di Elisabetta Corasaniti
Abbiamo già appurato che la logica populista ha come caposaldo la creazione di un nemico. L’attuale governo infatti, come direbbe Carl Schmitt, ha bisogno di nemici come “pericoli diffusi” più che come figure concrete, e dunque ben si adatta ad una consapevole strategia di delegittimazione.
Un capro espiatorio facile e falso per ogni conflitto è il magistrato, che da sempre ha un rapporto complesso con la politica. E’ la querelle che sussiste tra le prerogative dell’esecutivo e le istanze della magistratura, spesso raffigurata come espressione di una corporazione privilegiata e vendicativa.
La logica dell’intimidazione
Nello sciagurato caso specifico, il ballon d’essai è stato lanciato dal poco edificante ministro Matteo Salvini tramite diretta facebook.
Precisamente, il ministro dell’interno ha aperto in diretta facebook la lettera inviatagli dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi che lo informava dell’indagine nei suoi confronti per sequestro di persona aggravato (trattasi della vicenda Diciotti). Dei quattro reati contestati dalla procura di Agrigento al responsabile del viminale resta soltanto il sequestro di persona.
«Interrogatemi domani, vengo a piedi a Palermo domani a spiegare cosa ho fatto, mi costituisco. Io avrei privato della libertà personale questi migranti che sono scappati, scomparsi, che non vogliono dare le generalità? ».
E’ duplice la logica dell’attacco preventivo:
L’esigenza (di cui la diretta facebook è paradigmatica) è di formare nella cittadinanza l’adesione ad un punto di vista unico, piuttosto che l’esercizio del pensiero critico: non la creazione di un confronto nella pluralità degli approcci, ma l’ubbidienza all’espressione della volontà unitaria (che ovviamente non esiste) della maggioranza dei rappresentati, o peggio del popolo intero, immaginariamente unificato come suo amico e complice :
«questo ministro è stato eletto da voi, cioè a questo ministro voi avete chiesto di controllare i confini, di controllare i porti, di limitare gli sbarchi, di espellere i clandestini: me lo avete chiesto voi, quindi vi ritengo amici e complici, altri non sono eletti da nessuno e non devono rispondere a nessuno. Qui c’è la certificazione che un organo dello stato indaga un altro organo dello stato, con la piccolissima differenza che questo organo dello stato, pieno di difetti e di limiti, per carità, è stato eletto, altri non sono eletti da nessuno».
Occorre ricordare a Salvini (ma non sono a lui) che la sovranità popolare è esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione (anche se nessuno ricorda la seconda parte del secondo comma del noto art.1). Ergo, nessuno, neppure il popolo titolare della sovranità può porsi al di sopra della Costituzione .
L’appartenenza al popolo della sovranità non garantisce l’impunità e la sacralità eroica di chi vince le elezioni. In questa farsa logica populista, chi esce “vincitore” dalle urne diventa il simbolo mitologico in cui la massa s’identifica con un’astrazione impersonata dall’ eroe. «Sventurata è la terra che ha bisogno di eroi»
La delegittimazione come pregiudizio degli assetti costituzionali
Appare evidente che il solo scopo è di indebolire (ancora di più) il tessuto della nostra democrazia con aggressività, spregiudicatezza e mancanza di senso del limite.
La carta fondamentale contiene norme che regolano il vivere comune e il riferirsi o meno a tali regole è la discriminante circa il riconoscimento della legittimità.
Questa alterazione degli equilibri democratici determina uno scompenso degli assetti costituzionali (che sono già profondamente cambiati), con la svalutazione del principio di separazione dei poteri e di ‘’leale collaborazione’’ tra gli organi dello Stato. Tale principio è costantemente riconosciuto dalla Corte Costituzionale come principio costituzionale. Le parole leale e collaborazione derivano dalle voci latine ‘’legalis cum labor’’, le quali implicano il lavorare insieme, il contribuire e partecipare con gli altri alla realizzazione di un progetto in maniera lecita. I rapporti tra gli organi devono ispirarsi a “correttezza e lealtà, nel senso dell’effettivo rispetto delle attribuzioni a ciascuno spettanti” (sent. 110/1998 e ribadito nelle successive pronunce).
Non si intende, naturalmente, mettere in discussione il diritto di critica spettante ad ogni cittadino nei confronti dei provvedimenti giurisdizionali che non si ritengano condivisibili ma, quando le critiche suddette provengano da sedi istituzionali, producono l’ovvio effetto di delegittimare agli occhi dell’opinione pubblica un altro potere dello stato, pregiudicando la credibilità delle istituzioni e ledendo l’intangibilità di alcuni principi costituzionali come l’indipendenza della magistratura (art. 104, co. 1, cost.)e il principio di soggezione del giudice alla sola legge (art. 101, co. 2, cost.)