LibertàEguale

Digita parola chiave

Condividi

di Alberto De Bernardi

 

Tra i tanti effetti distopici della pandemia vi è il prepotente ristorno dell’anticapitalismo in quei mondi culturali della sinistra che la leggono come una straordinaria occasione per “regolare i conti” con il capitale e il mercato che da un quarantennio li ha messi nell’angolo travolgendo le loro credenze e le loro aspirazioni.

In questo fenomeno possiamo individuare tre tendenze molto chiare.

 

Morte ai padroni

La prima è un attacco diretto contro le industrie, accusate, da un lato, di minacciare la salute pubblica per sete di profitto – quando con le loro organizzazioni di categoria hanno spinto perché la fase del lockdown venisse superata e si avviasse una ripresa delle attività produttive – e, dall’altro, di lucrare ora sugli interventi messi in atto dallo stato per sostenere l’economia. In entrambe riemerge la visione dell’impresa come mero strumento di sfruttamento e di massimizzazione del profitto nelle mani dei “padroni”, che era stata spazzata via con la fine del grande ciclo di lotte degli anni settanta, per essere sostituita da quella assai più moderna di un organismo sociale complesso indispensabile non solo per produrre ricchezza, ma per fare funzionare l’economia di mercato, senza la quale la democrazia sarebbe monca e asfittica.

Nessuno nega che l’impresa sia un luogo di confitti tra interessi difformi e confliggenti. Ma, una volta assodato che un mondo senza classi e senza proprietà privata appartiene agli incubi del Novecento, non ha più senso riprodurre una contrapposizione di stampo classista, che veda l’impresa come una forza antisociale proprio adesso che, invece, è assolutamente indispensabile che tutte le capacità produttive siano messe a sistema per ridurre i danni del collasso economico generato dal Covid.19.

Abbiamo un modello di riferimento – industria 4.0 – per elaborare politiche industriali avanzate in cui stato, e imprese, imprenditori e lavoratori cooperino per favorire una crescita economica inclusiva, solidale e rispettosa dell’ambiente. Invece riemerge il peggior ciarpame dirigista e antindustriale concentrato nella dichiarazione di Fassina nella quale si definiscono le condizioni “politiche” per l’erogazione degli aiuti statali. “Condizioniamo l’aiuto dello Stato per imprese alla residenza giuridica e fiscale in Italia, a cancellare i dividendi non per un anno, ma fino a quando le garanzie dello Stato per essi immobilizzate non vengono liberate; infine, a limitare, fino alla liberazione delle garanzie pubbliche, la remunerazione complessiva annuale del management a 20 volte la retribuzione annua degli operai… Non è populismo. È la nostra Costituzione”.

Questo delirio non meriterebbe nemmeno di essere segnalato se non rappresentasse la versione estrema di altre prese di posizione di altri importanti dirigenti del PD – Boccia e Orlando – di uno stuolo di commentatori e di “militanti” da tastiera, persino di Calenda, che si sono esercitati nell’elencare i vincoli per le imprese che accedono ai prestiti. Come se fosse una loro scelta dettata da loschi interessi e non la conseguenza di una decisione dello stato che ha chiuso le imprese, con una radicalità che non ha riscontro in nessun paese dell’Occidente.

Il boccone succulento per questo revival dell’antagonismo di classe è ovviamente la richiesta di garanzia pubblica della FCA per accedere a un prestito bancario. Poiché nella nebbia delle chiacchiere si è persa di vista la realtà, è bene sapere che lo stato non erogherà alcun finanziamento a FCA che si limiterà alla garanzia SACE come previsto dai decreti anti-covid. È bene sapere inoltre che la FCA versa al fisco olandese solo le tasse sui dividendi incassati dalla holding – che per quest’anno nemmeno saranno pagati – mentre quelle su beni prodotti vengono versate nei paesi dove quei beni vengono prodotti. Sulle auto prodotte in Italia le tasse restano in Italia: sono circa 3 miliardi di tasse, molti di più di Enel e Eni.

Mentre con il sussiego da burocrate del ministero dell’industria della Bielorussia il responsabile economico del PD chiede alla FCA di fornire i documenti per valutare la “responsabilità fiscale complessiva” dell’azienda e invoca la possibilità di sindacare sulla distribuzione dei dividendi, viene rimosso il fatto che quell’impresa dia lavoro a decine di migliaia di famiglie per cui la garanzia del buon ritorno del prestito è anche una garanzia alla continuità del loro rapporto di lavoro e quindi del loro sostentamento.

L’immaginario deviato che emerge è che bisogna sovraccaricare di vincoli e controlli quella garanzia – l’unico dei quali dotato di senso e in linea con gli obbiettivi previsti dal governo con il suo ultimo decreto, e investire in Italia – perché bisogna impedire l’intento fraudolento, connaturato alla natura sociale degli imprenditori, per natura speculatori e grassatori. E’ la cultura del sospetto che promana dallo “stato etico”, distante anni luce dalla cultura dello stato liberale, che regola e stimola gli attori economici e ne colpisce con la legge i comportamenti criminosi.

