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Premierato, l’audizione di Calderisi in Commissione Affari Costituzionali

Giuseppe Calderisi lunedì 5 Agosto 2024
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di Giuseppe Calderisi

 

Audizione presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati  nell’ambito dell’esame del disegno di legge del Governo A.C. 1921​ e della proposta di legge Boschi A.C. 1354​.

Intervento del 31 luglio 2024

 

Innanzitutto ringrazio molto per l’invito. Premetto che molte delle considerazioni che svolgerò non sono solo personali ma anche il frutto di un lavoro comune svolto con la Fondazione Magna Carta e con le associazioni Libertà Eguale, ioCambio e Riformismo e Libertà che hanno assunto diverse iniziative a favore di una riforma del premierato coerente e funzionale, auspicabilmente condivisa.   

La finalità dei progetti di legge – la stabilità dei governi scelti dai cittadini – è pienamente condivisibile, come dimostra in modo incontrovertibile l’elevato numero di governi e di Presidenti del Consiglio che si sono susseguiti nei 77 anni di storia repubblicana. Un problema che trae origine dalla mancata razionalizzazione della forma di governo parlamentare da parte dell’Assemblea costituente che dovette abbandonare i propositi iniziali (l’odg Perassi è del 4 settembre 1946) a causa dello scoppio della guerra fredda e del timore incrociato della vittoria dello schieramento opposto. Ritengo pertanto che rivedere la forma di governo sia non solo legittimo ma necessario, come ha ribadito recentemente anche il Presidente della Corte costituzionale Augusto Barbera in un’intervista al Sole 24 Ore. Ed è particolarmente grave non essere ancora riusciti a farlo dopo la caduta del Muro di Berlino, nonostante i diversi tentativi riformatori finora messi in atto. Abbiamo accumulato un ritardo di almeno 35 anni. 

Pertanto non sono in causa le finalità che a mio avviso sono inconfutabili, ma le modalità, cioè i mezzi individuati per realizzare l’obiettivo. E qui sorgono i problemi che sono diversi, anche se occorre riconoscere che il testo originario del disegno di legge del Governo è stato migliorato in alcuni aspetti da parte del Senato (come più avanti specificherò). 

 

Il mio intervento è suddiviso i 4 punti:

  • La questione di fondo del sistema elettorale, finora sconosciuto. I problemi di costituzionalità che derivano dal bicameralismo paritario e dal voto degli italiani all’estero, senza la cui soluzione la riforma è inapplicabile. Quale legge elettorale.

 

  • Il  corredo dei poteri del premier e la disciplina del potere di scioglimento delle Camere. Positiva la modifica della c.d. norma “antiribaltone”, ma vi sono alcune incongruenze e un’eccessiva (e inutile) rigidità.

 

  • L’elezione del Presidente della Repubblica: la necessità di rafforzarne la base di legittimazione e di sottrarlo alla scelta della sola maggioranza pro tempore.

 

  • La necessità di introdurre in Costituzione i disegni di legge del governo a data certa e di porre limiti alla decretazione d’urgenza a tutela della funzione legislativa e del ruolo politico del Parlamento, anche alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale n. 146/2024.

***

 

  1. La questione di fondo del sistema elettorale. I problemi di costituzionalità che derivano dal bicameralismo paritario e dal voto degli italiani all’estero, senza la cui soluzione la riforma è inapplicabile. Quale legge elettorale.

In particolare permane la questione del sistema elettorale, ancora sconosciuto, ma i cui nodi di fondo vanno invece sciolti subito, in sede di revisione costituzionale, perché altrimenti la riforma del premierato è destinata a rimanere inapplicabile. Si tratta di una questione dirimente, che pertanto affronterò per prima e in via prevalente. 

Occorre infatti sottolineare che è la stessa norma transitoria del disegno di legge (articolo 8, secondo comma) a prevedere la non applicabilità della riforma fino a quando non entri in vigore e sia operativo il nuovo sistema di elezione del Presidente del Consiglio e delle Camere. Pertanto, qualora la Corte costituzionale dovesse riscontrare profili di incostituzionalità, come già accaduto per il Porcellum e per l’Italicum, ciò renderebbe inapplicabile anche la riforma del premierato, pur se approvata dal Parlamento e confermata dal referendum. Con la conseguenza che il Presidente della Repubblica sarebbe costretto a nominare il Presidente del Consiglio in base alle norme vigenti, anche se abrogate e sopravvissute in via transitoria. Una situazione transitoria che rischierebbe però di non transitare mai, qualora i vizi di costituzionalità della legge elettorale fossero dovuti ai nodi irrisolti in sede di riforma costituzionale. 

Di conseguenza, governo e maggioranza dovrebbero porre la massima attenzione al fine di evitare questo rischio (una sorta di “comma 22”). Invece si stanno completamente ignorando i problemi di costituzionalità che derivano da due singolarità del nostro sistema istituzionale: il bicameralismo paritario e il voto degli italiani all’estero. 

