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Senza vocazione maggioritaria il Pd smarrisce la sua funzione politica

Enrico Morando domenica 18 Dicembre 2022
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di Enrico Morando

 

La sconfitta del PD e dellintero centrosinistra è pesantissima. Tanto più, perché subita da un destra-centro che non ha mostrato capacità espansiva: la vittoria di Meloni e della sua coalizione non nasce dallallargamento del consenso elettorale, verso gli astenuti del 2018 o verso lelettorato di partiti esterni al destra-centro stesso. Sembra di poterne dedurre che sono stati gli errori politici del centrosinistra a determinarne la sconfitta.

Stupisce, alla luce di questa banale constatazione, che siano stati così rari i tentativi di individuare questi errori con sufficiente precisione, al fine di apportare le necessarie correzioni di linea politica, di leadership, di rapporto con la società. Una spiegazione di tanta difficoltà di analisi critica può forse trovarsi nella constatazione che tutte le scelte compiute negli ultimi anni sono state accompagnate dal coro unanime dei consensi: le sedicenti correnti interne -molto impegnate a competere per modificare a proprio vantaggio gli equilibri interni al patto di sindacato che gestisce il PD- non hanno mai fatto mancare il proprio sostegno al Segretario pro-tempore, salvo prenderne le distanze a sconfitta avvenuta.

Loccasione del Congresso del PD può dunque essere utilizzata per capire dove abbiamo sbagliato -perché dobbiamo avere sbagliato molto, se gli avversari hanno fatto così poca fatica a batterci-, e per mettere su basi più solide sia liniziativa di opposizione, sia la conseguente opera di costruzione di una credibile alternativa di governo.

Per capire, scelgo di partire dai manifesti elettorali del PD. Sì, dalla serie di manifesti per plance elettorali che il PD ha affisso negli ultimi giorni prima del voto. Nessuno se li ricorda, perché non li ha proprio visti, o perché -se li ha visti- non hanno attirato la sua attenzione? Ai fini del mio ragionamento, basta e avanza che siano stati pensati e realizzati. Da una parte, in campo rosso -tema per tema- il PD con la sua posizione: il campo del bene. Dallaltra, in campo nero, la destra con la sua posizione: il male. Trascuro lo specifico contenuto, più o meno azzeccato. Mi concentro sul messaggio: il PD sollecita lelettore a compiere una scelta identitaria: o rosso o nero. O noi o loro. Nelle elezioni democratiche, i partiti chiedono. La risposta degli elettori è il voto. È dunque molto rilevante la scelta del terreno su cui si colloca la domanda, perché è molto probabile che lelettore risponderà stando sullo stesso terreno. Il terreno della domanda del PD era inequivocabilmente quello dellidentità. Una scelta utile? È lecito dubitarne. In primo luogo, perché una domanda di quel tipo -posta dal partito che ha dovuto far parte di governi tra di loro molto diversi, divenendo una sorta di partito del sistema– finisce paradossalmente per sollecitare i sentimenti antiestablishment che circolano copiosi nelle vene del Paese. In secondo luogo -ma non in ordine di importanza, per un cittadino che pure è stato elettore del PD (2008: allesordio, 12 milioni di voti)-, la scelta del terreno identitario contraddice tutti i fondamentali del PD.

Infatti 1) la coalizione di cui il PD è parte essenziale viene esplicitamente presentata ai cittadini come elettorale e non programmatica. Ma il PD -partito di centrosinistra a vocazione maggioritaria- è nato per unire i riformisti attorno a una proposta di governo: e questultima si basa su di un leader e un programma da proporre al Paese. Qui, 2) viene subito la seconda contraddizione: la coalizione, essendo elettorale, non ha un leader riconosciuto come candidato Presidente del Consiglio (un’assenza resa ancor più evidente dalla pezza del frontman). Eppure il PD -di fatto lunico partito non personale che ci sia in Italia-, ha nel suo “mito originario” le primarie per la scelta del leader, che per statuto è anche candidato alla carica di leader del Governo del Paese. Infine, 3) la coalizione solo elettorale e senza un leader è patentemente una coalizione contro, non una coalizione per. Ma il PD nasce abbandonando la logica dellUnione contro (“il principale esponente dello schieramento a noi avverso), per entrare nella fase in cui la contrapposizione al centro-destra si alimenta di una diversa visione sul presente e sul futuro del Paese e sulle diverse proposte di soluzione ai suoi problemi.

Era possibile la scelta di un altro terreno di gioco, più adatto alle caratteristiche fondamentali del PD? A 50 giorni dal voto, forse no. Ma se si guarda ad una fase appena più lunga, si vede che cera uno spazio di iniziativa che non abbiamo sfruttato. Lo segnalava il paradosso che emergeva da tutti i sondaggi: da una parte Meloni e destra-centro stabilmente avanti. Dallaltra, consenso al Governo Draghi molto elevato. Italiani schizofrenici? Il professor Paolo Segatti -in un recente seminario di associazioni riformiste lombarde- ha fornito una risposta più seria e convincente: domanda di continuità e domanda di cambiamento agiscono insieme come determinanti del comportamento umano (comprese le scelte di voto) ed è il contesto che influenza di volta in volta la determinazione del punto di equilibrio (la scelta di voto) tra queste due contraddittorie esigenze.

