di Umberto Ranieri
Il Parlamento europeo ha votato ad ampia maggioranza la scorsa settimana una risoluzione che conferma il sostegno all’Ucraina.
L’articolo 8, punto cruciale della risoluzione, contiene la richiesta ai Paesi membri dell’Unione di revocare le restrizioni imposte agli ucraini sull’uso di armi occidentali contro i siti strategici da cui parte l’offensiva militare di Mosca.
La risoluzione non avalla un uso indiscriminato delle armi ma riconosce legittimo che gli ucraini reagiscano alle incursioni aeree, ai droni e ai missili lanciati da postazioni militari dislocate nel territorio russo.
La grande maggioranza degli eurodeputati italiani ha votato contro l’articolo 8. Un pasticcio, scrive Angelo Panebianco. Lo ha fatto il partito di Giorgia Meloni assillato dalle incursioni di Salvini alla sua destra. Sull’altro versante, il Pd di Elly Schlein, diversamente dalla indicazione del gruppo dei socialisti e dei democratici di cui il Pd fa parte, con la eccezione di Pina Picierno e di Elisabetta Gualmini, ha votato contro il passaggio della risoluzione che autorizza Kiev a usare le armi occidentali in territorio russo. Un voto mosso essenzialmente dalla preoccupazione di non inasprire i rapporti con gli alleati del cosiddetto campo largo.
Paradossale che abbiano poi entrambi, sia FdI che il Pd, votato favorevolmente la risoluzione che nella sua interezza contiene l’articolo 8 contro cui si sono schierati. Una forma di ipocrisia politica (il gioco delle tre carte, direbbero a Napoli).
Colpisce la insensatezza politica della condotta del Pd. Una scelta favorevole all’articolo 8 avrebbe fatto emergere limpidamente l’ambiguità e il tatticismo del governo, isolato il filo putinismo della Lega di Salvini. In realtà, ambiguità e tatticismo hanno segnato il comportamento del Pd.
C’è da chiedersi se non abbia ragione l’amara conclusione cui giunge Angelo Panebianco: ”L’Italia politica è divisa fra chi vuole darla vinta a Putin (niente più armi a Kiev) e chi sostiene l’Ucraina ma a patto che non esageri nel suo impegno a difendersi”. Stanno così le cose?
Nel principale partito della opposizione temo continui a mancare una riflessione seria sulle cause della aggressione russa all’Ucraina. Il gruppo politico militare che domina in Russia ritiene che per governare gli equilibri del mondo vada rimessa al centro il tema della potenza e della forza. Altro che diritto. Di qui il comportamento di Putin che, con la forza, vuole costringere uno Stato sovrano a cedere parte del proprio territorio e a rinunciare a determinare autonomamente il proprio destino. L’invasione dell’Ucraina rappresenta la ripresa di un intento imperiale sull’Est europeo da parte della Russia.
I piani di Putin di spezzare la resistenza e di prendere il controllo dell’Ucraina sono tuttavia falliti. L’Ucraina è riuscita a fronteggiare una Russia che ha convertito un terzo della sua economia alla guerra. Non solo. La teocrazia sciita di Teheran e la Corea del Nord svolgono ormai un ruolo chiave nella guerra fornendo all’esercito russo missili balistici, armi, munizioni.
Lo sforzo dell’Occidente appare lento e scoordinato. Kiev ha ricevuto da tutti i Paesi dell’Unione europea messi assieme meno munizioni di quante il dittatore nordcoreano Kim Jong Un ne abbia spedito a Putin.
L’Ucraina per ovviare al vincolo imposto dai suoi alleati, ha cambiato nel modo di fare la guerra investendo in armamenti autoprodotti e diventando molto più “ingegnosa” nel modo in cui si difende e conduce le sue controffensive: mandando i suoi droni fino alle porte di Mosca, colpendo depositi di armi in Russia, realizzando una incursione nella regione di Kursk.
La capacità di resistenza dell’Ucraina, tuttavia, non può essere data per scontata senza gli aiuti da parte degli Stati Uniti e dell’Europa e senza sciogliere il nodo relativo alle limitazioni all’uso delle armi per colpire i punti collocati in Russia da cui partono gli attacchi e le incursioni aeree. Difficile mettere in discussione la legittimità di una risposta all’aggressione di Putin che si estenda al di là del confine con la Russia.
Sostenere l’Ucraina nella sua resistenza non contraddice la speranza, forte e diffusa in Ucraina, di avviare un negoziato, di porre fine alla guerra. La speranza, scrive Andrea Graziosi, “di arrivare a un armistizio che sancisca in qualche modo il riconoscimento del desiderio degli ucraini di essere se stessi, cioè altro dal putinismo”.
Il punto di fondo oggi per dare concretezza a questa speranza è rafforzare la posizione dell’Ucraina nella eventualità si delinei la possibilità di negoziati.
Presidente della Fondazione Mezzogiorno Europa. Docente a contratto, insegna Storia dell’Europa all’Università La Sapienza di Roma, dove, Economia dei paesi in via di sviluppo all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Politica estera dell’Unione europea all’Orientale di Napoli. È stato deputato della Repubblica Italiana per quattro legislature (XII, XIII, XIV, XV) eletto nelle liste Pds, Ds e, infine, Pd. È stato anche Presidente della Commissione “Affari esteri e comunitari” della Camera dei deputati. Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri dal 1998 al 2001 nei governi D’Alema I, D’Alema II e Amato II.