Già con una sola Camera sede del rapporto di fiducia e senza circoscrizione estero il premierato è di problematica realizzazione perché l’esigenza di dotare il premier di una maggioranza deve fare i conti con l’altra esigenza costituzionale di non attribuire un premio eccessivo che oltrepassi i limiti posti dalla Corte a tutela del principio di rappresentatività delle Camere, limiti che non sarebbero superati neanche dalla revisione costituzionale perché si tratta di esigenze permanenti di equilibrio del sistema. Pertanto sono imprescindibili una soglia minima e il ballottaggio, nel caso in cui nessuno la superi, pena l’incostituzionalità della legge elettorale.

Ma il premierato diventa del tutto irrealizzabile se il testo della riforma costituzionale non affronta e risolve le due singolarità anzidette, in primo luogo quella del bicameralismo paritario e del connesso principio di autonomia delle Camere. Quel principio che finora ha sempre imposto di votare con due schede e due voti distinti per l’elezione della Camera e del Senato. Dal che risulta evidente, anzi lapallissiano, che solo una norma costituzionale potrebbe consentire di votare nel ballottaggio con una sola scheda e un solo voto che decidano l’attribuzione del premio e la composizione definitiva di entrambe le Camere. La legge elettorale, da sola, senza una norma di copertura costituzionale, non potrebbe prevedere il ballottaggio. Ballottaggio che si rende necessario, non a caso, anche nell’eventualità di un esito elettorale difforme nelle due Camere al primo turno (eventualità forse più improbabile dopo l’allineamento degli elettorati attivi, ma che non può essere affatto esclusa, stante la diversità degli articoli 56 e 57 Cost. e stante, soprattutto, la diversità dei candidati per le Camere che gli elettori sono liberi di votare o non votare).

Così pure, va prevista necessariamente nel testo della riforma costituzionale anche una soluzione per la questione del voto degli italiani all’estero. Oggi la Costituzione assegna loro una sorta di diritto di tribuna (di fatto in deroga all’uguaglianza del voto) prevedendo che eleggano nella circoscrizione Estero solo 8 deputati e 4 senatori, cioè il 2% dei parlamentari, pur essendo numericamente 5 milioni, circa il 10% dell’elettorato; quindi oggi “pesano” 5 volte meno rispetto al loro numero. Ma con l’elezione diretta del premier gli italiani residenti all’estero conterebbero per tutti i loro voti, e pertanto potrebbero risultare decisivi, determinando un contraddizione gravissima nel sistema istituzionale. Può essere opinabile la questione del “peso” da attribuire al voto degli italiani all’estero (e quindi si possono anche modificare le norme costituzionali che hanno istituito la circoscrizione Estero e il relativo diritto di tribuna). Quello che logicamente e costituzionalmente non si può invece fare è attribuire un “peso” diverso a seconda che si tratti di eleggere il Presidente del Consiglio o le Camere, oppure a seconda che si tratti del primo o dell’eventuale secondo turno di ballottaggio. Pertanto, occorre che anche per l’elezione diretta del premier il voto degli italiani all’estero abbia lo stesso “peso” che ha oggi con la circoscrizione Estero. Comunque si tratta di una questione da affrontare e risolvere necessariamente nel testo della riforma costituzionale, anche se si scegliessero soluzioni diverse da quella indicata (che potrebbero essere o l’esclusione del voto estero dalla determinazione del premio come per il Porcellum e l’Italicum che però, comporterebbe in questo caso anche l’esclusione dall’elezione diretta del premier oppure, in direzione opposta, l’aumento del numero di seggi parlamentari in proporzione al numero di elettori). 

 

  Il sistema elettorale è parte fondamentale della forma di governo, i punti chiave devono essere conosciuti e valutati insieme alla riforma. E’ inammissibile che il disegno di legge non dica neppure con quale maggioranza debba essere eletto il premier, se con quella assoluta, necessaria per conferirgli una forte legittimazione, o con quella relativa che lo ridurrebbe a premier di minoranza, avversato dal 60% degli elettori o addirittura dal 65-70% se non ci fosse neppure una soglia minima. In questo caso sarebbe molto elevato il rischio di eleggere un premier su posizioni estreme, di destra o di sinistra, mentre con la maggioranza assoluta e l’eventuale ballottaggio l’elezione del premier sarebbe il frutto di una scelta “deradicalizzata”. Sono due sistemi politico-istituzionali profondamente diversi tra loro. Occorre compiere una scelta, ma non si tratta affatto di favorire uno schieramento rispetto all’altro, il ballottaggio non penalizza nessuno schieramento, se si tratta di schieramenti di governo che guardano all’elettorato “di mezzo”, come possono essere un centrodestra liberal-conservatore e centro-sinistra riformista.  Né si dica che ad un ballottaggio nazionale andrebbero a votare meno elettori, perché semmai è vero il contrario. 

