LibertàEguale

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di Giovanni Cominelli

 

L’immagine che i partiti hanno proiettato, in questi giorni convulsi, è quella di un selfie collettivo, che si trova alle spalle, suo malgrado e senza sorrisi, il Paese reale. La politica è apparsa come un cinico gioco di scacchi, fatto di mosse e di contromosse, condotto a occhi bassi sulla scacchiera.

 

Il Paese. Le istituzioni irrise

Partiamo dal Paese. I governi Letta, Renzi, Gentiloni avevano avviato il Paese lungo “il sentiero stretto” di una ripresa, timida, dello sviluppo e l’abbassamento, piccolo, ma reale, del debito pubblico. L’arrivo del governo giallo-verde ha respinto il Paese nella direzione opposta: de-sviluppo e innalzamento del debito pubblico. La performance peggiore, tuttavia, il M5S e la Lega di Salvini l’hanno fornita sul terreno della teoria e soprattutto della pratica della democrazia.

Nell’anno trascorso ha tirato una brutta aria. No, niente diciannovismo, si intende. Ma sono state contate parecchie prepotenze e irrisioni – istituzionalmente molto pesanti – da parte di Di Maio e, soprattutto di Salvini, nei rapporti con la Presidenza della Repubblica, con il Capo del governo, con il Parlamento, con la Magistratura, con le Forze armate, con i Ministri, con i giornalisti, con gli oppositori, già a partire dal 2 giugno del 2018, quando Di Maio minacciò l’impeachement di Mattarella. No, niente pre-fascismo, ma una decisa spinta verso la “democrazia illiberale” di Orban e “sovrana” di Putin, beh, questa è ormai evidente persino a Grillo, Casaleggio e Di Maio. Forse! Perché la spinta è stata assecondata ampiamente dal M5S.

Che il fondamento della Repubblica sia il plebiscito quotidiano –  che si svolga in rete o su una spiaggia – è stato il cemento ideologico quotidiano dell’alleanza giallo-verde. L’idea che la Repubblica stia in piedi sul check and balance delle istituzioni e che la volontà del popolo si esprima attraverso la Costituzione e la legge non appartiene alla cultura politica dei populisti, algoritmici o sovranisti che siano. D’altronde, la stessa caduta dell’alleanza giallo-verde non è affatto avvenuta per disaccordi tra i contraenti sulla democrazia, ma su altre questioni: l’autonomia delle Regioni del Nord – altro non è che il nuovo nome dell’antica “questione meridionale”  -, la TAV, la Flat tax, il reddito di cittadinanza.

 

L’errore della sinistra: fare il governo per fermare Salvini

Il teorema esplicito che sta alle spalle di tutti i giochi tattici della sinistra, rispetto alla crisi di governo attuale, è che Salvini sia più pericoloso di Di Maio per la democrazia italiana. Quasi fossimo all’anticamera del fascismo. E’ la vecchia tesi di chi ha sostenuto, fin dall’esito delle elezioni del 4 marzo 2018, la necessità che il PD tentasse di formare un governo con il M5S. Se la tesi è vera, ne consegue che occorre fare di tutto per fermare la marcia di Salvini verso nuove elezioni, non importa con quale alleanza politica e con quale formula di governo: di salute pubblica, istituzionale, di scopo, tecnico, politico di legislatura…

Questa tesi è errata per due ragioni.

La prima è che non risulta che il M5S abbia abiurato i propri dogmi. Sì, il sovranismo leghista è pericoloso, così come lo è il populismo grillino. Finora non si è udita nessuna abiura da parte del M5S della fede nella democrazia diretta e totalitaria. Ne costituisce un segnale la proposta di riduzione massiccia del numero dei parlamentari, già fatta da Renzi, che però aveva proposto un arricchimento della rappresentanza con il Senato delle Regioni.

La seconda ragione è che la rottura dell’alleanza di governo ha indebolito i due ex-contraenti e, pertanto, anche il loro attacco alle strutture fondanti della democrazia italiana. Se l’intenzione di Salvini è quella di aggirare, mietendo un consenso plebiscitario, la fragile democrazia liberale, la sua realizzazione sarà assai meno facile di prima. E non perché eventualmente vi si oppongano i grillini. Il fatto è che, nonostante le pose muscolari e le velleità illiberali di Salvini, la democrazia italiana del 2019 è certamente più solida di quella del 1919. Il check and balance delle istituzioni funziona tuttora: dalla Presidenza della Repubblica alla Magistratura agli alti gradi delle Forze armate, dei Carabinieri, della Polizia, dalle élites delle tecno-strutture ministeriali ai media, vecchi e nuovi. Nessuno può pensare di proporsi come “un uomo solo al comando”. Tanto che, quando a Renzi, che proponeva il governo-istituzione forte e che, tuttavia, commettendo un grave e irrimediabile errore, aveva “personalizzato” la campagna, dall’alto del suo 41% alle elezioni europee del 2014, è stata appiccicato il bollino dell’”uomo solo al comando”, è iniziato il ciclo delle sue sconfitte. E il contesto internazionale, dentro cui è radicata l’Italia, è certamente più democratico e più cogente di quello del 1919. Persino Kacynski e Orban hanno dovuto fare i conti e le relative retromarce con l’Unione europea sulle questioni democratiche.

 

L’uomo forte viene avanti, perché non esiste un governo forte

Perché il mondo produttivo del Nord continua – almeno nei sondaggi – a dare il consenso a Salvini? Perché Salvini arriva oggi al 38% nei sondaggi?

Salvini risponde con il suo plebiscitarismo alla constatazione di massa che il sistema politico-istituzionale, previsto dalla Costituzione, non permette da anni la soluzione dei problemi del Paese. Un breve elenco? La questione meridionale, il federalismo, la riforma burocratica, la riforma della scuola, la riforma fiscale, il mercato del lavoro, il controllo di intere regioni da parte della mafia e la sua crescente penetrazione nell’economia del Nord, l’immigrazione dis-governata, l’aumento del debito pubblico, un Paese in via di de-sviluppo…

Le Camere sono diventate Camere rappresentative di una giungla paralizzante di corporazioni – come appare ben chiaro quando si deve scrivere la Legge di Bilancio – mentre il governo-istituzione non ha la forza di governarle, secondo un’idea di Bene comune. Il desiderio dell’ “Uomo forte” nasce, perché non esiste un Governo forte, cioè stabile. Per il lavoro, per le imprese, per le famiglie, per i giovani disporre di un quadro temporale di certezze è la condizione delle condizioni. Se la politica non fa questo, a cosa serve? E’ la lunga impotenza della politica partitica che ha provocato la deriva populista e la sfiducia nella democrazia liberale. Alle spalle di una possibile crisi di regime sta la troppo lunga accumulazione della crisi profonda del rapporto tra masse e politica, alle quali restano due strade: o quella della rabbia illiberale o quella di un astensionismo disperato. Salvini è l’effetto, non l’origine.

Se la sinistra ascoltasse direttamente il Paese, soprattutto la sua parte più avanzata culturalmente e più produttiva, invece che traguardarlo attraverso il buco della serratura delle lotte tra partiti e dentro i partiti, andrebbe senza paura alla battaglia nel Paese, qualsiasi cosa accada, sulle questioni di fondo: la riforma semipresidenziale, il federalismo della responsabilità, il taglio della spesa pubblica, un sistema fiscale rigoroso, un’Unione europea federale e non intergovernativa, un nuovo sistema educativo nazionale…

Come il baco da seta, la sinistra tesse i suoi fili tattici attorno a se stessa. Fino a rinchiudersi, ormai cieca, dentro il proprio bozzolo.

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