Ma in cauda venenum: mentre si svolge questa guerra ideologica alla più grande azienda manifatturiera italiana – che va detto, essendo una multinazionale, è persa in partenza – gli stessi occhiuti funzionari dell’anticapitalismo di maniera tacciono, che è come applaudire, all’erogazione di 3 miliardi a fondo perduto all’Alitalia, esempio preclaro dei danni del capitalismo di stato.

 

Aboliamo il mercato

La seconda tendenza è mettere la museruola al mercato, per impedire che la speculazione trionfi e il popolo venga depredato. L’esempio da operetta che incarna questa concezione è Arcuri, il grande commissario dalemiano messo a capo della task force che doveva organizzare il potenziamento delle strutture ospedaliere e sanitarie contro il Coronavirus. Mentre siamo ancora in attesa della App che consenta il tracciamento degli infetti, della distribuzione a tappeto dei tamponi e delle attrezzature per i test sierologici che ancora non sono pervenute in molte parti d’Italia, Arcuri apre una guerra di religione contri i produttori di mascherine fissando un prezzo “di stato” per evitare la “speculazione”.

Come negli anni venti i governi avevano ingaggiato una lotta senza quartiere contro i “pescecani” che si erano arricchiti con la guerra, cosi Arcuri, come una specie di Don Chisciotte che combatte dentro i mulini a vento, a reti unificate annuncia il suo straordinario provvedimento che dovrebbe portare in tutte le farmacie le famose mascherine al prezzo politico di 0,60 cent, come se le mascherine venissero prodotte da una industria di stato, una specie di “manifattura mascherine” al suo servizio.

Cosa succede invece? Le mascherine spariscono perché nel mercato – cioè nel mondo vero – nessuno può produrre sottocosto, nemmeno se glielo intima nientepopodimeno che il Commissario straordinario in persona. E qui accade l’irreparabile. Arcuri invece che chiedere scusa dell’errore compiuto e trovare una via d’uscita onorevole e realistica per fare avere ai cittadini le mascherine che– come nella spagnola di un secolo fa – sono oggi l’unico presidio a disposizione, accusa i produttori di speculazione. Vengono alla mente per chi conosce un po’ la storia quegli allarmati rapporti che i funzionari comunisti redigevano allorquando dovevano prendere atto che nessuno degli obbiettivi produttivi del “piano quinquennale” era stato raggiunto: la colpa era dei “nemici del popolo”, degli speculatori e di funzionari venduti al nemico, e andava punita con la forca.

Arcuri ultimo esempio di boiardo di stato si produce in una serie di accuse nei confronti di chi lo ha accusato di incapacità e di errori, evocando il giudizio del popolo “al quale solamente risponde”, nei confronti dei “liberisti da salotto”, dei farmacisti incapaci, delle imprese con non obbediscono. Ma mentre cade nel ridicolo fa emergere una inquietante ideologia populista che ha per bersaglio il mercato e le sue regole. C’è da chiedersi come fa Invitalia a perseguire la sua finalità di agenzia per lo sviluppo e per la nascita di nuove imprese se chi la amministra dimostra di conoscere così poco l’economia di mercato.

 

Un mondo vuoto

L’ultima variante di anticapitalismo è rappresentata dai nemici del turismo, che sperano che il Covid faccia piazza pulita degli stabilimenti balneari, dei ristoranti, dei musei, dei bar, dei B&B, in modo da ritornare a un mondo idealizzato di città disabitate, di spiagge vuote, di musei senza visitatori, di città d’arte cadenti e di bar di strada che vendono poche cose solo agli anziani del quartiere. Anche in questo caso dietro bagnini, baristi e albergatori si nascondono gli speculatori che hanno sguazzato nel turismo di massa facendo soldi a palate e profanando la purezza della natura e del territorio.

In genere questo accorato inno al “mondo che fu” si annida la difesa di privilegi classisti che garantivano la fruizione della natura e dell’arte ai soli ricchi, che proviene da piccoli circoli culturali ma molto forti sui media, popolati di intellettuali innamorati della decrescita felice, dell’ambientalismo fondamentalista, della tutela dei beni artistici come religione della conservazione e dell’esclusione, incapaci di riconoscersi in una società democratizzata e globalizzata che ha finalmente gli strumenti culturali per entrare in un museo, per viaggiar di nazione in nazione, per godersi il bello, come due tre secoli fa facevano solo gli aristocratici e cinquant’anni fa solo le classi medie agiate.

Certamente in queste spinte ci sono risvolti negativi soprattutto per un paese come l’Italia che è un immenso museo a cielo aperto e uno scrigno di tesori naturali unico al mondo, sottoposto alla pressione di una domanda ormai globalizzata. Ma da qui sperare che il Covid si porti via pizzaioli e affittacamere – e già che c’è faccia fallire anche Vissani e Cipriani, che lamentano norme di riapertura penalizzanti, considerati “speculatori” milionari della ristorazione, invece che eccellenze mondiali – dimostra solo la regressione populista e pauperistica che cova nella riscoperta ideologica di un “nuovo modello di sviluppo”.

Tags:

Lascia un commento

L'indirizzo mail non verrà reso pubblico. I campi richiesti sono segnati con *