Non fissando neppure una soglia minima (il 45%, il 40% o altra), il disegno di legge non dice neppure cosa accade nel caso in cui nessuno la superi. Che si fa se non si svolge il ballottaggio? Non si attribuisce il premio a nessuno per evitare che esso oltrepassi i limiti posti dalla Corte (ma candendo in questo modo nella situazione israeliana di un premier senza maggioranza e contraddicendo il testo stesso della riforma che prevede un premio che “garantisca” la maggiorana dei seggi)? Oppure si ripetono le elezioni? Non si tratterebbe proprio di strade che conducono alla stabilità di governo…

Insomma, esigenze politiche ed esigenze costituzionali impongono al governo e alla maggioranza di affrontare subito i nodi di fondo della legge elettorale, alcuni dei quali sono da inserire necessariamente nel testo della riforma costituzionale, pena la sua inapplicabilità.  

Il testo del disegno di legge non dice neppure di quante schede e di quanti voti disporrebbe l’elettore, se tre o due (il testo dice solo che le tre elezioni “hanno luogo contestualmente”). Con tre schede il rischio di esiti difformi sarebbe ancora più elevato, e l’elezione diretta del Presidente del Consiglio con una scheda separata avrebbe inevitabilmente l’effetto di determinare l’attribuzione del premio e la composizione delle Camere per “trascinamento”, con una lesione evidente della loro funzione. Inoltre in questo modo il premio potrebbe oltrepassare i limiti posti dalla Corte costituzionale a tutela del principio di rappresentatività; o addirittura potrebbe risultare in contrasto con il voto per le Camere espresso dagli elettori. Mi spiego. Il Governo ha ipotizzato una soglia minima del 40% dei voti per l’elezione del Presidente del Consiglio e la conseguente attribuzione del premio, ma – pongo la domanda – questo premio verrebbe assegnato anche qualora le liste e i candidati collegati ottengano meno del 40% dei voti, ad esempio, qualora il candidato alla carica di Presidente del Consiglio ottenga il 41% e le liste e i candidati collegati ottengano invece il 39%, quindi con un premio superiore al 15%? E – altra domanda – il premio verrebbe assegnato a tali liste e candidati anche qualora ottengano meno voti rispetto ad altre liste e candidati, che magari hanno invece superato il 40%, anche se il loro candidato alla carica di Presidente del Consiglio è arrivato secondo? Insomma, con tre schede l’elezione del Presidente del Consiglio e delle Camere potrebbe trasformarsi in un Sudoku istituzionale più che diabolico, addirittura irrisolvibile. Sconsiglio vivamente la scelta di tre schede, mentre mi esprimo a favore di quella con due schede con le modalità che si possono trarre – sia pure con la complicazione del bicameralismo paritario – dal testo del relatore Salvi alla Commissione bicamerale D’Alema. Testo che, con una sola Camera sede del rapporto fiduciario, prevedeva la pubblicazione dei nomi dei candidati premier sulla scheda in modo che l’elettore esprimesse un unico voto nel riquadro contenente sia il nome del candidato nel collegio uninominale sia il nome del candidato premier tra loro collegati, senza possibilità di voto disgiunto, e con un’influenza reciproca delle due candidature (così come di fatto avviene nel Regno Unito, dove l’assetto tendenzialmente bipartitico del sistema politico non rende necessaria la pubblicazione dei nomi dei candidati premier sulla scheda di votazione). Certo, in questo modo l’esito delle elezioni sarebbe determinato, almeno al primo turno, in base ai seggi e non ai voti (risolvendo pertanto anche la questione del voto estero), non si tratterebbe di una formale elezione diretta, ma l’elettore potrebbe comunque votare il nome del candidato premier e stenterebbe a intravvedere una differenza… tanto è vero che la stessa premier Giorgia Meloni, nel dibattito svoltosi alla Camera l’8 maggio scorso, ha elogiato il testo Salvi, considerandolo come un’elezione diretta del premier. E allora perché non prenderlo come base di una riforma che in tal caso potrebbe essere condivisa o comunque oltrepassare i confini dello schieramento di maggioranza? 

