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Se il Pd implode o diventa grillino non si va lontano

Umberto Ranieri venerdì 9 Dicembre 2022
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di Umberto Ranieri

 

Ho deciso di rinnovare la mia iscrizione al Pd e di impegnarmi, nelle forme a me possibili, nella campagna congressuale per una convinzione che riassumo in questi termini: se si “sfrantuma” il Pd non si va molto lontano. Non c’è una alternativa. Verrebbe meno per una lunga fase qualunque possibilità di pensare ad una prospettiva di governo per il centro sinistra in Italia. Sono scettico sulla idea che in quel caso prenderebbe forza il liberalismo di sinistra. Prevedo che in quel caso ci sarebbe una dispersione dell’elettorato, una crescita dell’astensionismo, qualcosa finirebbe al M5Stelle o meglio ai resti di quel movimento. Ma soprattutto, con la implosione del Pd o con la sua riduzione ad appendice del grillismo, si aprirebbe inevitabilmente una lunga fase di governo della destra nel nostro Paese.

Se questa premessa ha un qualche fondamento, c’è una conseguenza da trarre: condurre nel Pd una forte e incisiva battaglia politica! Condurla per scongiurare la deriva che si annuncia e ridare una capacità di attrazione politica e culturale al partito democratico. Una battaglia politica che non fu data da Veltroni quando nel 2008, malgrado la sconfitta politica alle elezioni per il rinnovo del Parlamento, il Pd superò il 34 per cento, una soglia che avrebbe consentito di costruire in sicurezza il partito democratico. Veltroni lasciò, fu costretto a lasciare, non resse alla prova. La battaglia politica non fu data da Renzi: fu un errore la scissione quando, invece, occorreva restare nel Pd e battersi, mantenere aperta una dialettica in quel partito. Oggi è tutto più difficile, potrebbero, credo lo dicesse Claudio Petruccioli,  non esserci più le condizioni per condurre una battaglia politica nel Pd.

Oggi il partito democratico appare un partito intimidito, carico di complessi. Un partito in cui sembra prevalere una illusione mortale: l’idea che il Pd risalga la china inseguendo un figuro come Giuseppe Conte e il suo movimento. Inseguendo  i resti del grillismo. A me colpisce che, nella confusa discussione in corso nel Pd, si liquidi come infamante la stessa esperienza di governo dei democratici. Colpisce  che il Pd, senza reagire, abbia lasciato che la sconfitta politica del 25 settembre si sia trasformata in una disfatta e abbia accettato, senza fiatare, che la disfatta di 5Stelle, sette milioni in meno di voti, si sia trasformata in una vittoria. Un paradosso! Un paradosso favorito da Enrico Letta che invece di affrontare la battaglia nel Pd sulla linea politica, annuncia le dimissioni, lascia campo libero a chi non esita a mettere in discussione la esistenza stessa del Pd o punta a farne, come dicevo, una appendice del tardo grillismo. I partiti, andrebbe detto a Enrico Letta, dopo una sconfitta elettorale fanno congressi non costituenti. Costituente che si è risolta in una sorta di assemblaggio di tutte le suggestioni e i radicalismi estremi. Si è imboccata una via che, se non si riesce a bloccare,  condurrà alla distruzione del partito. Anzi, è già in atto una forma di auto-distruzione. Di questo si tratta quando si dà cittadinanza alle tesi che riducono la storia del Pd ad un succedersi di errori. Un partito in disarmo. Il partito democratico avrebbe bisogno di una discussione vera e seria sulla politica e i contenuti della sua battaglia di opposizione, avrebbe bisogno di una analisi della destra che oggi è al governo per valutarne la consistenza e il suo rapporto con la società italiana e insieme coglierne i limiti politici, culturali, programmatici. Una discussione che affronti gli errori commessi nel corso di questo difficile e tormentato decennio dal partito ricordando tuttavia che senza il Pd, pur con i suoi limiti ed errori, il Paese non avrebbe retto quando l’intreccio tra crisi finanziaria e collasso politico istituzionale sembrava condurre l’Italia al fallimento. Insomma il Pd non è stato una invenzione estemporanea e contingente. Senza futuro.  Occorre certo una discussione severa su quanto c’è da correggere nella organizzazione del partito: è fondamentale liberare il partito da “tutti i Franceschini” che  incombono, facendola finita con un correntismo senza idee e senza politica, tenuto in piedi dalle ambizioni di qualche notabile. Una discussione seria sul funzionamento del partito ma senza illusioni: non appare una via d’uscita dai problemi in cui si dibatte il Pd rientrare nell’alveo di esperienze tradizionali quasi bastasse ripristinare abitudini e vecchi modelli per venirne fuori. Tutto ciò non si fa. In quanto alla Carta fondativa del Pd vorrei dire una sola cosa: il documento cui lavorarono Pietro Scoppola e Alfredo Reichlin non merita di essere stravolto come sta accadendo per incultura e fanatismo. Va ricordato  che sulla base di quella Carta il Pd ha raggiunto risultati elettorali che nessun partito in Italia nemmeno lontanamente oggi raccoglie. La verità va detta con chiarezza, credo lo facessero Claudio e Umberto, è in atto nel Pd, con la indifferenza o la complicità di Enrico Letta,  la distruzione della essenza stessa del Pd delle origini: il partito a vocazione maggioritaria. La vocazione maggioritaria non è un dato aritmetico. Vocazione maggioritaria vuol dire una forza capace di guardare al di là della propria storia, che punti ad insediarsi in uno spazio politico più largo del bacino di consenso originario. Che sappia trasmettere l’urgenza di riforme indispensabili a liberare la società italiana dai vincoli corporativi che ne frenano la crescita, rallentano la concorrenza e, alla fine dei conti, impediscono una sana mobilità sociale e quindi una vera uguaglianza tra i cittadini. Vocazione maggioritaria comporta coraggiose innovazioni nella cultura politica del Pd. Una cultura politica che si manifesti  attraverso due tonalità: quella liberale, del riconoscimento dei meriti e della uguaglianza delle opportunità per le persone; quella socialista incentrata sull’idea di equità sociale e sulla riduzione delle diseguaglianze. Ragionando così la sinistra fa propri i  tratti di quel liberalismo progressista che si batte perché i meriti e i talenti siano riconosciuti e sia permesso a tutti di raggiungere un tenore di vita adeguato.

