di Umberto Minopoli
Lì siamo rimasti. Il 18 aprile di 71 anni fa le prime elezioni libere della storia italiana. Nel mondo diviso in due, tra comunismo e libertà, l’Italia scelse la seconda.
La sinistra, tutta unita e dipendente, raccolse il 30,1% dei voti. Per 40 anni evitò di cambiare, rimase fedele allo schema della guerra fredda, fu sempre minoritaria e all’opposizione e venne travolta dalla fine del mondo bipolare e dal crollo del comunismo.
Dopo il 1990 poteva cambiare. il maggior partito della sinistra cambiò nome. Ma non pelle e anima. Poteva dirsi socialdemocratico, entrando finalmente nella modernità. Volle invece dirsi democratico e di sinistra. Non per essere più moderno del socialismo liberale. Ma, al contrario, per distinguersi ancora da esso e mantenere così un rapporto col passato comunista.
Il trasformismo del nome non cambiò la sostanza: la sinistra rimase inchiodata sotto il 30% del 1948, mai vicina ad essere un’alternativa praticabile. La svolta del nome era fallita.
Poi verrà, ottobre 2007, il Pd. Altra svolta solo nominalistica: scompare il nome “sinistra”. Ma, anche qui, la sostanza finirà per non cambiare molto: il nome “sinistra” tolto dai simboli resta nell’anima. A significare un partito ancorato alla storia bipolare del dopoguerra. E non alla realtà nuova del postcomunismo. E il partito di “sinistra” resta, perciò, minoritario. Incapace di rappresentare un’alternativa.
La svolta vera avviene nel 2014, 66 anni dopo le elezioni del 1948. Il Pd diventa, finalmente, coerente al nome che si è dato: un partito democratico, riformista, di governo, che parla al centro e ai moderati. Con Renzi alla guida il Pd, per la prima volta sfonda il muro del 40% e, all’Italia instabile e precaria di quegli anni, offre un progetto di buongoverno, di riforme politiche e sociali, di risanamento. Insomma, finalmente, un Partito maggioritario. Della Nazione. Non più e solo della sinistra minoritaria. Quel Pd viene sconfitto da un blocco restauratore da destra a sinistra.
E siamo all’oggi.
Il populismo ha raccolto i frutti della sconfitta dei riformisti. Il Pd, impaurito e terrorizzato dalla svolta riformista del 2014, è tornato al passato: un partito che rinuncia ad un ruolo e funzione “centrale”. E si rifugia nel poco confortante (e sempre minoritario) “campo” della sola sinistra (che oggi, per pudore, chiamano, chissà perché, centrosinistra). E l’Italia resta instabile.
Tra i populisti al 60% e il Pd di “sinistra” al 20 % (se va bene) l’Italia è bloccata. Il bipolarismo populisti/Pd attuale significa malgoverno, declino e ingovernabilità dell’Italia. C’è un 20-30% di elettori disperso, marginalizzato, prigioniero di partiti estremisti che, invece, potrebbe fare la svolta. E introdurre il fatto nuovo che rompe la gabbia del “bipolarismo blasfemo” e salvare l’Italia dall’instabilità. Il Pd di Zingaretti, ispirato al mediocre “primum vivere” non parla a questi elettori, che sono classi medie di elettori moderati e di centro. Il Pd è strabico: guarda solo a sinistra. Dove c’è vuoto e nulla.
Presidente dell’Associazione Italiana Nucleare. Ha lavorato nel Gruppo Finmeccanica e in Ansaldo nucleare. Capo della Segreteria Tecnica del Ministro delle Attività Produttive tra il 1996 e il 1999. Capo della Segreteria Tecnica del Ministro dei Trasporti dal 1999 al 2001. Consigliere del Ministro dello Sviluppo Economico per le politiche industriali tra il 2006 e il 2009.