Occorrerebbe certamente aggiungere la previsione del ballottaggio (che il testo Salvi lasciava volutamente aperta e che con il bicameralismo paritario si rende comunque indispensabile), magari recependo la proposta avanzata dal prof. Barbera nella sua audizione del 16 aprile 1997 presso la Commissione bicamerale. Una proposta basata sulla formale elezione diretta del premier nel secondo turno di ballottaggio qualora nessuno schieramento e relativo candidato premier abbia conseguito la maggioranza assoluta dei seggi al primo turno. Al riguardo, la Fondazione Magna Carta e le associazioni ioCambio, Libertà Eguale e Riformismo e Libertà hanno elaborato una proposta emendativa (sostitutiva dell’articolo 5 che modifica l’art. 92 Cost.) insieme ad una seconda proposta relativa all’elezione del Presidente della Repubblica (di cui dirò al punto 3 del mio intervento). I due emendamenti (allegati al presente intervento) sono stati presentati al Senato dal sen. Scalfarotto, in spirito di servizio, per offrirli al dibattito dell’Aula, ma a causa della mancanza delle condizioni minime per un confronto di merito, sono stati ritirati con l’auspicio che possano essere presi in considerazione nel seguito dell’iter parlamentare presso la Camera dei deputati.  La proposta emendativa sostitutiva dell’articolo 5 tiene conto dei rilievi contenuti in entrambe le sentenze della Corte, quindi anche sul ballottaggio, e pertanto affida esplicitamente alla legge elettorale, dandole copertura costituzionale, il compito di disciplinarne lo svolgimento e di stabilire altresì le condizioni per l’attribuzione del premio, fino al raggiungimento della percentuale massima complessiva del 55% dei seggi in ciascuna delle due Camere. Perché anche con il ballottaggio non ci può essere un premio senza limiti; la legge elettorale dovrà prevedere la possibilità di ulteriori apparentamenti tra il primo e il secondo turno, soprattutto qualora il sistema politico si frammenti in più poli dei quali nessuno al di sopra del 30% (come già avvenuto nel 2013). Al riguardo il raffronto che talvolta viene effettuato con le elezioni del Presidente della Repubblica in Francia è del tutto improprio, perché è vero che al ballottaggio in Francia può andare anche un candidato che ha ottenuto solo il 20% al primo turno e che poi può essere eletto presidente, ma tale elezione non ha alcun effetto giuridico di trascinamento dei seggi parlamentari, al più solo quello dovuto alla c. d. luna di miele di cui può usufruire il presidente eletto nel momento in cui, tre settimane dopo le elezioni presidenziali, si tengono le elezioni legislative, che sono però formalmente del tutto autonome.   

Quanto al sistema elettorale, ai tempi della Commissione bicamerale D’Alema era in vigore il Mattarellum basato sui collegi uninominali maggioritari, un sistema a mio avviso da preferire per tanti motivi (innanzitutto quello del miglior rapporto tra elettori ed eletti) rispetto a quelli proporzionali con premio. Certamente un sistema basato sui collegi uninominali maggioritari favorisce la formazione di una maggioranza ma non la “garantisce”, come pretende però erroneamente il testo del disegno di legge del Governo, dato che non si può garantire “sempre e comunque” un premio che porti alla maggioranza assoluta dei seggi anche nei casi limite. L’investitura popolare del premier può rendere più improbabile una nuova frammentazione del sistema politico, ma certamente non la si può escludere. Pertanto, più che cercare di blindare a tutti costi maggioranze assolute anche nei casi limite in cui ciò si riveli impossibile, sarebbe necessario tutelare gli esecutivi di maggioranza relativa, come in altri ordinamenti europei.

Un sistema come il Mattarellum basato sui collegi uninominali maggioritari può anche essere modificato inserendo un premio, ma alla condizione tassativa che non si pretenda di farlo a turno unico sommando due meccanismi maggioritari uno sull’altro, cosa che sarebbe inammissibile (a prescindere dal fatto che la quota di seggi destinati al premio sia “mobile”, cioè che non sia attribuita necessariamente tutta, fino addirittura al 25% dei seggi). Non a caso il ballottaggio per l’assegnazione del premio era previsto non solo dalla già ricordata proposta Barbera, ma anche dal documento sulla legge elettorale presentato alla bicamerale D’Alema il 30 giugno 1997 a firma Mattarella, Berlusconi, Nania, Cossutta, Boselli, Loiero, Dentamaro, Salvi e Pieroni (documento già menzionato dal prof. Ceccanti nella sua audizione) che l’on. Mattarella poi tradusse in una proposta di legge (A.C. n. 4926 del 27 maggio 1998, in cui il ballottaggio, occorre precisarlo, si svolgeva tra coalizioni a legittimazione diretta, non con la formale elezione diretta del premier come nella proposta Barbera). 

 

Inoltre, quanto alla legge elettorale, aggiungo solo un’altra considerazione sul c.d. Provincellum, basato su collegi uninominali non maggioritari, ma con un riparto proporzionale dei seggi tra gruppi di candidati di ciascun partito. Un sistema di cui forse si sottovalutano i gravissimi limiti, ma che viene spesso riproposto ritenendo che possa costituire una soluzione alternativa alle liste bloccate o al voto di preferenza. Ricordo che lo stesso sistema era in vigore (a parte il premio di maggioranza) proprio al Senato prima del referendum del 1993. In questo sistema il collegio uninominale vale solo per la presentazione delle candidature, ma arrivare primi nel collegio non dà alcuna garanzia di elezione perché conta solo la graduatoria interna a ciascun partito, dove si scatena una guerra fratricida a chi fa perdere più voti al proprio partito negli altri collegi della circoscrizione, in modo da sopravanzare la cifra elettorale individuale degli altri candidati. Si tratta quindi, in realtà, di un sistema proporzionale a preferenza bloccata. Ricordo che al Senato questa guerra fratricida aveva l’effetto di aumentare a dismisura il numero delle schede bianche che, nonostante i 4-5 milioni di elettori in meno rispetto alla Camera, risultavano in numero molto più elevato al Senato (diverse centinaia di migliaia in più, una volta quasi un milione di schede bianche in più). Non solo, con questo sistema in diversi collegi risultano eletti più candidati (anche quattro o cinque) e, di conseguenza, molti altri collegi rimangono del tutto privi di rappresentanza. Insomma non si tratta proprio di un buon sistema per recuperare un rapporto di fiducia con gli elettori. 

