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Il referendum è contro il principio costituzionale dell’autonomia. E il Pd sbaglia a sostenerlo

Enrico Morando e Giorgio Tonini martedì 20 Agosto 2024
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di Enrico Morando e Giorgio Tonini

 

Il più importante dei referendum per i quali si stanno raccogliendo le firme è solo formalmente contro la legge Calderoli (legge 26/06/2024 n. 86): in realtà è contro il principio costituzionale dell’autonomia differenziata (articolo 116 terzo comma della Carta), se non dell’autonomia tout court, come è organizzata nell’intero titolo V della Costituzione.

A dirlo, con esemplare chiarezza, in un’ampia intervista a “Il Manifesto” (13 agosto), è lo stesso presidente del comitato promotore del referendum per l’abrogazione della legge Calderoli, Giovanni Maria Flick. Il presidente emerito della Corte, nonché ministro della Giustizia nel primo governo Prodi, dice di aver accettato l’impegnativo incarico di presiedere il comitato, per la rilevanza della posta in gioco: “salvaguardare la Costituzione di fronte ad una prospettiva di riforma che minaccia di sconvolgere completamente il tessuto costituzionale”.

Ma la “riforma” alla quale si riferisce Flick non è solo – e non è tanto – la legge Calderoli: “nel 2000 si è cercato di introdurre una riforma concettualmente sbagliata che adesso viene utilizzata per portare avanti l’autonomia differenziata… un federalismo competitivo e non solidale come lo vede la Costituzione nell’articolo 5”.

Dunque nel mirino del referendum c’è la Costituzione stessa, che quasi un quarto di secolo fa sarebbe stata stravolta in aperta contraddizione con uno dei principi fondamentali della Carta (art. 5), mettendo così “in pericolo la sopravvivenza della Costituzione nella sua interezza”.

Del resto, conclude Flick, “tutti, anche chi si oppone al referendum, continuano a riconoscere che la riforma del titolo V voluta dal centro sinistra per contrastare le prospettive federaliste della Lega e fatta in gran velocità, è stata un disastro. Questa legge (la Calderoli, ndr) ne ripropone gli stessi difetti. Di fronte all’errore commesso allora, non era il caso di insistere”.

È per queste ragioni, autorevolmente esposte da Flick, che non abbiamo firmato la proposta di referendum abrogativo e riteniamo che il nostro partito, il Pd, sbagli a sostenerlo. La legge Calderoli può e deve essere criticata per molti aspetti, insieme alla narrazione che dell’autonomia differenziata propone la Lega.

Ma in sé è troppo poca cosa per giustificare un referendum abrogativo. Non si chiamano al voto 50 milioni di italiani per emendare una legge di procedura. Se si ricorre al referendum, è perché si vuole mettere in gioco una grande questione di orientamento politico generale, che in questo caso è la Costituzione stessa, come riformata da noi (noi centrosinistra) ventiquattro anni fa, con l’avallo di un referendum popolare confermativo.

Cambiare idea, un quarto di secolo dopo, è certamente legittimo. Del resto la Lega (e il centrodestra nel suo insieme), che allora si oppose al nuovo titolo V, oggi lo ha fatto proprio. Semmai solleva qualche dubbio, anche sul piano costituzionale, l’uso del referendum per colpire non una legge ordinaria, ma un articolo, anzi un titolo intero della Costituzione. In caso di successo del referendum, la Costituzione stessa ne risulterebbe delegittimata, pur restando in vigore. Per riformare la riforma del 2000, se si vuole farlo, c’è la procedura stabilita dalla Carta stessa, all’articolo 138.

Ma in questo caso, a nostro modesto giudizio, cambiare idea è anche sbagliato. Il Titolo V è certamente rivedibile e perfettibile. Soprattutto, andrebbe completato con la riforma del bicameralismo e la creazione di una vera Camera delle Regioni, come tentava di fare la riforma Renzi-Boschi. Ma non c’è nessuna ragione, a nostro avviso neppure di sostenibilità finanziaria (come dimostra il caso esemplare della sanità), per abbandonare la strada dell’autonomia in favore di una nuova stagione di centralismo.

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