Oggi invece si insinua la idea che sia sufficiente sanare il rapporto con il M5Stelle per risalire la china e sfidare la destra. Una idea semplicistica, una manifestazione di pigrizia intellettuale che impedisce di intendere appieno la natura dei problemi da affrontare per ricostruire   una prospettiva politica per il centro sinistra. Non c’è una sola  questione importante su cui la distanza tra Pd e 5Stelle non sia destinata a manifestarsi come enorme. Sul sostegno alla Ucraina che si batte contro la aggressione russa la doppiezza e l’opportunismo di Conte impediscono qualsiasi intesa; sulla energia si dovrà fare, negli interessi del Paese, l’esatto opposto di quanto confusamente sostengono i 5Stelle. E cosa dovrebbe fare il Pd nel Mezzogiorno? Inseguire quella sorta di “Lega Sud” che è diventato il grillismo? A ben vedere, ma questo è il mio pensiero, l’errore grave compiuto dal Pd risale al 2019 quando invece di tornare al voto si alleò con i grillini, (il cancro della democrazia italiana sostiene Biagio de Giovanni) e accettò, incredibile a dirsi, presidente del Consiglio “l’avvocato del popolo”.

Io condivido l’idea contenuta nel documento presentato da Marco Bentivogli, di un partito che si definisca “modernamente laburista”. Non si tratta di riprendere o rinchiudersi in sicurezze concettuali del passato. Occorre irrobustire come  Pd l’ancoraggio alla realtà del mondo del lavoro nella sua complessità e mutevolezza, individuando forme organizzative che ripristinino un contatto diretto del partito con la realtà stessa del mondo del lavoro. Vorrei aggiungere tuttavia che va liquidata la storia del Pd “partito della Ztl”. Se si vuole intendere con questa formula che il Pd abbia mantenuto in questi anni difficili il sostegno di ceti medi dei servizi sociali e culturali, di quelli finanziari e alle imprese, di tecnici è il caso di considerare ciò un fatto importante, segno di una vitalità del partito. Certo, la leva per attrarre consenso di questi settori sociali è anche l’offerta culturale: le libertà civili, i diritti delle minoranza, la parità di genere. Come potrebbe del resto, una moderna forza di centro sinistra, chiedo a Ricolfi che ritiene il Pd ormai un partito radicale di massa,  ignorare questi temi?  Non cogliere le potenzialità di nuove libertà che maturano? Non poteva. La critica vera da rivolgere al Pd è che i diritti individuali non sono apparsi un completamento di quelli collettivi bensì sostitutivi di questi. Insomma, nel mondo in movimento in cui viviamo se non si producono le risorse necessarie è del tutto impossibile tutelare il complesso dei diritti: alla salute, alla istruzione, ad una vita dignitosa, alle prestazioni previdenziali. Ecco perché la questione della crescita è decisiva. Una crescita economica credibile e un welfare capace di coniugare la bussola dell’equità sociale e quella delle compatibilità economiche. Sostenere e battersi per  la crescita è l’unico modo serio per dare una risposta al senso di insicurezza, alle preoccupazioni per il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di gruppi sociali deboli. Qui viene il tema del Mezzogiorno, se non si affronta la questione dello sviluppo economico, il RdC si risolve in una misura caritatevole.

Solo una parola infine su una questione enorme. Riguarda per così dire l’orientamento ideale del partito democratico. Nel Pd mi pare accada quello che temeva Norberto Bobbio all’atto della svolta dal Pci al Pds quando invitava a non fare come quelli che   “cercano mercanzie ad ogni porto per mettere insieme in fretta e furia una nuova ideologia”. Oggi basta guardarsi intorno per accorgersi che ritorna nel mondo un tema eterno: il tema della libertà. Lo si può cogliere se si pensa alla resistenza degli ucraini contro la spietatezza di uno degli eserciti più agguerriti del mondo, se si volge lo sguardo a quanto accade in Iran dove  il taglio di una ciocca di capelli è diventato il simbolo di una lotta per la libertà, lo si coglie addirittura in Cina dove si chiede libertà contro un regime che intende affrontare la pandemia non con un vaccino efficace ma rinchiudendo in vere e proprie segrete i cittadini. Il tema della libertà  è in politica il tema del rapporto con il liberalismo sociale. La grande questione che il partito democratico dovrebbe considerare centrale nella propria cultura politica. Un tema che la cultura del  laburismo britannico, lontana dalle sistemazioni totalizzanti della tradizione socialista tedesca e continentale, avvertì e assunse nel proprio patrimonio politico e culturale.

Ho terminato. Scusate, l’ho fatta troppo lunga. Attenzione: il vero problema è come il documento predisposto da Bentivogli e un gruppo di amici e compagni pesa nella vicenda congressuale del Pd: questo il punto su cui riflettere e decidere il da farsi. Non sarebbe giusto né utile se tutto si risolvesse in una testimonianza e in una bella discussione.     

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