di Pietro Salinari
La rimozione del declino
L’Italia è in declino da almeno 20 anni. Esiste una montagna di articoli giornalistici o accademici che documentano questo fenomeno e ne analizzano le cause e i possibili rimedi. L’Unione Europea lo ha ben presente. E’ altrettanto chiaro che nessun partito italiano ha mai messo questo problema al centro delle sue riflessioni e dei suoi programmi. Esiste una sorta di rimozione, per cui nessun leader affronta di petto questo argomento, sia perché probabilmente spaventati dalla complessità e dell’impopolarità delle scelte relative, sia dallo scarso “spazio di manovra” che affliggeva qualunque governo italiano, grazie a livelli di indebitamento e tassazione tra i più alti dell’OCSE. Next Generation EU ha eliminato o comunque attutito questo secondo vincolo, rendendo ancora meno sostenibile la rimozione.
In questo momento al PD potrebbe convenire fortemente abbandonare l’atteggiamento di rimozione, per almeno tre ragioni. D’altra parte, la situazione politica generale e la propria situazione interna pongono il PD di fronte a rischi esistenziali se persisterà nella rimozione.
Il nostro declino mette in pericolo il progetto europeo
L’aspetto più rilevante e preoccupante del declino è l’allontanamento dei nostri fondamentali da quelli dei principali paesi europei e addirittura dalla media UE. Questo divario tende ad aumentare negli ultimi decenni e crea una forte contraddizione con la più chiara e condivisa delle nostre scelte, l’adesione convinta all’UE. Uno dei presupposti della moneta unica e la condizione per ulteriori integrazioni è una certa omogeneità tra paesi: per esempio la BCE è in forte imbarazzo se i cicli di alcuni paesi non sono sincronizzati, con alcune economie che hanno bisogno di stimoli e altre che hanno bisogno di contenere spinte inflazionistiche. Questo problema è chiaro a Bruxelles, e Next Generation Eu è stato concepito proprio per tentare di invertire questa preoccupante tendenza, e non semplicemente per rialzarsi dalla crisi generata dalla pandemia. Queste preoccupazioni sono chiarissime negli interventi di Gentiloni, ma non sembrano essere condivise da nessun dirigente politico in Italia. Sembra quasi che affrontare questo problema sia un suicidio elettorale, e quando la situazione diventa insostenibile ed è assolutamente necessario fare qualcosa, nessuno vuole assumersi la responsabilità diretta, e si affida il “lavoro sporco” ad un tecnico.
Una linea sensata non può prescindere dal declino
Inoltre, tutte le spiegazioni della netta sconfitta del PD partono dalla constatazione che non ci sia stata una linea chiara che unisse e desse senso ad una serie di proposte e decisioni specifiche, spesso non sbagliate, ma che non si inquadravano in un disegno unitario.
Ma se ci si propone di elaborare una linea, l’ombra proiettata dal declino è talmente vasta che qualunque problema concreto si voglia affrontare ne è influenzato e condizionato: le lotte per i diritti, l’eguaglianza, il lavoro, l’appartenenza all’Europa, la transizione verde si pongono in maniera completamente diversa in un paese in declino o in sviluppo. Solo una prospettiva che prenda atto del declino e si proponga di invertirlo rende possibile formulare proposte sensate.
Un quadro generale condiviso aiuta il dibattito
Adottare il punto di vista della necessità di invertire il declino e abbandonare la rimozione di questo problema aiuterebbe, tra l’altro, a mitigare l’estrema frammentazione interna del PD. L’attuale situazione porta tutti i leader del PD a “sventolare bandierine” e il dibattito si trasforma in uno scontro tra varie tifoserie, e non porta ad una argomentazione serena ma alla contrapposizione di versioni caricaturali di temi come riformismo o massimalismo. Uscire dal declino, qualora si decida di porre termine alla rimozione, è un tema su cui tutti dovrebbero essere d’accordo (non mi pare che nel PD abbia molto seguito la “decrescita felice”) e quindi qualunque proposta specifica si dovrebbe collocare in questo quadro. Ovviamente non esiste una sola ricetta per invertire il declino e riavvicinarci all’Europa: per esempio sono possibili strategie di sviluppo che accentuino le disuguaglianze che peraltro si sono verificate nel corso della storia. Ma si sono anche verificati periodi di sviluppo in cui le disuguaglianze sono sensibilmente diminuite. Quindi non esiste una contrapposizione tra sviluppo e diritti, ma esistono diverse strategie di sviluppo.
