di Alberto Bianchi
Strano modo di ragionare quello dei pacifisti moralisti che, nei casi Almasri e Ucraina, mostrano di considerare riprovevoli il realismo politico e la ragion di Stato quando adottati dagli altri, ma di valutarli buoni ed accettabili quando adottati da sé medesimi.
Com’è noto, pacifisti extraparlamentari e parlamentari contestano il realismo politico e la ragion di Stato con cui il governo Meloni giustifica (con alcune buone motivazioni) il proprio comportamento nel caso Almasri. Sia chiaro: si può condividere o no la linea del governo.
Il punto, però, è un altro. Il realismo politico e la ragion di Stato, contestati al governo sul caso Almasri, sono invece considerati virtuosi, legittimi e, dunque, adottati da pacifisti di varia foggia e collocazione politica quando si discute di porre fine – a qualsiasi prezzo – alla guerra in Ucraina, tanto che quest’ultimi oggettivamente finiscono per trovarsi al fianco della recente svolta “trattativistica” dell’Amministrazione americana, centrata sul rapporto diretto Trump-Putin al costo di emarginare l’Ucraina e l’Ue e di ridare credito all’autocrate di Mosca.
Per detti pacifisti, insomma, si tratta di realismo politico e di rapporti di forza dati tra la superpotenza russa e la debole Ucraina che avrebbero dovuto sconsigliare, in ogni caso, l’invio di armi a sostegno della resistenza Ucraina. Questa “doppia morale” è talmente pervasiva e nociva da creare tra i pacifisti oltranzisti una confusione grave sul concetto e la pratica del realismo politico, che invece ha valenze e modalità diverse.
C’è un distorto ed illusorio realismo politico (e ragioni di Stato conseguenti) che condusse Chamberlain, nel 1938, a cedere alle richieste espansionistiche di Hitler (oggi di Putin); e c’è un realismo politico virtuoso e coraggioso che riuscì a coniugare gli interessi strategici e militari americani ed inglesi con la guerra contro il nazi-fascismo e per il ritorno della libertà e della democrazia almeno in una parte dell’Europa.
I pacifisti di oggi – ahimè – sono attratti dal realismo politico e dagli interessi di un Trump-Chamberlain, per giunta aggressivo ed antieupeo, piuttosto che dal realismo finalizzato ad implementare una deterrenza interventista dell’Ue, o almeno di una parte di essa, che sarebbe nell’interesse dell’Europa, dell’Italia e di una pacificazione vera nel cuore del continente.
Sessantacinquenne, romano, studi classici, lavora presso Direzione Trenitalia spa, gruppo Fs italiane. Sin da giovane, militante della sinistra: prima nelle fila della Federazione Italiana Giovanile Comunista (FIGC), poi nel PCI (componente migliorista), fino allo scioglimento del partito. Successivamente ha aderito al PDS, poi DS. Attualmente è socio ordinario di Libertà Eguale.