  1. Il  corredo dei poteri del premier e la disciplina del potere di scioglimento delle Camere. Positiva la modifica della c.d. norma “antiribaltone”, ma vi sono alcune incongruenze e un’eccessiva (e inutile) rigidità.

Ho già accennato al fatto che il testo del disegno di legge del Governo ha subito alcuni miglioramenti nel corso dell’esame da parte del Senato (soprattutto in Commissione). Oltre all’introduzione di un limite dei mandati per il premier eletto direttamente e all’approvazione di un emendamento del sen. Pera che elimina la controfirma governativa su una serie di atti che oggi costituiscono solo per prassi una prerogativa esclusiva del Presidente della Repubblica, è stata modificata, in particolare, la cosiddetta norma “antiribaltone” che in precedenza consentiva “imboscate” parlamentari su un qualsiasi voto di fiducia per far cadere il premier eletto e sostituirlo con un altro parlamentare della maggioranza che diventava inamovibile. Con le modifiche introdotte, invece, il premier eletto disporrà del potere di scioglimento, anche se la disciplina introdotta presenta alcune incongruenze e un’eccesiva (e inutile) rigidità. In caso di crisi sarà comunque il premier eletto a decidere, dimettendosi, se sciogliere oppure chiedere un reincarico oppure passare la mano ad un secondo premier, purché parlamentare eletto in collegamento con il premier stesso. Per il secondo (e ultimo) governo della legislatura non è previsto un vincolo di maggioranza. Pertanto, con il beneplacito del premier eletto, sono possibili “staffette” e cambi di maggioranza. E in caso di crisi gravissime – finanziarie, pandemiche, belliche – potrebbe anche nascere un governo di larghe intese, ma a tal fine il Presidente della Repubblica potrebbe conferire l’incarico solo allo stesso premier eletto o ad un altro parlamentare della maggioranza, non a un “tecnico” non parlamentare.  

Ho sempre ritenuto che, ai fini della stabilità del governo, sia essenziale il corredo dei poteri di cui dispone il vertice dell’esecutivo e, in particolare, un’adeguata disciplina del potere di scioglimento delle Camere. Un potere essenziale al fine di governare le tensioni e i conflitti che inevitabilmente si creano all’interno di qualsiasi maggioranza pluripartitica, perché stanno innanzitutto qui le ragioni della cronica instabilità dei governi. Un potere deterrente che serve non tanto a sciogliere il Parlamento, quanto piuttosto a non scioglierlo ed avere così governi tendenzialmente di legislatura che possano poi essere giudicati dagli elettori in base al loro operato. Non a caso il potere del premier di determinare, a certe condizioni, il ricorso alle elezioni anticipate è presente in tutte le forme di governo parlamentari, come ha ricordato il prof. Augusto Barbera nella già citata intervista al Sole 24 Ore. 

Sarebbe però preferibile una maggiore aderenza alla disciplina svedese, come quella contenuta nei due disegni di legge presentati nel 2002 dai senatori Tonini, Morando, D’Amico (A.S. n. 1662, XIV leg.) e dal senatore Malan, allora di Forza Italia (A.S. n. 1889, XIV leg.) in base alla quale il premier al quale sia negata la fiducia (sia mediante l’approvazione di una mozione di sfiducia sia mediante la reiezione di una questione di fiducia), possa decidere, nei sette giorni successivi, se sciogliere o invece dimettersi, consentendo la formazione di un nuovo governo. Una disciplina suggerita durante la sua audizione del 20 marzo 1997 alla Bicamerale D’Alema anche dal prof. Cheli, contrarissimo all’elezione diretta, ma favorevole all’attribuzione del potere di scioglimento al Primo Ministro “come prevede il meccanismo svedese” (e, come precisò ad una specifica mia domanda, “anche se sfiduciato costruttivamente”; l’unico modo – a mio avviso – per far sì che la sfiducia costruttiva, in un paese come l’Italia in cui è così radicato il trasformismo parlamentare, non sottragga agli elettori la possibilità di essere arbitri della scelta del governo; a parte comunque il fatto che la sfiducia costruttiva è un istituto del tutto inefficace a fronte di crisi di governo che in Italia sono sempre state extraparlamentari, salvo le due eccezioni di Prodi).  

