di Giorgio Armillei
Sgombriamo il campo da questioni improprie. La caccia a Renzi in modalità “non date retta a chi non è affidabile” non è stata uno spettacolo piacevole. Come quella in modalità “gli interessi del paese vengono prima di quelli di partito”. Anzi, non è difficile cogliere in molti dentro il PD tracce di un livore represso che non fa parte delle buone prassi della politica. E non porta certo al successo.
Renzi fa quello che fanno tutti i leader politici: cerca voti per il suo partito. Perché così funziona la democrazia competitiva. In questo caso cerca i voti di chi non si sente rappresentato né dai partiti sovranisti e populisti, né dai partiti liberali di centrodestra intrappolati nell’alleanza con i primi, né dal PD intrappolato nell’alleanza con il M5s. E non sono pochi questi voti. E come lo fa? La fa da manuale, nel senso che fa esattamente quello che dicono i manuali dei politologi. Usa il potenziale di ricatto e il potenziale di coalizione del suo partito e dei suoi gruppi parlamentari. Vedremo poi se si tratta di un uso razionale allo scopo o se Renzi ha sbagliato e continua a sbagliare i suoi calcoli. Ma questo fa, né più né meno.
D’altra parte, gli elettori a grande maggioranza nel 2016 hanno scelto queste regole del gioco: Renzi e Boschi ne avevano proposte altre che avrebbero ridimensionato i poteri di ricatto e di coalizione, a beneficio di tutti. E avrebbero consentito agli elettori di scegliere in modo certo una stabile maggioranza di governo. Sappiamo tutti come finì. Renzi aveva proposto di cambiare gioco, voleva giocare a basket. Gli italiani hanno deciso di voler continuare a giocare a calcio. Ora non si può chiedere a Renzi di giocare con le regole del basket quando tutti giocano a calcio.
Perché così stanno le cose: tutti giocano a calcio. Cosa spinge il M5s a rifiutare di attivare il MES se non un calcolo elettoralistico diretto a mantenere in piedi l’ultima bandierina ancora sventolabile per il suo retroterra populista e antieuropeista? E cosa spinge il PD a subire il giogo sindacale nel settore pubblico se non il fatto che si tratta di una delle sue ultime constituencies per così dire ancora sicure? A ben vedere tutti fanno lo stesso gioco, tutti si muovono “razionalmente” badando agli incentivi del parlamentarismo proporzionalizzato. Non è questione di beruf o di interesse del paese: basta guardarsi con attenzione la legge elettorale e leggere con altrettanta cura la Costituzione.
Rimosse dunque improprie questioni di principio, guardiamo la razionalità dei comportamenti. Sappiamo che due sono i vincoli di questa fase della politica nazionale: l’invalicabile muro a tutela dell’integrazione costituzionale dell’Italia nell’Unione europea, e dunque la conventio ad excludendum nei confronti delle forze sovraniste. E la credibilità delle policy nazionali per l’attuazione del Recovery plan, un muro altrettanto invalicabile che presidia lo stesso obiettivo: l’intreccio costituzionale tra sistema nazionale e sistema dell’Unione. Insomma, quando la policy diventa politics.
Renzi non intende abbattere nessuno di questi due muri, si potrebbe dire che a differenza di quanto si racconta Renzi è un esecutore della linea Mattarella, l’imponente correttivo presidenziale al parlamentarismo all’italiana. Renzi si muove infatti a caccia di elettori insoddisfatti di come questa maggioranza tiene conto non tanto del primo dei due muri – direttamente presidiato da Mattarella e dai vertici dell’UE come dimostrò la vicenda della nomina del ministro Savona nel governo M5s-Lega – quanto del secondo. Un muro che in virtù degli equilibri tra PD e M5s mostra più di una crepa sotto i troppi colpi dell’ipoteca assistenziale con la quale sono state confezionate molte delle missioni e delle componenti del Recovery plan. L’agenda Mazzucato insomma al posto dell’agenda Draghi, il debito cattivo accanto e spesso al posto del debito buono. Lo dice serenamente anche Enrico Morando su il Foglio di qualche giorno fa: ci sono alternative al Recovery plan di Conte, praticabili anche dentro i vincoli di bilancio, ma il PD continua a rinunciare a un negoziato vero con il M5s.
Perché Renzi non dovrebbe, con le regole del proporzionalismo, andare a caccia degli elettori che sulla base delle loro convinzioni e dei loro interessi economici cercano qualcuno che li rappresenti? Perché solo gli interessi degli elettori europeisti dovrebbero rispettare una specie di regola del fuorigioco a differenza di quelli antieuropeisti espressi dal M5s o di quelli corporativo sindacali espressi dal PD? Tutti giocano a calcio e dunque tutti vanno in fuorigioco con le stesse regole.
Detto quindi che Renzi gioca secondo le regole e soprattutto dentro le mura della costituzione e dell’Unione europea, quelle di Mattarella e di Merkel, resta ovviamente una domanda cruciale: si tratta di un gioco razionale rispetto allo scopo? Alla fine di questa partita quegli elettori saranno rappresentati? Quegli interessi e quelle visioni ideali saranno più forti? Antieuropeismo e difesa corporativa degli interessi del settore pubblico, per fare di nuovo questi due esempi, saranno ridimensionati?
Qui è ragionevole andare a fondo nella critica a Renzi. Dopo questa mezza crisi di governo le prospettive di spostare lungo un asse più liberale e riformatore il Recovery plan sono aumentate? Qui è ragionevole porre dubbi consistenti. E meditare. “Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace” (Lc 14,31-32).
Due versetti che Renzi dovrebbe riprendere in mano per riconfezionare le sue decisioni e rendere intellegibili le sue strategie. Quella fascia di elettori insoddisfatti è lì che attende proposte razionali capaci di spostare gli equilibri politici. Torneremo allora a cercare di capire le sue proposte e a valutare gli equilibri che si andranno consolidando.
Funzionario del Comune di Terni. Già assessore alla Cultura a Terni, è stato collaboratore a contratto del Censis e della cattedra di scienza della politica, Facoltà di scienze politiche della LUISS.
credo Renzi non abbia scelta diversa dalle mosse che ha fatto. E non solo per guadagnare in futuro voti, ma per tirare fuori italy dal pantano corporativo assistenziale antieuropeo statalista in cui stiamo affondando. Penso che i suoi interessi coincidano con quelli della Patria. Anche se è antipatico, egomane, e rottamando PD ha fatto fuori anche persone che lo avrebbero aiutato moltissimo