di Vittorio Ferla
La Giornata della Vittoria sul nazismo che celebra la “Guerra Patriottica” – così la retorica russa definisce la seconda guerra mondiale – con tanto di parata militare sulla piazza Rossa era molto attesa per capire le intenzioni di Vladimir Putin. Ma il despota russo si guarda bene dal lanciare proclami, anzi si dice contrario a una estensione globale del conflitto. Almeno a parole. Di sicuro, tuttavia, Putin non fa passi indietro rispetto alla verità manipolata che propaganda ormai da alcuni mesi. “L’aggressione nelle nostre terre storiche della Crimea è stata una minaccia ai nostri confini, inammissibile per noi. Il pericolo è cresciuto ogni giorno, il nostro è stato un atto preventivo, una decisione necessaria e assolutamente giusta”, dice il tiranno del Cremlino. In sostanza, con l’attacco all’Ucraina Mosca ha risposto ad “una minaccia diretta vicino ai confini russi”, perché “una attacco era stato preparato, anche alla Crimea”.
La verità è tutt’altra. Nel marzo del 2014, il presidente Vladimir Putin utilizza le truppe della base militare russa in Crimea per annettere la penisola. Una sfacciata violazione degli obblighi della Russia ai sensi del memorandum di Budapest che sanciva il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale del’Ucraina in cambio della cessione alla Russia delle testate nucleari presenti sul territorio. Purtroppo, l’America risponde con un rimprovero diplomatico e sanzioni modeste. Incoraggiato da questi tentennamenti, Putin sequestra poi di fatto parti del Donbas. Ancora una volta, gli Stati Uniti e l’Occidente esprimono disapprovazione, ma senza misure pratiche conseguenti. A fronte di sanzioni inefficaci, per otto anni la Russia tiene sotto scacco l’Ucraina e consolida le sue conquiste, mentre l’Occidente, in particolare l’Europa, si nasconde dietro il mantra dell’attuazione dell’accordo di Minsk, progettato per garantire la pace nel Donbas. Nel frattempo, Putin formalizza sempre meglio la propria paranoica dottrina del “Russkiy Mir”. La Russia deve agire per riappropriarsi di territori che considera propri con la scusa della “denazificazione”. Prima di tutto l’Ucraina. Ma poi, di seguito, Moldavia, Polonia, Lettonia, Lituania, Estonia. Il che significa riportare la guerra di conquista e su base nazional-imperialista in Europa per la prima volta dalla seconda guerra mondiale. All’immobilismo dell’Occidente – tutto il contrario di un presunto movimento espansionistico della Nato – fa seguito, il 24 febbraio di quest’anno, l’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte delle truppe russe. Questa volta, però, la scommessa di Putin sull’arrendevolezza di Kiev – ma anche di Bruxelles e di Washington – si rivela sbagliata. Di fronte a una dura resistenza, l’esercito russo demoralizzato fa ricorso a tattiche terroristiche: bombardamenti indiscriminati, torture, stupri e massacri di civili inermi. Ieri la propaganda di Putin cerca ancora una volta di collegare l’invasione dell’Ucraina con la “Grande Guerra Patriottica” combattuta da russi e ucraini contro la Germania di Hitler. Si capisce perché: la vittoria contro il nazismo è l’unica vicenda militare “potabile” nella storia della Russia degli ultimi secoli, l’unico mito capace di dare dignità a una potenza economicamente, tecnologicamente e culturalmente sottosviluppata, che non ha mai conosciuto la democrazia, ha sempre rifiutato i valori liberali, ha sempre cercato di sottomettere i propri vicini e si è sempre autocompresa come avversario dell’Occidente immorale e degenerato. Perché la manipolazione dei fatti sia completa è necessario pertanto tacciare come “nazista” l’amministrazione di Volodymyr Zelensky, il presidente dell’Ucraina eletto secondo i canoni delle liberaldemocrazie occidentali. Putin ancora evita di chiamare questa iniziativa con il suo nome – “guerra” – e perfino ribadisce di essere contrario – a parole – a una guerra globale. Ma non smentisce la favola della liberazione dell’Ucraina dal nazismo per restituirla a quel “Mondo russo” che – come in ogni retorica nazionalista e imperialista – rappresenta una zona mitologica vagamente definita dal dominio di Mosca, strettamente legato al potere temporale della Chiesa ortodossa russa, il cui patriarca ha benedetto l’invasione. Allo stesso modo, Putin giustifica l’operazione militare speciale come una difesa dei “territori propri”. Di fatto, nella retorica artificiosa del despota è un nuovo capitolo dell’eterna opposizione contro il nazismo.
