro che esisteva solo da noi.

 

Egemonia comunista e partito ‘pigliatutto’

L’egemonia comunista sulla sinistra aveva portato con sé un’innaturale coabitazione nella Dc di tendenze politiche che altrove erano fisiologicamente separate. Pertanto, nel nostro caso, sembrava si dovesse per forza scegliere tra una persistenza a oltranza di quel modello tradizionale (che avevano ereditato, che aveva una sua nobiltà, ma che mostrava tutti i suoi limiti) o la fuga dalla cultura di governo, come era accaduto a quasi tutti i cattolici che avevano contestato la Dc finendo su posizioni solo protestatarie..

 

Carniti: una raffinata cultura europea

Pierre Carniti aveva riflettuto su quell’anomalia e si era mosso su uno schema europeo, seguendo in particolare l’esempio del sindacato di ispirazione cristiana Cfdt che in asse con Jacques Delors aveva contribuito a fondare il nuovo Partito Socialista del 1971. Fare sindacato, servire gli umili in un progetto di modernizzazione (ovvero “capire il nuovo, guidare il cambiamento”), comportava anche una visione del futuro del sistema politico, la coniugazione coerente in quella chiave di policies e politics.

Detto in altri termini: Carniti è stato anzitutto un sindacalista, ma non solo un sindacalista nel senso riduttivo del termine, è stato una personalità con una raffinta cultura politica europea. Per questa ragione proprio lui, come ricorda Luigi Covatta, era stato decisivo nello spingere i cattolici che con Livio Labor avevano provato la sfortunata esperienza del Movimento Politico dei Lavoratori nelle elezioni del 1972 a confluire nel Psi.

Per questa stessa ragione sul piano delle policies, con la consulenza soprattutto di Ezio Tarantelli, aveva realizzato uno schema di superamento dell’alta inflazione, dell’illusione che l’adeguamento dei salari nominali difendesse davvero i lavoratori. Si erano ispirati alle intese tra governi, sindacati e partiti delle democrazie nordiche a guida socialdemocratica di difesa attiva del salario reale. Ma proprio quello schema da sinistra riformista, che sul piano mondiale era avversato dal thatcherismo e dal reaganismo, paradossalmente in Italia aveva trovato contro di sé i ritardi del Pci nel referendum sulla scala mobile del 1985. In quel caso, però, con una netta vittoria riformista.

 

La spinta modernizzatrice del Psi

Sul piano personale il raccordo funzionò già da allora e vari fucini, dopo quel Congresso, andarono in effetti a lavorare alla Cisl. Diverso fu, sul momento, il bilancio sul terreno squisitamente politico: il raccordo non funzionò per ragioni varie.

La leadership craxiana fu molto capace nell’indebolire soprattutto i ritardi del Pci, ma debole nella pars construens, cercando peraltro nella Dc gli interlocutori che indebolissero il disegno modernizzatore di De Mita scavalcandolo a destra. Questo avvolse il nuovo corso socialista in un paludoso conservatorismo, quello del Caf, sconfitto poi dalla stagione dei referendum elettorali.

Tuttavia ciò non giustifica una visione liquidatoria della modernizzazione del Psi, in cui Carniti fu eletto al Parlamento europeo nel 1989 e poco dopo al Senato, visione che spesso è stata veicolata in parte del cattolicesimo democratico: dietro di essa c’era non solo un’allergia a quello scavalcamento a destra operato tatticamente dal Psi, ma anche obiettivamente la difesa di una rendita di posizione. Il fatto che la sinistra fosse a dominante comunista giustificava la persistenza della presenza nella Dc anche quando essa stava perdendo la sua spinta propulsiva.

 

Il movimento dei Cristiano sociali

Il disegno di Carniti, però, era presbite, guardava lontano. Col crollo, pur contraddittorio, del sistema dei partiti, dovuto all’incapacità di riforma ma venutosi a sommare con un’onda giustizialista, il disegno diventa percorribile. Nasce così il movimento dei Cristiano Sociali, guidato da Carniti e Gorrieri che riproduce in piccolo quell’amalgama che si era verificato nell’area della sinistra della Dc ma anche nella galassia cattolica che aveva anticipato la nascita del nuovo Partito Socialista francese: un’anima più schiettamente politica, di persone provenienti dalla sinistra Dc o dai partiti di sinistra (Psi, Sinistra Indipendente), un’anima più sociale (il retroterra Cisl-Acli), un’anima più intellettuale morotea (proveniente dalla Fuci).

Un’esperienza piccola che, però, ruppe per prima due tabù: nel 1994 che si potesse avere una presenza collettiva, non solo individuale e con cultura di governo in una coalizione progressista, cioè oltre la tradizionale unità elettorale dei cattolici; nel 1998, cofondando i Ds, il salto successivo, quello non più solo di una coalizione, ma di un vero e proprio partito comune.

 

Un pioniere della vocazione maggioritaria

Quelle scelte, però, non erano fatte solo per chi voleva esercitare un ruolo pionieristico, ma per tutti, per anticipare una scelta che si voleva il più possibile condivisa. La scelta della coalizione, fatta nel 1994, anticipò quella più ampia dell’Ulivo nel 1996; e quella dei Ds nel 1998 voleva anticipare quella del Pd. La separazione con le componenti che avevano proseguito sul momento l’esperienza della sinistra Dc nel nuovo Ppi era infatti vissuta come provvisoria e da superare. In questo senso Carniti e Gorrieri, pur esercitando un ruolo da pionieri, praticavano una vocazione maggioritaria e in chiave europea.

Questo è parte di quello che abbiamo imparato sul piano politico. Accanto a questo patrimonio ce n’è un altro, sul piano umano, che mescola profondità e umiltà: si può raccontare di meno, ma non è affatto meno importante.

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