di Giovanni Cominelli
Salvini, dunque, è sotto assedio. Due sono le postazioni assedianti.
Una: “ Comitato Nord” di Umberto Bossi, al quale partecipano Paolo Grimoldi, ex deputato e segretario di Lega Lombarda; Angelo Ciocca, pavese, europarlamentare con record di preferenze e vicino a Roberto Castelli, fondatore dell’Associazione “Autonomia e Libertà” con Roberto Mura, consigliere regionale lombardo ed ex senatore; Marco Reguzzoni, ex capogruppo alla Camera, Enrico Maria Speroni, ex europarlamentare; Gianantonio Da Re, europarlamentare, zaiano.
L’altra: “Per rifondare la Lega Nord”, organizzata da Gianni Fava, ex assessore regionale all’Agricoltura ed ex deputato, e da Gianluca Pini, ex deputato, ambedue maroniani “barbari sognanti”. All’assemblea autoconvocata a Biassono il 15 ottobre andranno anche Giancarlo Pagliarini, presidente onorario del Comitato 22 ottobre, altri membri del Comitato 22 Ottobre ed esponenti di “Grande Nord” come Davide Boni e quanti sono fuori da Salvini-Premier.
Intanto, nel fossato attorno alla fortezza stagna l’acqua dei mugugni dei militanti, che chiedono i congressi. Ma Giorgetti si defila, da sempre. Zaia, il maggiore azionista della baracca, sta pigramente seduto in riva all’Adige, in attesa…
L’espugnazione del bunker, visto che non si prevede un suicidio assistito, deve però fare i conti con tre problemi strategici. Il primo: rovesciare per via democratica la leadership di un partito leninista-autocratico appare “missione impossibile”. Il cambio avviene sempre per via “cruenta”. Il secondo: il bunker di Salvini non è più in via Bellerio, ma a Montecitorio. Il terzo problema è il più grave: qual è la piattaforma politico-culturale alternativa a quella di Salvini? E’ confusa e velleitaria. Per Umberto Bossi, certo, si tratta di “tornare al Nord”, anche perché il Sud è rappresentato da un’altra Lega: quella di Giuseppe Conte. Ma appare improbabile, se i contestatori non fanno un bilancio serio dell’intero percorso della Lega, dalle sue origini ad oggi.
La Lega non è stata generata dalla “questione settentrionale”, ma dalla storica “questione meridionale”, insorta come tale dopo l’Unità d’Italia e successivamente incancrenita. La Cassa del Mezzogiorno, istituita nel 1950, ha costruito alcune strutture industriali, qualche autostrada deserta, ma, soprattutto, ha messo in tasca ai cittadini di laggiù un po’ di soldi per acquistare i beni di consumo prodotti al Nord. Ed ha alimentato un personale politico famelico e spesso corrotto, grazie anche agli Statuti speciali di Sicilia e Sardegna. La Cassa sarà chiusa nel 1984, dopo aver gettato nella fornace meridionale circa centomila miliardi. Solo che negli anni ’80 i ritmi dello sviluppo si stavano facendo più lenti, le grandi fabbriche del Nord si stavano contraendo per caduta dei mercati o per delocalizzazione. Intanto il Fisco continuava a convogliare miliardi verso Roma, molti dei quali proseguivano il loro cammino verso Sud, esattamente come prima. Al Nord “pagatori di tasse” – ma per metà evasori! – al Sud evasori e “consumatori di tasse”.
La Lega nasce come sindacato politico del Nord produttivo, delle fabbrichette e delle botteghe artigiane, nelle quali la solidarietà di classe tra padrone e dipendenti è massima, perché ogni giorno lottano insieme per stare sul mercato. Il nemico è lo Stato amministrativo mal funzionante, ma rapace e, quindi, i partiti che lo rappresentano e lo amministrano: Roma ladrona!
Per tutti gli anni ’80 le rivendicazioni di riforma del Fisco e di autonomia istituzionale del Nord sono avvolte nella carta multicolore delle culture locali e identitarie, con annessa mitologia padano-celtica. Le amministrazioni locali a maggioranza leghista incominciano a riscrivere in dialetto i nomi dei paesi. Il vecchio voto DC passa in blocco alla Lega. Che riesce anche ad arrivare anche in pianura, a Milano, con il Sindaco Formentini nel 1993. Che fare di questa forza crescente?