Rivolgendosi agli elettori su di una linea identitaria e non programmatica, senza lindicazione di un candidato alla premiership e sollecitando un voto utile non per il governo del Paese, ma contro i rischi di unilaterale manomissione della Costituzione ad opera del certo vincitore, il PD ha finito per abbandonare il suo naturale terreno di gioco, favorendo liniziativa di Meloni, in grado di lucrare sia sul suo coerente profilo identitario -sempre allopposizione dei governi dellultima legislatura-, sia sul suo intelligente sostegno alle due scelte fondamentali del Governo Draghi: dalla parte dellUcraina, anche fornendole le armi necessarie per respingere laggressione di Putin; e politica fiscale responsabile (no a ulteriori scostamenti di bilancio). È stato lequilibrio tra queste due (apparentemente) opposte posizioni che ha permesso a Meloni di acquisire egemonia nel suo campo -sia sullUcraina, sia sullo scostamento di bilancio Salvini sbandava vistosamente, preoccupando gran parte del suo tradizionale elettorato, specie nelle Regioni del centro-nord-, pur non consentendole di allargare i confini elettorali della coalizione.

Tutto al contrario, per il PD, che progressivamente smarrisce la sua vocazione maggioritaria e indebolisce il sistema delle sue relazioni sociali, sia sul fronte dei “meriti”, sia sul fronte dei “bisogni”. E immagina di poter colmare il crescente divario tra la sua funzione di partito del sistema (senza il PD, la scorsa legislatura avrebbe potuto condurre il Paese ad una drammatica involuzione), e le striminzite dimensioni del suo consenso elettorale, facendo leva sulla politica delle alleanze con altri partiti. Come se una crisi di rappresentanza di vasti ceti popolari potesse essere risolta attraverso una delega ad un altro partito della coalizione, cui si riconosce la natura di fortissimo punto di riferimento del progressismo. Per questa via, il campo largo tanto invocato, lungi dal comporsi progressivamente in una credibile coalizione di governo, perde il suo polo di attrazione, cioè quella forza centripeta che può essere assicurata solo dal partito a vocazione maggioritaria, in grado di garantire allintera coalizione una visione coerente sul futuro del Paese e un programma di governo credibile, incarnati da un leader che personifichi entrambi di fronte agli elettori.

Questa sorta di smarrimento della propria funzione politica da parte del PD è ben rappresentata da due fatti: in primo luogo, il tentativo messo in atto -per settimane, a campagna elettorale ormai iniziata- di spiegare lesito, a dir poco insoddisfacente, del lavoro di costruzione della coalizione con la…  cattiva volontà e il comportamento contraddittorio dei potenziali alleati. Naturalmente, ci sono stati luna e laltro. Ma, insistendo su questa polemica, il PD mostrava di sottovalutare gli effetti del messaggio circa la propria inadeguatezza che indirettamente trasmetteva agli elettori, consistendo lesercizio della vocazione maggioritaria del maggiore partito del centrosinistra  esattamente in questo: una volta scelta la strada delle alleanze con altri partiti, favorire pazientemente la loro effettiva adesione alla coalizione.

Il secondo indicatore di smarrimento, invece, perdura. Tali sono le attese scaricate sulle alleanze politiche che la stessa dialettica interna al PD si autodefinisce pressoché esclusivamente sulla base delle scelte delle diverse correnti circa lalleanza da considerare strategica: la sinistra del PD essendo quella che lavora allalleanza col M5S di Conte, mentre la destra sarebbe quella che vuole privilegiare il rapporto con Azione e Italia Viva di Calenda e Renzi.

Esistono le condizioni per un rilancio del centrosinistra e del PD, nellesercizio dellopposizione al Governo Meloni e nella costruzione dellalternativa? In un documento scritto con altri riformisti e rivolto al Congresso del PD, abbiamo cercato di rispondere positivamente, fornendo qualche prima indicazione circa la strada da percorrere. Qui, vorrei richiamarne una soltanto: lesigenza che il PD si doti di una proposta -una, non tre o dieci-, che abbia la capacità di evocare, nella testa e nel cuore dei cittadini, una più generale visione della società migliore in cui si vuole vivere; e, al tempo stesso, quella di incidere concretamente nella vita quotidiana dei cittadini stessi. Dobbiamo infatti riconoscere che sia il destra-centro -con la flat tax, quale che sia la versione sostenuta nel contingente-, sia il M5S -con il Reddito di cittadinanza-, hanno risposto meglio del centrosinistra a questa esigenza. Se perseguiva questo scopo, non ha raggiunto il bersaglio la proposta dei 10.000 € per i diciottenni (la dote patrimoniale dei giovani). Che ha fatto parlare di sé solo per la soluzione indicata per la sua copertura finanziaria (aumento delle imposte di successione sulle grandi fortune). Ma non è questo il suo vero limite.  In sé, ragionevoli (più alte di quelle in vigore in Italia) imposte di successione sono pacificamente parte del programma della sinistra liberale. La dote patrimoniale dei giovani è sbagliata perché non è in grado di fornire maggiori opportunità ai giovani che hanno avuto in sorte di nascere in famiglia meno dotate per reddito, patrimonio e livello di istruzione. In attesa di idee migliori, continuo a pensare che una drastica riduzione del prelievo Irpef sui redditi da lavoro delle donne rispetto a quello applicato sull’identico reddito dei lavoratori maschi avrebbe potenza evocativa (la discriminazione su cui agisce è forse la più antica e duratura), capacità di incidere per lo sviluppo delle forze produttive (via crescita della partecipazione alle forze di lavoro) e diretta efficacia sulle condizioni materiali di vita delle famiglie.

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