La questione essenziale è conferire al premier il potere di decidere, in caso di crisi, se ricorrere alle elezioni anticipate oppure passare la mano, consentendo in tal modo la formazione di un nuovo governo (anche se è singolare che si sia previsto che per poter proporre e ottenere lo scioglimento il premier debba prima dimettersi, anziché dimettersi solo se intende passare la mano). Ma comunque, una volta che si è attribuito al premier il potere di determinare le elezioni anticipate, bisognerebbe poi lasciare il resto alla politica, senza inutili ed eccessive rigidità (basterebbe prevedere che il nuovo governo sia formato “in coerenza con i risultati elettorali”). Non si comprende a che serva stabilire invece automatismi tra mozione di sfiducia e scioglimento, oppure prevedere solo una sostituzione, e necessariamente con un parlamentare della stessa maggioranza che ha vinto le elezioni (atteso che lo stesso testo del disegno di legge consente cambi di maggioranza e che il parlamentare della maggioranza che può subentrare come premier potrebbe nel frattempo anche aver cambiato “casacca” e schieramento). Rigidità che potrebbero rivelarsi dannose in caso di crisi di sistema che richiedono maggiore flessibilità, come ha giustamente osservato il prof. Ceccanti. 

Ai fini della stabilità dei governi, occorrerebbe invece rafforzare il corredo dei poteri del vertice dell’esecutivo che innanzitutto dovrebbe chiamarsi Primo Ministro e non essere solo un primus inter pares, come è oggi il Presidente del Consiglio dei ministri; e che dovrebbe essere il soggetto del rapporto di fiducia con le Camere, in luogo dell’intero Governo (anche considerando che la fiducia all’intero Governo è in contraddizione con il potere di proporre al Presidente della Repubblica la revoca dei ministri, potere giustamente introdotto nel testo del disegno di legge). La fiducia iniziale dovrebbe esser data per presunta, spettando semmai alle opposizioni la possibilità di sfiduciare il premier a maggioranza assoluta, tutelando così anche i governi di maggioranza relativa. Mentre il disegno di legge del Governo vincola in modo contraddittorio il premier eletto direttamente ad una votazione di fiducia iniziale, con una prova di appello, addirittura costituzionalizzando la prassi dell’incarico, con una retrocessione della posizione costituzionale del Presidente del Consiglio. Insomma, ha poco senso eleggere direttamente il premier e poi vincolarlo a condizioni a cui non sono soggetti i premier europei che non sono eletti formalmente in modo diretto. 

Segnalo inoltre una grave incongruenza che dovrebbe essere assolutamente corretta.  Nell’ultima riformulazione della lettera b) dell’articolo 7 approvata dal Senato sono stati risolti positivamente due problemi interpretativi, ma è stato purtroppo aggiunta – forse involontariamente – un incongruenza rilevante. Volendo giustamente parlamentarizzare le crisi di governo, la nuova formulazione incorre in un grave errore di formulazione linguistica. Invece di prevedere che le dimissioni volontarie del Presidente del Consiglio (non quelle causate dalla reiezione di una questione di fiducia che avvengono già, ovviamente, in sede parlamentare), sono presentate “previa informativa parlamentare” (al fine di verificare se le ragioni della crisi possano anche essere superate, evitando così l’effettiva presentazione delle dimissioni), la norma è scritta in modo tale che l’informativa parlamentare abbia invece ad oggetto, a dimissioni avvenute, la facoltà del Presidente del Consiglio di chiedere e ottenere lo scioglimento delle Camere. L’eventuale dissenso tra la maggioranza parlamentare contraria allo scioglimento e il potere del Presidente del Consiglio di determinare lo scioglimento potrebbe pertanto tramutarsi in un formale conflitto istituzionale, tanto dannoso quanto inutile, perché comunque il Presidente del Consiglio avrebbe il potere di ottenere lo scioglimento. La questione è di particolare gravità ove si consideri che la c. d. “informativa parlamentare” si conclude senza un voto formale solo in base ad un parere della Giunta del Regolamento, che però, all’uopo convocata, potrebbe in pochi minuti cambiare parere e decidere che, su richiesta, anche l’informativa parlamentare, come le comunicazioni del Governo, possa concludersi con una votazione.  Il sen. Pera ha cercato invano di proporre una correzione (subemendamento 7.900/54), ma il clima concitato di forte contrapposizione in cui si è svolto l‘esame del provvedimento in Aula, ha impedito che fosse accolta e forse neppure ben compresa nelle sue conseguenze. Ma mi auguro che la Camera, già in Commissione, possa provvedere ad una riformulazione, quella stessa proposta dal sen. Pera o altra che comunque chiarisca che l’informativa parlamentare riguardi le ragioni della crisi e che si svolga prima che il Presidente del Consiglio rassegni formalmente le dimissioni. 