Mentre nel 1994 Gian Franco Miglio propone il federalismo delle Macroregioni e quindi una ristrutturazione radicale dello Stato sulla base dei Cantoni, il 15 settembre 1996 a Venezia Umberto Bossi lancia la Dichiarazione di indipendenza della Padania. Viene eletto un Parlamento Padano, nel quale una surreale Lega dei comunisti padani, leader il giovane Salvini, detiene 5 seggi su 210. La secessione si risolve in un flop, nonostante la minaccia folkloristica dei trecentomila fucili bergamaschi nascosti sotto i letti, insieme, si suppone, ai residui pitali. Nel 2001 Bossi sceglie Berlusconi, nonostante i corteggiamenti molesti di D’Alema, che aveva appena fatto approvare frettolosamente il Nuovo Titolo V. L’alleanza consente a Berlusconi di fare il pieno a Nord con i voti di Bossi e al Sud con quelli di An. Ma secessione e federalismo scompaiono dai radar, il fallimento del berlusconismo travolge anche Bossi. ll 22 ottobre 2017 Lombardia e Veneto indicono un referendum consultivo sull’autonomia differenziata. In Lombardia l’affluenza è del 38%, in Veneto supera il 57%. Con Salvini al governo, non avanza di un passo.
I vetero-leghisti dovranno pur interrogarsi sulla cause del loro fallimento: che consiste nel non aver preso sul serio le idee di Nation building/re-building, che erano affiorate soprattutto dopo la caduta del Muro di Berlino. Per esempio, la proposta della Fondazione Agnelli di un drastico dimezzamento del numero delle Regioni.
Si tratta, in primo luogo, di decidere che cosa è concretamente il federalismo. I modelli sono molti. In Europa il più vicino a noi è quello della Germania dei Länder (sul modello fiscale, forse è meglio il federalismo svizzero): 16 Länder, tra cui due città-Land – Amburgo e Berlino – con Costituzioni proprie e forti autonomie di governo; titolarità fiscale e conguagli solidaristici tra i Länder; il Bundesrat, la Camera delle Regioni, elettiva di secondo grado.
Non può darsi una proposta istituzionale per il solo Nord, deve essere un disegno anche per il Sud. Non basta agire solo sulla leva economico-sociale e culturale del Nord per accumulare forze in direzione federalista. Né basta un sindacato politico del Nord. Occorre muoversi sul terreno istituzione e costituzionale. Serve un partito politico che pensi la totalità dello Stato in termini federalisti. Salvini ha pensato in termini di totalità, ma secondo una logica centralistica. Ha lavorato per Conte e per la Meloni.
C’è una tara originaria comune a tutti i partiti, siano essi centralisti, federalisti, regionalisti “ai limiti del federalismo” – la definizione è di Achille Occhetto – o autonomisti ai limiti del secessionismo: credono nell’onnipotenza delle vittorie politico-elettorali e del comando politico per cambiare il Paese. Ma, alla fine, tutte le loro si presentano come “vittorie mutilate”, che si alternano a sconfitte intere. Manca pressoché in tutti i tutti i partiti la consapevolezza che la forma-Stato ottocentesca – modello Grand Nation francese – che ha contenuto le diversità storiche, socio-economiche, antropologiche dell’Italia non ha realmente unificato il Paese. A maggior ragione oggi, presi nelle spire della globalizzazione, rischiamo di essere soffocati dal nostro vetusto centralismo nazionale e di essere stritolati da quello più forte degli altri. Una struttura statale federale, dentro un’Europa federale e transregionale, pare essere il modello più adeguato.
Riusciranno i rifondatori della Lega – la rifondazione, oggi di moda, è la continuazione del vuoto con altri mezzi – a pensarlo? Intanto, un suggerimento potrebbe venire dal Vate di Fiume: “Ardisco, non ordisco”. In questo caso: poche congiure, molto ardimento intellettuale.
Editoriale da santalessandro.org, sabato 8 ottobre 2022
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.