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Sovranisti vs Globalisti… Tutto chiaro. O no?

Antonio Preiti venerdì 29 Giugno 2018
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di Antonio Preiti

Stranissimo: le parole sono rigide e i fatti mobili. Si potrebbe sintetizzare così, l’incredibile situazione politica di oggi. Quali parole, quali fatti? Vediamoli.

Andiamo al cuore della questione: qual è oggi la natura e la ragione della contrapposizione politica principale? È tra sovranisti e globalisti. Sembra chiara, netta, limpida, ma non lo è, almeno se guardiamo alle cose che accadono. Facciamo un passo indietro. Sul piano ideologico la contrapposizione era prima tra comunismo e liberalismo: idee contrapposte, società contrapposte, antropologie contrapposte. Poi è arrivata la socialdemocrazia a mischiare un po’ le carte, ma anche in questo caso la chiarezza non mancava: una società liberale attenta al sociale.

 

La contrapposizione destra-sinistra

Adesso un passo avanti. Quella che conosciamo meglio, la contrapposizione destra-sinistra, perché più recente, è la figlia della prima contrapposizione, ma non è ugualmente “limpida”. Qui al modello contrapposto di società, si è sostituito un modello contrapposto di sensibilità, con la grande ambiguità sul ruolo dello stato. Statalisti di sinistra e statalisti di destra hanno un po’ confuso le cose. Siccome però restava sempre il problema di come indirizzare il frutto dello statalismo (cioè le entrate della tassazione) ancora la contrapposizione destra-sinistra reggeva.

A mano a mano che l’influenza di Berkeley cresceva nel mondo (il nome-simbolo sintetizza una visione della sinistra non più ancorata al sociale e all’economico, ma alle differenti sensibilità, in una parola, all’antropologia) la natura della sinistra si è trasformata, e così anche quella della destra. Sempre meno scontro sociale ed economico, sempre più scontro sui simboli, sulle definizioni (di qui il dominio del politicamente corretto), insomma sulle parole.

 

La contrapposizione sovranismo-globalismo

Teniamo a mente queste differenze per arrivare finalmente a noi. Oggi si dice che non ci sia più la contrapposizione destra-sinistra (anche se da sinistra si tende, pavlovianamente, a riproporla comunque e dovunque), sostituita da quella sovranismo-globalismo. L’attrazione è fatale. I globalisti sono (sarebbero) per una società aperta; per lo scambio di idee, merci e persone; a favore delle ideologie “liquide”. I sovranisti sono (sarebbero) per una società più riferita alla nazione; per un rallentamento, se non cessazione, dello scambio di idee, merci e persone; per idee tradizionaliste da difendere, perciò rigide.

Benvenuti nel nuovo secolo, si potrebbe dire. Ma è proprio così?

 

Che cosa significa ‘sovranismo’?

Prendiamo il sovranismo. Detto in una parola: ciascuno per sé e (si spera) Dio per tutti. Corollario implicito: se tutti fossero sovranisti, i problemi sarebbero risolti. Prendiamo il primo di questi problemi, cioè l’immigrazione dall’Africa. Salvini, in quanto sovranista, dice l’Europa s’accolli il problema di queste persone che cercano rifugio da noi. Questo sarebbe perfetto se tutti gli altri paesi europei fossero (o diventassero) coerentemente globalisti. Il leader con cui ha però maggiori sentimenti di vicinanza è Orbán, il re dei sovranisti, il quale, per essere tale, non vuole accogliere nessuno. La signora Merkel non è sovranista, naturalmente, ma non vuole gli immigrati neppure lei, e neppure quelli che arrivassero da altri paesi europei, Italia in primis. Macron è il nemico numero uno dei sovranisti e contro di loro spende parole infiammate. Però non accetta che la Francia accolga le navi del Mediterraneo. Come la mettiamo?

In sostanza sono tutti sovranisti nei fatti, ma divisi nel riferimento ideologico.

 

Che vuol dire ‘globalista’?

