di Enrico Borghi
Primo di una serie di interventi verso l’Assemblea nazionale di Libertà Eguale – Orvieto, 28-29 settembre 2019
Ho partecipato ieri mattina alla riunione della direzione del Pd, allargata ai gruppi parlamentari di Camera e Senato, che con un solo voto contrario -al termine di una buona relazione del segretario Nicola Zingaretti- ha dato mandato al medesimo di “dare la disponibilità del Pd nelle consultazioni a verificare le possibilità di un nuovo governo”. Al di là delle formule in politichese, il Pd -unito- ha formalmente manifestato la propria disponibilità per quello che definiamo il “governo della svolta”.
Si tratta di un passaggio delicato e complesso, da realizzarsi nel quadro delle prerogative costituzionali che fanno del Parlamento il luogo della sovranità popolare.
Ci saranno certamente, come è inevitabile e giusto in un quadro di dialettica politica e di democrazia, opinioni di varia natura.
E avremo modo di di confrontarci, dialogare e discutere nel merito, perché la verità assoluta non appartiene a nessuno, e ciascuno di noi ne porta un pezzo in tasca e può essere composta solo con l’incontro.
A me preme, in questo momento, sottolineare un aspetto. Per imprimere il segno della “svolta”, ed evitare che questo passaggio venga vissuto -o semplicemente letto- come una mera spartizione del potere, occorre dare significato politico a questo passaggio. Diversamente, una regressione del dialogo a semplice spartizione del potere determina la necrosi di qualunque opzione di governo. Lo stesso governo nazional-populista è franato proprio su questo.
A mio avviso, il senso politico di questo sforzo che stiamo per compiere potrebbe rintracciarsi nella ricostruzione di un “ethos” condiviso nel Paese. L’Italia è un paese slabbrato, confuso, diviso, perché sulle conseguenze negative innescate dalla grande crisi economica che dura ormai da un decennio si è innescata una speculazione politica -messa in campo dalla peggiore destra che si sia vista in 70 anni di Repubblica- che ha reso il Paese più fragile, più impaurito, più frastornato. In questo contesto, pericoloso anche per lo stesso impianto democratico, rischiano di saltare gli stessi fondamenti del nostro vivere collettivo.
Alla radice e al fondo dell’agire dei prossimi giorni, credo si debba mettere questo sforzo di ricostruzione di un grande tessuto connettivo nel Paese, inteso come codici di comportamento che -interiorizzati dagli individui in funzione della loro integrazione sociale- ricostruiscano il carattere, il temperamento e i legami della nostra comunità nazionale.
Questo, a mio avviso, è il significato vero dello sforzo di riportare la politica la centro, nella sua duplice accezione di autonomia e di assunzione di responsabilità.
Con una annotazione finale, che spero sia la bussola del nostro lavoro: ci lasciamo alle spalle una esperienza di governo, tra Lega e Movimento 5 Stelle, che è implosa su se stessa. E’ stata una esperienza fatta di grandi proclami. Credo che quella ricostruzione dell’ethos condiviso arrivi da una ricomposizione tra cittadini e politica. E che questa sia fattibile se ai grandi proclami, retorici e illusori, sostituiamo la consapevolezza dei nostri limiti. Sulla quale costruire un percorso di ascolto e di lavoro condiviso. Su questo potremmo davvero fondare non qualcosa di nuovo, termine abusato e ormai vacuo, ma qualcosa di diverso. E di giusto.
Deputato del Partito Democratico dal 2013. Già sindaco di Vogogna per ben quattro mandati, è attualmente membro dell’Assemblea nazionale del Pd e componente della Commissione Difesa della Camera dei Deputati. Presidente dell’Uncem dal 2000 al 2018. Aderisce a Base Riformista.