Il 16 aprile 1988 Roberto Ruffilli venne ucciso dalle Brigate Rosse. A 25 anni dall’assassinio dell’illustre giurista ripubblichiamo per i lettori di Libertà Eguale il testo di Augusto Barbera, giudice della Corte Costituzionale, apparso per la prima volta sulla rivista Il Mulino, il 12 aprile 2013, con il seguente titolo: “A 25 anni dall’assassinio di Roberto Ruffilli”.
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di Augusto Barbera*
La agghiacciante notizia dell’assassinio di Roberto Ruffilli ad opera del vile gruppo di fuoco del Partito comunista combattente mi giunse nel pomeriggio del 16 aprile 1988 mentre mi trovavo a Bonn. Ero, assieme alla collega parlamentare Anna Maria Serafini, in visita segreta (sic !) al Gruppo socialdemocratico del Bundestag, su incarico dell’allora capogruppo Renato Zangheri. Lo scopo era quello di stabilire contatti fra il gruppo del PCI e quello della SPD in vista di una possibile adesione dei comunisti italiani all’ Internazionale socialista (nell’anno successivo ci sarebbe stato il primo incontro ufficiale fra Napolitano e Willy Brandt). La visita doveva mantenere quei caratteri di segretezza per non suscitare le gelosie del partito di Craxi e per non contribuire ad allertare sovietici ed americani. Ho voluto ricordare questo particolare per evidenziare la distanza di tempo intercorsa – siamo nell’altro secolo e prima della caduta del muro di Berlino ! – e l’estenuante dibattito italiano su problemi tuttora irrisolti ; quelli cui Roberto si era dedicato con passione e per i quali ha perso la vita .
Lavorammo insieme nella Commissione Bozzi, io come responsabile del gruppo comunista e Ruffilli responsabile del gruppo della Dc (ed entrambi allora docenti nella Facoltà di Scienze politiche di Bologna, assieme a Pasquino e Andreatta, anch’essi componenti attivi della Commissione stessa). In un editoriale pubblicato sull’Unità del 14 aprile 1989, ad un anno dall’assassinio, richiamando le preoccupazioni comuni per la sorte della Commissione, scrivevo : “quella era forse l’ultima occasione offerta alle forze politiche protagoniste dei quarant’anni di Repubblica per rinnovarsi e rinnovare il sistema politico. Se si fallisce – dicevamo – sarà concreto il pericolo di un regime plebiscitario basato su personalità carismatiche, sull’influenza dei mass media e dei poteri occulti, sulla riduzione degli spazi per la politica…Poi il grande freddo raggelò le residue speranze: il Decreto di San Valentino fece traballare il secondo tavolo delle riforme istituzionali; il partito socialista pose la pregiudiziale del superamento del voto segreto, Stefano Rodotà uscì sbattendo quella porta che ancora il PCI esitava a chiudere, i senatori democristiani si ribellarono all’idea di bicameralismo ineguale che Roberto Ruffilli aveva con tanto equilibrio disegnato”.
Gli atri tentativi di riforma non ebbero migliore sorte , né la Commissione De Mita Iotti, affossata dalla prematura fine alla legislatura 92-94, né la Commissione D’Alema, né le altre iniziative parlamentari degli anni successivi, in un quadro istituzionale che peraltro andava aggravandosi. Ora il documento dei “saggi” sulle riforme costituzionali. L’amarezza e lo sconforto sono accresciuti dal fatto che le più importanti proposte dei “saggi” sulla forma di governo erano già contenute nella relazione finale della Commissione Bozzi, in quelle parti votata con larghissimo consenso; parti su cui aveva lavorato proprio Roberto Ruffilli, trovando un’ ampia intesa anche con il gruppo comunista (alcune di tali proposte, peraltro, erano state concordate dal sottoscritto con Giorgio Napolitano, in stretto contatto con Perna e Natta) . Mi riferisco alla riduzione dei Parlamentari, alla fiducia al solo Presidente del Consiglio, che così avrebbe avuto maggiore autonomia nella scelta e revoca dei Ministri, al procedimento legislativo imperniato sulla Camera dei deputati superando il bicameralismo perfetto (e valorizzando anche per la fiducia il Parlamento in seduta comune), ai limiti severi alla decretazione d’urgenza, ad una rigorosa revisione delle norme sul bilancio, alla disciplina del finanziamento pubblico e ai limiti alle spese dei candidati, al rafforzamento dell’iniziativa popolare e ad una più congrua disciplina del referendum abrogativo, al pluralismo dei mezzi di informazione (per la prima volta inserito espressamente in Costituzione), al voto palese sulle decisioni di spesa (qui si registrò un punto di rottura, mio malgrado , con il PCI), ed altro ancora. Molte di quelle proposte sono stancamente ritornate in molti progetti delle successive legislature, e di varie forze politiche : bene avrebbero fatto i “saggi” a mettere in risalto , documentandole, le convergenze manifestatesi negli anni, fin dalla Commissione Bozzi evitando di aggiungere ulteriori proposte di riforma ad un panorama già fin troppo ricco e inconcludente.
Roberto Ruffilli era un riformatore, come Ezio Tarantelli , Massimo D’Antona, Marco Biagi, . Le Brigate Rosse avevano con lucidità assassina capito il pericolo rappresentato dal suo lavoro. Il comunicato con cui fu rivendicato l’assassinio può rappresentare – io credo – il migliore epitaffio per ricordarlo e onorarlo: “[…] uno dei migliori quadri politici della DC, l’uomo chiave del rinnovamento… teso ad aprire una nuova fase costituente, perno centrale del progetto di riformulazione delle regole del gioco, all’interno della complessiva rifunzionalizzazione dei poteri e degli apparati dello Stato. Ruffilli era altresì l’uomo di punta che ha guidato in questi ultimi anni la strategia democristiana sapendo concretamente ricucire, attraverso forzature e mediazioni, tutto l’arco delle forze politiche intorno a questo progetto, comprese le opposizioni istituzionali”.
*Augusto Barbera è professore emerito di diritto costituzionale nell’Università di Bologna. È stato Ministro per i rapporti con il Parlamento nel Governo Ciampi. Dal 21 dicembre 2015 è giudice della Corte costituzionale.