di Mario Iannella
Intervento pronunciato nel corso dell’Assemblea nazionale di Libertà Eguale svolta a Orvieto
La sfida che le culture liberali e socialiste hanno davanti è quella di tornare ad essere percepite come utili dal Paese. Negli scorsi anni si è provato a declinare quest’esigenza in termini di connessione sentimentale, empatia del leader o del collettivo dirigenziale, proposta nostalgica valoriale o schema di alleanze. Il problema, tuttavia, è più profondo.
Mark Lilla e, ancor prima, Christopher Lasch spiegavano questo fenomeno nel contesto statunitense descrivendolo come il crescente isolamento, fisico oltre che politico, delle élite di sinistra rispetto alle esigenze del paese diffuso. Un arroccamento che si tramuta in programmi che sono stati la sommatoria di politiche che rispondono alle istanze e alle, pur meritevolissime, esigenze di gruppi identitari. Tuttavia, la sinistra ha smesso di proporre una visione collettiva della società, una direzione di marcia per la sua modifica che coinvolgesse l’insieme dei cittadini, li facesse sentire avvinti in un medesimo sforzo al miglioramento del proprio contesto d vita.
Essersi collocati nel solco delle politiche di identità è stata la cifra delle segreterie Zingaretti e Letta. Questo ha confortato alcuni gruppi organizzati, ma ha disallineato la sinistra dalle priorità che sentiva la società nel suo complesso. Il ritorno al partito popolare e l’invocazione ad un partito laburista sono alla radice la stessa cosa: tornare ad occuparsi del nodo essenziale che definisce le nostre comunità, il rapporto tra potere pubblico, economia e cittadinanza.
La domanda prioritaria a cui le forze politiche devono rispondere declinandola sulla base dei propri valori è quella di come intendono preoccuparsi delle condizioni di vita degli elettori. Significa anzitutto lavoro in tutte le sue forme: non solo come forma di retribuzione ma anche come strumento di libertà e di espressione della personalità umana. Significa occuparsi di diritti, non solo nel loro riconoscimento ma nel modo in cui vengono esercitati come condizione di risposta al bisogno: casa, salute ed educazione definiscono le condizioni di vita delle persone. Tutto questo si coniuga, infine, con l’esigenza di vivere in un contesto sostenibile, socialmente ed ambientalmente, quale fattore per il miglioramento della qualità della vita umana.
La direzione di marcia nell’ultimo quindicennio dell’Europa e del mondo è molto cambiata e traccia il sentiero che dovremo percorrere. Siamo in un contesto di federalizzazione ed espansione del ruolo dell’Unione nelle politiche economiche e fiscali. Oggi il bilancio e le scelte essenziali sugli indirizzi di spesa sono condivise tra lo Stato e le istituzioni europee. Le istituzioni europee adoperano gli strumenti della negoziazione intergovernativa, della regolamentazione tramite incentivo e del finanziamento diretto delle politiche per comporre un modello di cooperazione di tipo federale con gli Stati nelle materie delle politiche economiche e finanziarie. Nel fare questo, l’Unione ci propone una visione del mondo chiara e definita, un insieme di politiche in cui si riscopre un ruolo centrale del potere pubblico nelle funzioni di indirizzo, di promozione, di soggetto finanziatore ed erogatore.
Non si tratta di un ritorno allo Stato nostalgico degli anni ’70 e nemmeno dello sviluppo di una forma di assistenzialismo e deregolamentazione per i poteri economici, che è la ricetta della destra sociale. E’, invece, la realizzazione che la crescita economica si genera dal comune interesse della cittadinanza e delle imprese a creare migliori condizioni di vita. Le economie più dinamiche, pensiamo alla California, non sono quelle dove si pagano meno tasse o si retribuiscono meno i lavoratori, ma quelle in cui la qualità dei servizi pubblici, i livelli di formazione, la qualità della vita sono più elevate.
L’Unione europea con l’European Green Deal e con il Next Generation si colloca su questo versante: ci indica che educazione, servizi sociali, transizione digitale ed ecologica, ambiente e impresa come alleati e non nemici sono la strada per la costruzione di una società migliore. Il centrosinistra deve tornare ad occuparsi del cittadino a tutto tondo, del cittadino nella comunità in cui vive, della risposta ai suoi bisogni e alle sue aspirazioni. La strada maestra è l’ambizione di costruire una società migliore, inclusiva e sostenibile, come la compagine che meglio coglie gli indirizzi europei e globali, in termini di politiche e anche di opportunità finanziarie. Per farlo deve immaginare una società che, in tutte le sue componenti, si impegna insieme nella costruzione di un contesto di maggiore sviluppo, di maggiore tutela dei diritti, di migliore qualità dell’ambiente.
Questo significa, anzitutto, cogliere le linee di sviluppo brevemente tracciate. Indirizzi che hanno una dimensione istituzionale, realizzando come la negoziazione tra esecutivi statali e istituzioni comunitarie sia il luogo principale delle decisioni di indirizzo generale in materia di politiche economiche, fiscali e sociali. A livello interno questo implica un necessario ripensamento del ruolo del Governo statale rispetto alle assemblee e alle autonomie. Un passo ulteriore è l’adeguamento del modello valoriale: in tale direzione si è collocata la riforma della Costituzione in materia ambientale. Ma più in generale al patrimonio del centrosinistra sono riconducibili le principali linee di indirizzo politico sviluppate negli anni recenti dall’Unione. Si tratta di un’opportunità che la sinistra non può lasciarsi sfuggire, quella di partecipare al processo di cambiamento, di contribuire alla sua definizione e di esserne interprete e beneficiario maggiore anche nella dimensione statale. Questo si colloca in un necessario ripensamento dimensionale delle politiche: sviluppo, lavoro e tutele sociali devono trovare una cornice che sia di livello europeo. Soltanto in una dimensione di quel tipo è possibile evitare il ritorno a modelli di concorrenza tra ordinamenti.
Il potere pubblico e la politica hanno davanti una sfida enorme, ripensare la società rendendole sostenibili economicamente, ambientalmente e in termini di diritti. Potranno e riusciranno a farlo tanto più avranno la capacità di proporre dei modelli integrati, tra le politiche e nel coinvolgimento di tutte le forze economiche e sociali nell’indirizzo. Non esiste un semplice bentornato Stato, non esiste un ritorno al passato del grande pubblico che tutti aiuta e che tutto risolve e che finisce per esser il proprietario delle ditte di consumo. Tanto la decisione, quanto l’implementazione delle scelte avvengono in un contesto “necessariamente” relazionale, senza alcuna pretesa di un ritorno al modello del comando dell’economia. Il pubblico ha necessità di ritrovare la sua funzione nel contesto economico attraverso un rapporto collaborativo con le forze sociali (imprese, ma anche cittadinanza e terzo settore), con le realtà economiche e con il necessario coinvolgimento di altri livelli di governo, necessariamente portatori di altri interessi e obiettivi. La sfida della sinistra è ricostruirne intorno a questi assi un ruolo come soggetto promotore dell’innovazione sociale, economica e ambientale. Costruire una società migliore è sempre stata, in fondo, la nostra sfida.
Laureato all’Università di Pisa, diplomato e dottorato in Giurisprudenza alla Scuola Superiore Sant’Anna. Si è occupato principalmente di diritto pubblico comparato, costituzione economica europea e federalismo. Ha recentemente pubblicato il volume “La governance economica cooperativa. Autonomia e raccordi negli Stati Uniti e nell’Eurozona”, Editoriale Scientifica, 2020.