Sono in molti oggi a chiamare in causa gli avvenimenti degli inizi del 2001 – si era alla fine della legislatura – quando il Parlamento approvò sia alla Camera che in Senato il provvedimento legislativo che modificava il Titolo V della Costituzione e quindi apriva le porte al Regionalismo differenziato.
Oggi, appunto: in corrispondenza dell’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del disegno di legge Calderoli che attribuisce poteri, competenze, servizi e risorse in termini e con misure differenziati alle Regioni come atto conseguente ai provvedimenti del 2001, quando al governo c’era il centrosinistra che in vista delle allora imminenti elezioni politiche aveva fatto una scelta di campo, forse un mix di due valutazioni.
Una: per riproporsi all’elettorato scelse quello più produttivo e legato al sistema economico politico del nord pensando di esserne così premiato.
La seconda, sottovalutando la portata in un certo senso eversiva che lo scompaginamento di competenze e risorse fra aree forti e aree deboli avrebbe causato, mettendo in ginocchio in misura esiziale metà del Paese.
In ogni caso, quali che siano le motivazioni questo è oggi lo stato delle cose, a distanza di ventidue anni, quando qualcuno più avveduto o solo con a cuore i destini del Mezzogiorno avrebbe avuto ben più di un motivo per eccepire. Motivi dettati dall’esigenza dell’unità del Paese, della solidarietà nazionale, della necessità di guardare il Sud con rispetto e riconoscimento per aver contribuito alla crescita nazionale in misura straordinaria, per la sua importanza geopolitica, i patrimoni materiali e immateriali che contiene.
Qualcuno per la verità eccepì, ma le voci isolate, è noto, se non diventano sistema contano poco e quelle silenti o non avevano capito o erano di fatto complici. Ma tant’è.
Rimettere mano alla Carta Costituzionale, è sovente ricordato, è esercizio ovviamente delicatissimo e spesso viene praticato in base a due, anche qui, esigenze o forse solo volontà.
La prima, già se n’è detto sopra, di autoincoronarsi a rango di statista, la seconda, nell’essere comunque permeabile a una esigenza di adeguamento dell’impianto istituzionale che risale a quasi ottanta anni fa. Un impianto in cui l’Italia era un’altra e l’ossatura per quanto valida nel suo telaio di valori e principi portanti necessitava, allora come adesso ancora, di rivisitazioni e adeguamenti. Che trovano la loro ragion d’essere in un orizzonte geopolitico e istituzionale profondamente mutato (la Ue, il crollo del Muro) e una articolazione sociale, una organizzazione del mondo del lavoro stratificate secondo schemi quantomeno inattuali, un welfare da aggiornare, per non dire degli strumenti tecnologici disponibili che molto incidono sul modo e i tempi di vivere, e ancora: nuove esigenze e aspettative cui dar risposta.
Verrebbe da dire oggi, alla prova dei fatti dell’esito fallimentare della Bicamerale di Berlusconi e D’Alema – esito che molto pesò sui destini del governo Prodi – e di quanto abbia prodotto nel 2001 la modifica del Titolo V, che non è un paese per una sinistra costituente, il nostro, nel senso, cioè, che messa alla prova, per sua stessa scelta, del voler-dover riscrivere le regole comuni mostra limiti evidenti non solo per quanto riguarda la praticabilità dei tentativi ma in particolare gli esiti stessi conseguenti ai tentativi.
Ora però siamo all’hic et nunc, le posizioni di dissenso e di distanza si sono levate, pure da talune Regioni, non tutte sia di destra che di sinistra, e mentre ci si attarda sui distinguo che addirittura etichettano come opportunità positive per il sud e il paese tutto lo spezzettamento regionale, invitano a correggere i lep, a rivedere i meccanismi della spesa storica e altro ancora, poche sono le voci che si registrano in merito a quanto la nascita stessa dell’istituto regionale sia da considerare l’occasione di una serie di distorsioni nefaste per il Paese.
È del tutto evidente che la forma-Stato sia da rivedere, non funziona, così com’è, sia in termini di forma che di funzionamento, e quindi piuttosto che devolvere più poteri occorrerebbe comprendere a chi, a che cosa, si conferirebbero tali poteri.
Le regioni così come sono anno abolite. Bisogna pensare ad un nuovo assetto istituzionale, a partire dal ruolo dei comuni. La sinistra deve smettere di ricorrere mode del momento, titoloV, riduzione del numero dei parlamentari ecc. .