Il paradosso è che, in questa guerra, un erede del nazismo effettivamente esiste, ma è lo stesso tiranno russo. “Con l’invasione dell’Ucraina, Putin, la sua cerchia ristretta e i generali stanno ora rispecchiando il fascismo e la tirannia di 70 anni fa, ripetendo gli errori dei regimi totalitari del secolo scorso”, dichiara il ministro della Difesa britannico, Ben Wallace, con la cruda schiettezza che spesso contraddistingue gli anglosassoni. Che, peraltro, di bombardamenti nazisti se ne intendono: la capitale Londra fu colpita nel settembre del 1940.
La verità è che le somiglianze tra l’aggressione russa odierna e la guerra di conquista di Hitler in Europa dopo il 1939 sono più d’una. C’è un dittatore che ha ordinato l’invasione di un territorio straniero autonomo per l’autoesaltazione della propria nazione. Lo ha fatto senza essere stato provocato da un attacco da parte del paese invaso, perseguendo i suoi obiettivi in violazione degli accordi bilaterali e internazionali e del diritto riconosciuto nelle carte dell’Onu. L’invasione è giustificata sulla base di false pretese di supremazia storica, ideologica e, perfino, mistico-religiosa. Si propaga un mito secondo cui le vittime dell’aggressione vengono di fatto liberate dall’oppressione. I militari hanno agito barbaramente, puntando direttamente la popolazione civile con l’obiettivo della sua eliminazione fisica, etnica e culturale. Nel frattempo, la popolazione civile è vittima di una manipolazione ideologica totalitaria.
Insomma: la grande esibizione dell’esercito russo nella Piazza Rossa e la falsa giustificazione “anti-nazista” dell’aggressione in Ucraina rappresentano una odiosa operazione di propaganda che strumentalizza la memoria delle decine di milioni di persone assassinate nella seconda guerra mondiale. Proprio domenica scorsa, i paesi del G7, immaginando la sceneggiata, hanno preventivamente stigmatizzato l’invocazione della sconfitta di Hitler da parte di Putin come una scusa per giustificare l’aggressione all’Ucraina. “Commemoriamo la fine della Seconda guerra mondiale e la liberazione dal regno del terrore fascista e nazista. Settant’anni dopo, Putin ha scelto di invadere l’Ucraina in una guerra non provocata di aggressione. Le sue azioni coprono di vergogna la Russia e gli storici sacrifici del suo popolo”, si legge nel messaggio finale del G7. Ciò nonostante – o proprio per questo? – nel corso del suo discorso alle truppe di ieri il despota del Cremlino tenta una “captatio benevolentiae” della comunità internazionale riconoscendo e ricordando il valore degli alleati che nella seconda guerra mondiale si opposero alla Germania nazista insieme con i russi. Ma ci vuole ben altro, ormai, per riconquistare la stima delle cancellerie dei paesi occidentali impegnate a cercare nuove misure per fronteggiare la minaccia del Cremlino.
Giornalista, direttore di Libertà Eguale e della Fondazione PER. Collaboratore de ‘Linkiesta’ e de ‘Il Riformista’, si è occupato di comunicazione e media relations presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio. Direttore responsabile di Labsus, è stato componente della Direzione nazionale di Cittadinanzattiva dal 2000 al 2016 e, precedentemente, vicepresidente nazionale della Fuci. Ha collaborato con Cristiano sociali news, L’Unità, Il Sole 24 Ore, Europa, Critica Liberale e Democratica. Ha curato il volume “Riformisti. L’Italia che cambia e la nuova sovranità dell’Europa” (Rubbettino 2018).