Questo consente la formulazione di proposte diverse e, al contempo, fornisce un quadro comune per valutarle. Per esempio Next Generation EU fornisce un quadro chiaro delle riforme che condizionano gli aiuti, ma ovviamente non entra nel dettaglio di come queste debbano essere attuate dai vari Stati. Il PNRR e la cosiddetta Agenda Draghi recepiscono e adattano all’Italia i requisiti di Next Generation EU, e fissano gli obiettivi nazionali, ma ovviamente hanno tenuto conto dell’estrema eterogeneità della maggioranza che sosteneva il governo Draghi. Quindi, sembra che ci sia uno spazio piuttosto ampio per concepire diverse forme di conseguimento degli obiettivi del PNRR, affrontando in modo più o meno accentuato la riduzione delle disuguaglianze, la riforma della PA e della scuola, decidendo in che modo favorire l’occupazione, la creazione di “buoni posti di lavoro”, favorendo la riqualificazione dei lavoratori, riducendo in misura maggiore o minore il divario del Sud, realizzando più o meno la parità di genere.
Sarebbe quindi possibile, nel nostro dibattito congressuale, che chiunque privilegi uno di questi temi non tenti di dimostrare come la propria bandierina sia la più bella del mondo, ma come quel tema si integri e si equilibri con gli altri.
Mi ha sorpreso l’assenza di dibattito politico su questi temi, sia in parlamento che nel paese. Eppure è chiaro che un processo così impegnativo come l’inversione della tendenza al declino non può avvenire senza una larga partecipazione e sostegno popolare e un accordo tra le parti sociali. Il PD, con la sua capillarità e radicamento territoriale può essere il partito meglio in grado di suscitare questo movimento, e le competenze disponibili sui vari dossier gli consentirebbero di formare un “governo ombra” credibile.
Timori
Ho tentato di illustrare brevemente due ragioni per cui al PD converrebbe uscire dalla rimozione del problema del declino, la necessità di una linea solidamente fondata e di un dibattito che abbia un quadro comune, attenuando le polarizzazioni. Mi sembra di intravedere un grave pericolo, qualora esitasse a farlo, e persistesse nell’orientamento di perseguire temi singoli scollegati e bandierine di corrente. Nelle prime mosse del governo di destra si nota una differenza netta tra l’atteggiamento di Salvini, che al suo solito sventola bandierine prive di qualunque effetto concreto sui problemi del Paese, e quello della Meloni, che, pur non rinunciando a bandierine identitarie, cerca anche di proiettare un’immagine concreta e pragmatica. Difficilmente questo governo sarà in grado di affrontare con successo i problemi del Paese, per svariate sue caratteristiche; ma il timore è che possa proiettare l’immagine di voler affrontare problemi concreti che il centro sinistra ignora. Qualora questi timori fossero fondati e quella strategia avesse successo, la sinistra verrebbe marginalizzata e il consenso elettorale di FdI crescerebbe sensibilmente.
Ha studiato economia alla Sapienza di Roma. Ha fatto parte dell’ufficio studi della Lega Nazionale delle Cooperative e della presidenza dell’Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori. Ha lavorato come dirigente, con prevalente responsabilità sui sistemi informativi in Iper Lombardia e in Unicard s.p.a. Ha due passioni: l’economia e l’informatica.