 

  1. L’elezione del Presidente della Repubblica: la necessità di rafforzarne la base di legittimazione e di sottrarlo alla scelta della sola maggioranza pro tempore.

Un’altra questione di grande rilevanza riguarda l’elezione del Presidente della Repubblica. Occorrere rafforzarne la base di legittimazione e sottrarlo ad una scelta da parte della sola maggioranza che ha vinto le elezioni. A tal fine appare opportuno e necessario, da una parte, ampliare il collegio di elezione ai membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia e a un numero di delegati delle autonomie locali pari a quelli dei delegati regionali; dall’altra, innalzare dal 50% al 55% la maggioranza richiesta dopo il sesto scrutinio (non più dopo il terzo, in base ad un emendamento di Italia Viva approvato in Commissione al Senato). In questo nodo sarebbe salvaguardato il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica, e non dovrebbe destare preoccupazione il fatto che l’investitura popolare del premier e la stabilità di governo prodotta dalla nuova forma di governo neo-parlamentare – se ben costruita, in base ai rilievi formulati – riduca i poteri e i casi in cui il Presidente della Repubblica è costretto ad intervenire come motore di riserva del sistema, a causa del frequente inceppamento del motore principale, cioè del circuito della responsabilità politica elettori-maggioranza-governo. Anche su questo punto la Fondazione Magna Carta e le associazioni ioCambio, Libertà Eguale e Riformismo e Libertà hanno elaborato una proposta emendativa (sostitutiva dell’articolo 2 che modifica l’articolo 83 Cost., riportata in allegato).

 

  1. La necessità di introdurre in Costituzione i disegni di legge del governo a data certa e di porre limiti alla decretazione d’urgenza a tutela della funzione legislativa e del ruolo politico del Parlamento, anche alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale n. 146/2024.

 

Nell’intervista rilasciata il 28 giugno scorso al Sole 24 Ore, il Presidente della Corte costituzionale Augusto Barbera ha ribadito la tesi, già tante volte espressa, che l’abuso della decretazione d’urgenza, dei maxiemendamenti e dei voti di fiducia “è espressione di debolezza e non di forza del capo del governo. Le altre democrazie europee non conoscono né decreti legge, né questioni di fiducia, né maxiemendamenti, anche perché il Primo Ministro ha due decisivi poteri: da un lato controlla l’agenda del Parlamento richiedendo il voto a data certa di provvedimenti governativi urgenti, dall’altra può porre il veto ad emendamenti parlamentari che aumentino la spesa o diminuiscano l’entrata”. Per cui non è vero che non vi sia bisogno di modificare la forma di governo, ma anzi essa è necessaria proprio per avvicinarci alle altre democrazie europee. Ma allora la riforma del premierato non può limitarsi a rafforzare i poteri del Presidente del Consiglio, deve necessariamente porsi anche l’obiettivo di tutelare la funzione legislativa e il ruolo politico del Parlamento, oggi svuotati e sviliti dall’abuso ormai degenerato e parossistico della decretazione d’urgenza. La questione è stata posta con forza anche dalla recentissima sentenza della Corte costituzionale (relatore Giovanni Pitruzzella) n. 146/2024 che ha dichiarato l’incostituzionalità di una norma “intrusa” del decreto legge 10 maggio 2023, n. 51, privo del requisito dell’omogeneità (sentenza il cui esame compete a questa Commissione ai sensi dell’articolo 108 del Regolamento, anche congiuntamente a progetti di legge sulla stessa materia).

Insomma, la riforma del premierato non può essere una questione a somma zero: a fronte dell’elezione diretta e del rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio occorre anche rafforzare il ruolo del Parlamento.  

A tal fine è pertanto necessario modificare, da una parte, l’articolo 72 Cost. per introdurre i disegni di legge indicati come essenziali per l’attuazione del programma di governo con una procedura a data certa, dall’altra, modificare l’articolo 77 Cost. per costituzionalizzare alcuni limiti della legge n. 400/1988, in modo da impedire l’abuso dei decreti.

Al riguardo è allegato al presente intervento un emendamento elaborato nell’ambito della Fondazione Magna Carta. Al fine di rendere i disegni di legge a data certa, da una parte, concretamente praticabili e quindi effettivamente alternativi alla decretazione d’urgenza, dall’altra, in grado di consentire un effettivo esame parlamentare di tutti gli articoli del disegno di legge (riconducendo ciascun articolo  alla trattazione di un solo specifico argomento costituente parte della complessiva disciplina normativa), l’emendamento prevede “che le Camere possano procedere attraverso votazioni anticipate degli articoli o degli emendamenti sostitutivi degli articoli indicati dal Governo a conclusione di una discussione  avente ad oggetto anche gli emendamenti sostitutivi degli articoli presentati dai gruppi dell’opposizione”; ragione per cui si ritiene opportuna la modifica dell’articolo 72 Cost., non rinviando solo ai regolamenti parlamentari l’introduzione e la disciplina di questi disegni di legge.  

