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di Elisabetta Gualmini

 

E’ sbagliato legare la vita o la morte del progetto europeo all’introduzione o meno degli Eurobond. Ormai diventati un totem, un feticcio, da cui dipenderebbero tutti i nostri destini. Non è cosi, e non ha senso affrontare la discussione nel dibattitto pubblico in questo modo.

Le istituzioni europee, dopo una iniziale timidezza, stanno finalmente reagendo di fronte alla peggiore crisi sanitaria ed economica degli ultimi 70 anni. Lo stanno facendo da prospettive diverse e con strumenti diversi. Proviamo a mettere in fila i tre pilastri su cui si sta strutturando l’intervento europeo.

 

Il piano di acquisto di titoli di stato da parte della Bce

Il primo pilastro è quello che fa da sfondo agli altri; un gigantesco scudo contro la tempesta, senza il quale qualsiasi politica economica o industriale sarebbe vana. Mi riferisco alla sospensione del Patto di stabilità e al gigantesco Piano di acquisto di titoli di stato da parte della Banca Centrale Europea.

Solo due mesi fa sarebbe stato impensabile che la Commissione europea dicesse stop al Patto di Stabilità. Quello deciso a Maastricht nei primi anni Novanta, quello dei parametri rigidi (sul debito e sul deficit) e quello delle processioni a Bruxelles per sbattere i pugni sul tavolo e ottenere uno zero virgola in più. Le leggi finanziarie degli ultimi anni in Italia sono state segnate dall’ossessione del rispetto del Patto di stabilità europeo e del pareggio di bilancio fissato in Costituzione all’articolo 81 dopo il terremoto finanziario del 2008-2012. Oggi tutti i governi, e anche quello italiano, sono liberi di spendere e spendere subito, senza troppi lacci e lacciuoli. E’ poco? No è moltissimo, è una cesura storica senza precedenti.

Ad esso si accompagna il Quantitative easing predisposto dalla Lagarde (che ha imparato la lezione, dopo l’imbarazzante gaffe iniziale) di dimensioni straordinarie: 750 miliardi che per l’Italia si traducono in 220 miliardi di titoli di Stato acquistati (magari quelli meno appetibili per i mercati). Senza questa operazione, dovremmo ricorrere a prestiti rischiosi e con più alti tassi di interesse e non avremmo garanzie, né protezione. Chi continua a sostenere che senza l’Europa avremmo fatto meglio, è accecato dalla stupidità o dalla malafede.

 

Ue: gli interventi della Commissione e del Parlamento

Il secondo pilastro riguarda tutte le misure messe a punto dalla Commissione e dal Parlamento europeo. Parliamo qui di un puzzle di interventi di cui ricordiamo solo i principali: 37 miliardi di fondi strutturali europei, di cui 9 miliardi per l’Italia, che sono già in dotazione presso le nostre regioni, e che possono essere utilizzati subito in ambito sanitario con procedure burocratiche semplificate; 232 milioni per la ricerca, il vaccino e le cure del Covid19; 800 milioni all’anno del Fondo di Solidarietà prontamente reindirizzato all’emergenza sanitaria; 80 milioni per RescUE, il meccanismo europeo di protezione civile finalizzato a creare una riserva europea comune di apparecchiature mediche di emergenza; e infine il bilancio pluriennale 2020-2027 che includerà il Piano di Ricostruzione europeo con finanziamenti straordinari e misure di lungo termine. Si stima che nel complesso queste misure cubino oltre 2000 miliardi.

 

Il programma SURE per finanziare i sussidi di disoccupazione 

Il Terzo pilastro riguarda infine il programma SURE (State sUpported ShoRt timE Work), per fronteggiare la crisi occupazionale, annunciato di recente dalla Presidente Von der Leyen. Qui in verità ritroviamo i famosi “bond” di cui si parla tanto, che potremmo chiamare “Surebond”, e cioè l’emissione di titoli di stato – per un massimo di 100 miliardi – che andranno a finanziare sussidi di disoccupazione nei diversi paesi, sotto forma di integrazione agli ammortizzatori sociali già esistenti o come nuovo strumento per sostenere il reddito di chi ha perso il lavoro anche temporaneamente.

Allo stesso modo, tornano altri bond, per la creazione di un fondo di garanzia (25 miliardi) per la Banca Europea degli Investimenti che potrà emettere liquidità per le imprese (anche piccole) fino a 200 miliardi. Nel nostro caso passando da Cassa depositi e Prestiti. Su questo si sta decidendo in questi giorni. Così come si sta parlando senza alcun accordo preso sull’utilizzo senza condizionalità del Fondo Salva Stati.

 

Facciamo funzionare quello che c’è

Ma la piattaforma di misure è davvero multipla e il problema non è tanto quello di lambiccarsi il cervello per trovare nuove soluzioni, bensì di mettere in grado quelle già formulate di funzionare ed essere efficaci. Una cosa è certa però: i cambiamenti e i passi fatti dall’Unione europea nelle ultime due settimane sono tali e tanti da configurare un vero e proprio cambio di paradigma. C’è da sperare che se ne convincano anche quelli, sciagurati, che invocano ora un’Europa forte quando fino a ieri lavoravano per distruggere tutto.

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