di Lorenzo Gaiani
1. Il crollo della partecipazione al voto continua, e qui non è questione di mancanza dell’offerta politica, o meglio tale problema (che per molti esiste) si compenetra con quello di una sfiducia ormai crescente sul fatto che la politica possa cambiare la vita delle persone. Un problema potenzialmente letale per una democrazia.
2. La destra ha vinto. Non così largamente come qualcuno diceva qualche settimana fa (ma probabilmente non è mai stato vero che potessero ottenere i due terzi necessari per cambiare da soli la Costituzione), ma in modo netto ed inequivocabile. All’interno della coalizione vittoria chiarissima di Fratelli d’Italia, crollo verticale della Lega (diciamo pure di Salvini, oberato dai suoi fallimenti, dalle sue buffonate, dalle sue amicizie pericolose) e buona tenuta di Forza Italia, che potrà spendere al tavolo governativo il suo principale atout, cioè il fatto di essere l’unico fra i partner della coalizione ad avere un legame strutturale con l’establishment europeo, che diffida di Meloni e detesta Salvini.
3. Meloni, se sarà lei a guidare il Governo, dovrà avere il buon senso di ricordare che lei guida un partito del 26% in una coalizione che ha raccolto il 42% e che ha la maggioranza alle Camere grazie al meccanismo della legge elettorale. Peraltro, tale 42% deve essere anche rapportato al fatto che quasi il 40% degli elettori non ha votato. Se invece penserà di essere la padrona d’Italia, come molti nella sua posizione hanno pensato in questi vent’anni, aprirà un periodo di turbolenza che non serve al Paese, e nemmeno a lei.
4. Il PD ha perso. Una sconfitta rovinosa e senza appello, le cui cause dovranno essere esaminate con chiarezza, e che hanno trovato la loro epitome nella selezione delle candidature, avvenuta in base al triplice criterio dell’appartenenza correntizia, del servilismo e delle meschine vendette personali. Per intanto si può dire che una campagna elettorale manichea , giocata su questioni “identitarie” che non corrispondevano al sentire profondo degli Italiani, e che si è dispersa in mille rivoli polemici, non ha giovato in alcun modo. Quanto a Letta, è sufficientemente maturo per decidere da sé del suo destino: il Segretario in carica nel 2018, tanto per dire, si dimise nel giro di ventiquattr’ore dall’uscita dei dati elettorali.
5. Di per sé, il dato dei 5 stelle confrontato a quello del 2018 è rovinoso, visto che hanno dimezzato il 31% ottenuto allora. Ma le aspettative erano molto peggiori, e questo 15%, ottenuto essenzialmente agitando le piazze meridionali per la tutela del Reddito di cittadinanza (ormai concepito come una misura assistenziale senza alcun rapporto con i percorsi di inserimento al lavoro) , è una garanzia di sopravvivenza di un ceto dirigente selezionato da Conte in base alla fedeltà personale, e che ora dovrà dimostrare se riesce ad evolvere in un vero soggetto politico strutturato (cosa di cui le magre performance a livello comunale fanno dubitare).
6. Qualcuno sta ancora tirando fuori la favoletta del “campo largo”: no, quei voti non si sommano, e comunque Conte era stato avvisato chiarissimamente da Letta e Franceschini su quali sarebbero state le conseguenze di una caduta del Governo Draghi, che il capo dei 5stelle ha perseguito per interesse di partito e meschina invidia. Se ciononostante il PD si fosse alleato ugualmente con i grillini, molti elettori democratici avrebbero preferito migrare su Renzi e Calenda (i quali si sono sempre detti contrari all’alleanza con Conte). E’ da dire che probabilmente alleandosi con il PD i 5stelle non avrebbero ottenuto quel 15%, perché la dinamica populista esclude le coalizioni.
7. La coalizione centrista messa in piedi in fretta e furia da Renzi e Calenda è ben lontana dall’obiettivo della doppia cifra sbandierato in campagna elettorale, e tuttavia il risultato finale non è disprezzabile e permette ai due capi, se saranno capaci di marciare uniti, di avere una base di partenza per la costituzione di un soggetto liberaldemocratico, soprattutto se il PD commettesse di nuovo l’errore esiziale di infilarsi in un’alleanza subordinata con i 5stelle (perché il problema non è l’alleanza in sé, ma la subordinazione intellettuale e politica che deriva dalla carenza di idee proprie, come si è visto chiaramente negli anni della squallida gestione Zingaretti-Bettini).
8. I buffoni, i ciarlatani, i pazzi ( Unione popolare, Italia Sovrana, Italexit….) sono stati tenuti fuori dalla porta del Parlamento , e questa è una buona notizia.
9. I problemi del Paese sono tutti lì: la crisi sociale, la crisi energetica, la crisi internazionale, la crisi delle istituzioni a tutti i livelli. La destra probabilmente governerà male, e potrebbero esserci tensioni con le nostre alleanze tradizionali (più con la UE che con la NATO, probabilmente). Esistono tuttavia dei solidi argini costituzionali a preservare la nostra democrazia, a partire dalla saggezza del Capo dello Stato, ed in ogni caso , al di là delle forzature polemiche, l’autunno del 2022 non è quello del 1922.
Un’alternativa va costruita, ma nella realtà, e non contro i fantasmi del passato.