L’emendamento reca inoltre due modifiche all’articolo 77 Cost. Con la prima  si specifica che i casi straordinari che giustificano l’adozione del decreto legge devono essere “di effettiva necessità e urgenza”; la seconda aggiunge un terzo comma che costituzionalizza i principali limiti della legge n. 400/1988, stabilendo che “I decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo.”

 

Allegato 

 

I due emendamenti proposti dalle associazioni ioCambio, LibertàEguale, Riformismo e  Libertà e dalla Fondazione Magna Carta

 

A.C. n. 1921 

L’articolo 5 è sostituito dal seguente:

 

  1. L’articolo 92 della Costituzione è sostituito dal seguente:

 

“Art. 92. – Il Governo della Repubblica è composto del Primo Ministro e dei ministri che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.

 

La candidatura alla carica di Primo Ministro avviene mediante collegamento con i candidati all’elezione delle Camere, secondo modalità stabilite dalla legge elettorale che prevede la pubblicazione dei nomi dei candidati Primo Ministro sulle due schede di votazione. 

 

E’ eletto Primo ministro il candidato collegato con il raggruppamento politico che ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le Camere. Qualora nessun raggruppamento consegua tale risultato, si svolge il ballottaggio tra i due candidati Primo Ministro collegati con i raggruppamenti che hanno ottenuto il maggior numero complessivo di seggi nelle due Camere. E’ eletto Primo Ministro il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti validi nel ballottaggio. 

La legge elettorale delle Camere contempera i principi di governabilità, di rappresentatività e di tutela delle minoranze linguistiche, disciplina lo svolgimento del ballottaggio regolando il concorso degli italiani residenti all’estero in funzione del rapporto tra il numero di elettori e il numero dei seggi della circoscrizione Estero, e stabilisce altresì le condizioni per l’attribuzione di una quota aggiuntiva di seggi, fino al raggiungimento della percentuale massima complessiva del cinquantacinque per cento dei seggi in ciascuna delle due Camere, al raggruppamento collegato con il candidato eletto Primo Ministro. 

 

Chi ha ricoperto la carica di Primo Ministro per due legislature consecutive, salvo che esse abbiano avuto durata complessiva inferiore a sette anni e sei mesi, non può candidarsi immediatamente alla medesima carica. 

 

Il Presidente della Repubblica nomina Primo Ministro il candidato eletto e su proposta di questi nomina e revoca i ministri.” 

 

A.C. n. 1921 

L’articolo 2 è sostituito dal seguente:

Art. 2

(Modifiche all’articolo 83 della Costituzione)

  1. Il secondo comma dell’articolo 83 della Costituzione è sostituito dal seguente:

“All’elezione partecipano i membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza della minoranze e un delegato della Valle d’Aosta/Vallè d’Aoste, nonché un numero di delegati delle autonomie locali pari a quelli dei delegati regionali, designati secondo le modalità stabilite con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera.”

  1. Al terzo comma, il secondo periodo è sostituito dal seguente:

“Dopo il sesto scrutinio è sufficiente il cinquantacinque per cento dei

componenti dell’assemblea.”

 

L’emendamento per introdurre i disegni di legge del governo a data certa e i limiti ai decreti legge elaborato nell’ambito della Fondazione Magna Carta.

 

A.C. n. 1921 

Dopo l’articolo 1 sono inseriti i seguenti:

Art. 1 bis

(Modifica all’articolo 72 della Costituzione)

 

All’articolo 72 della Costituzione, dopo il secondo comma, è inserito il seguente comma:

 

“Salvo che per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, per le leggi in materia elettorale, per le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali e per le leggi di conversione dei decreti legge, il Governo può richiedere che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno delle Camere e sottoposto alla deliberazione in via definitiva entro il termine di sessanta giorni dalla richiesta, differibile, in relazione alla complessità del disegno di legge, di non oltre trenta giorni. I regolamenti parlamentari stabiliscono le modalità e i limiti del procedimento, anche con riferimento all’omogeneità del disegno di legge, prevedendo che le Camere possano procedere attraverso votazioni anticipate degli articoli o degli emendamenti sostitutivi degli articoli indicati dal Governo a conclusione di una discussione  avente ad oggetto anche gli emendamenti sostitutivi degli articoli presentati dai gruppi dell’opposizione.”.

 

Art. 1 ter

(Modifiche all’articolo 77 della Costituzione)

 

All’articolo 77 della Costituzione sono apportare le seguenti modificazioni:

 

  1. al secondo comma le parole “di necessità e d’urgenza” sono sostituite dalle

     seguenti: “di effettiva necessità e urgenza”;

  1. dopo il secondo comma è aggiunto il seguente:

     “I decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto                      deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo.”

 

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