di Giovanni Cominelli
Renzi è all’alba o al tramonto? All’alba! Rispondono tutti coloro che hanno investito sulla speranza di un salto quantico dalla vetero-sinistra del XX secolo, cui continuano ad ispirarsi Zingaretti, D’Alema e tutti i corbyniani cisalpini, a quella del XXI secolo. Al tramonto! Per i suoi nemici seriali, tra cui i cisalpini, uniti in un odio ecumenico di destra-sinistra.
Un fatto è certo: Italia Viva non decolla nei sondaggi. Che sono sensori imperfetti, si sa, ma con segnalazioni ripetute e convergenti. Eppure, ogni volta che MR parla, indica una strada per il Paese, da “Shock Italia” al discorso sui rapporti politica-giustizia, allo sguardo globale sul Paese, all’ottimismo di fondo… Insomma “lucerna lucens in caliginoso loco”… Però la luce resta tenue.
Tutti i nemici di Renzi
I cosiddetti “renziani”, non solo i sedicenti, non lo hanno seguito nella sua nuova avventura e, talora, sono più accaniti degli avversari di sempre. Alcuni magistrati e apparati statali lo hanno preso di mira e hanno costruito complotti veri e propri, si veda alla voce Scafarto. La Banca d’Italia non lo ama, perché ha osato toccarla. I sindacati neppure. Il compound industrial-politico-
Nella più vasta opinione pubblica si è ormai consolidato un giudizio – sia in quella ostile sia in quella favorevole – secondo il quale Renzi è un leader bruciato. I sondaggi registrano le percezioni. Quando sono tante, sono anch’esse realtà.
Matteo Renzi al bivio
A questo punto, Matteo Renzi si trova di fronte ad un bivio: o reinventare la sua leadership o vivacchiare perigliosamente tra uno scoglio e l’altro, a mezza costa, con un’imbarcazione troppo leggera per prendere il largo.
L’elenco dei suoi errori è noto.
-Il primo: aver fatto saltare il Patto del Nazareno con Berlusconi. La scelta di Mattarella, invece che di Amato, quale Presidente della Repubblica, ha addomesticato per un attimo la dura opposizione interna del PD, ma ha spezzato la condizione primaria per far approvare tranquillamente la riforma costituzionale.
-Il secondo: l’intestazione al Presidente del Consiglio – cioè a Renzi medesimo – dell’intera campagna referendaria. Con ciò la riforma costituzionale diventava di governo, cioè di parte, invece che di tutti. Chi faceva sondaggi sull’orientamento di voto riceveva stupito la seguente risposta: SÍ sui singoli quesiti, ma voterò NO. La promessa di ritirarsi dalla politica, in caso di sconfitta, ha incominciato a far danni ancora prima di essere disattesa, perché confermava la partitizzazione e la personalizzazione della campagna, compattando a questo punto tutte le opposizioni al governo. La promessa non mantenuta continua a pesare sulla credibilità del leader. Come cantava splendidamente Charles Aznavour ”Il faut savoir laisser la table, quand l’amour est desservi”. Renzi non ha saputo farlo.
-Il terzo errore: l’aver provocato la formazione di un governo con il M5S, accettandone di fatto tutta l’eredità infausta, con l’intento di fermare Salvini. Anche il governo giallo-rosso va avanti a debito pubblico e a tasse. Il consenso a Salvini si è gonfiato.
Come che sia, tra mosse, contromosse, volteggi tattici Renzi ha perso irreversibilmente credibilità anche presso quanti condividono i suoi interventi in Parlamento e le sue iniziative pubbliche. Votano Sì sui singoli punti, ma infliggono un NO tondo al personaggio. Questo dicono i sondaggi. Tutta colpa dei suoi nemici, togati e no?
Che cosa dovrebbe fare Renzi. E che cosa non dovrebbe fare
Il fatto è che la leadership non è solo visione, è carattere, affidabilità e fiducia. E’ un impasto di virtù teologali e cardinali. Si può ricostruire e a quali condizioni, oggi?
-La prima: dire tutta la verità agli Italiani sul declino dell’apparato produttivo, amministrativo, giudiziario, educativo del Paese. “Blood, toil, tears and sweat” – sangue, fatica, lacrime e sudore – inaugurarono la leadership di W. Churchill. Non si pretende tanto da Renzi, si intende…
-La seconda: Renzi deve dire la verità sugli errori di Renzi. In realtà, la madre di tutti gli errori di MR è proprio l’ostinazione pervicace a non ammetterli. Se li hai commessi alla luce del sole è a quella stessa luce che li devi riconoscere come tali. Matteo Renzi non ha ancora fatto l’esercizio doloroso, ma necessario, di camminare, coram populo, a piedi nudi sui carboni ardenti dei propri errori. Senza questo coraggioso passaggio, la ricostruzione della leadership non incomincia neppure. Tale richiesta non è accanimento degli avversari, è la domanda di chi ha investito su una speranza per l’Italia.
-E non è tutto qui. Resta tuttora nebuloso il progetto di partito: organizzato sul territorio? on line, tutto social-media? una rete di Comitati elettorali, che si attivano in occasione dell’arrivo del leader e delle elezioni? E la relazione con le competenze intellettuali? Per costruire un gruppo dirigente o semplicemente uno staff? Un partito senza correnti? Pare essere una concezione totalitaria e plebiscitaria del partito. Persino nel vecchio PCI esistevano delle correnti, pudicamente denominate “sensibilità”. Le correnti rispecchiano il pluralismo politico-culturale di una società democratica.
-Ciò che può impedirne la degenerazione non è solo una forte leadership politico-intellettuale, ma soprattutto e decisivamente un assetto istituzionale, nel quale gli elettori eleggano direttamente il Capo dello Stato e del Governo. In un contesto siffatto, orientato strutturalmente al governo, si restringe di molto lo spazio per la spartizione proporzionale delle risorse tra i partiti e tra le correnti dei partiti. La degenerazione correntizia è solo l’altra faccia di quella partitocratica. Ma l’ultimo Renzi preme per una legge elettorale proporzionale, tutto il contrario dell’ispirazione referendaria del 2016!
La diaspora dei riformisti
Intanto il fronte riformista e liberale è entrato in diaspora: Matteo Renzi, Carlo Calenda, Mara Carfagna, Emma Bonino e, all’interno del PD, Giorgio Gori, tutti o quasi l’un contro l’altro armati… Aumenta il vulgo disperso dei riformisti anonimi e apolidi. Federare con un’operazione mitterrandiana le varie correnti liberal riformiste, minoritarie nella società civile italiana,richiede una maturità e una saggezza di leadership. Al nostro “florentin” serve una radicale metanoia!
(Pubblicato su www.santalessandro.org il 21 dicembre 2019)
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.