Andiamo ai globalisti. Intanto, il ruolo di globalista sta meglio a chi ha una taglia maggiore. Non è necessario, ma è più “naturale”. Fondamentalmente abbiamo tre paesi globalisti: gli Stati Uniti, la Cina e la Russia. Poi c’è un non-paese che è (sarebbe/dovrebbe essere) globalista per sua natura, cioè l’Europa, ma è appunto un non-paese, o meglio un paese non ancora compiuto (si spera che lo diventi). Trump vuole rafforzare la politica globale del suo paese rafforzando la capacità di produrre reddito, mette perciò nuovi dazi e affronta una battaglia commerciale globale. Il paese globalista quasi per mandato divino (basta rileggere la Dichiarazione di Indipendenza di quel paese e i discorsi dai padri fondatori fino a Obama) agisce oggi da sovranista. La Cina, che insidia fortissimamente la leadership globale degli Stati Uniti, ha un programma globalista formidabile (si veda la loro politica in Africa, l’acquisto del debito americano e gli immensi investimenti nella tecnologia), ma è totalmente sovranista nella politica interna, improntata a quello che i sovranisti di tutto il mondo fanno o sognano di fare. Resta la Russia, ma il discorso, in scala molto ridotta, è pressoché uguale a quello che vale per la Cina. L’Europa di tutto si occupa tranne che di rafforzarsi come sovrana di sé stessa. Perciò discorso rinviato.

Allora anche i globalisti, in fondo, rivelano, o come politica interna o estera, programmi che possono, senza troppe forzature, essere definiti sovranisti. Ovviamente c’è un abisso incommensurabile tra la meravigliosa apertura interna della società americana, globalista per natura e gli altri paesi autoritari per vocazione. Però il segno sovranista che Trump ha impresso alla politica estera americana ha il suo peso.

Tutti sovranisti, allora? È difficile negare totalmente questa affermazione, con i mille distinguo di cui si è detto o che si potrebbero dire. Se così fosse che fine farebbe la contrapposizione che sembra così evidente tra sovranisti e globalisti? O, per riformulare meglio la domanda, cos’è davvero la visione globalista? Che natura ha? Dove si esplica? È il nuovo sinonimo per dire sinistra? Qual è il suo nucleo di verità, di emozione, di visione politica che si possa abbracciare, sentendo che questo abbraccio ci eviterà quel sovranismo autoritario a cui non desideriamo approdare?

Conviene dire anche quello che il globalismo non può essere.

 

Quello che il globalismo non può essere

Non può essere assenza di identità. Il cittadino del mondo è una fantasia: ognuno appartiene a qualcosa di terragno (la sua città, o il suo quartiere, o la sua nazione o qualunque altra cosa). In fondo solo (o quasi) il pensiero cristiano propone un’identità universale fondata sulla persona). Pensate al progetto impossibile dell’esperanto. L’ipotesi è di una lingua universale, che prenda le regole migliori da ciascuna e le amalgami per farne una sola lingua, che possa essere parlata in tutto il mondo. Progetto meraviglioso, ma meravigliosamente fallito. Ogni lingua crea e nutre una identità: togliere la lingua significa togliere l’identità. E chi davvero parla bene una lingua straniera, sa che gli è impossibile, se non si immedesima (o prova a farlo) nella cultura e nella realtà del popolo da cui quella lingua trae origine.

Non può essere scambio di merci senza nessuna regola. Il vecchio Marx sosteneva che ogni economia capitalistica tende al monopolio. Si sbagliava. Ma si sbaglia anche chi pensa che l’era della finanza globale sia come la situazione di perfetta concorrenza e equa distribuzione delle risorse, ipotizzata dai manuali di economia e su cui si basano le leggi di libero mercato.

Oggi il fatturato delle maggiori aziende capitalizzate americane vale molto di più del Pil di interi paesi, e non irrilevanti. Detto in termini meno teorici: i salari occidentali sarebbero annientati dalla concorrenza sic et simpliciter dei lavoratori che vengono pagati un decimo o un centesimo di quelli occidentali; le risorse naturali di un paese potrebbero essere acquistate con un semplice battito di ciglia da un’impresa top mondiale; chi controlla le tecnologie potrebbe usarle per destabilizzare (o peggio) qualunque paese. Perciò il commercio mondiale è causa di ricchezza per tutti, ma non può essere una ideologia senza limiti per nessuno.

Non può essere l’abbattimento dei confini delle nazioni. Demografia dell’Africa ed economia dell’Europa sono asimmetriche: la prima cresce a un ritmo esponenziale, la seconda è quasi ferma. La conseguenza è una spinta epocale verso l’Europa. I confini sono necessari, ma la porosità dei confini è altrettanto necessaria. Detto più chiaramente: nessuno può pensare di abbattere i confini, materiali, ideali o astratti che siano. Si veda al punto precedente dell’identità. Però nessuno ha mai pensato (salvo i regressisti) che il confine sia un muro o una barriera impermeabile. Un confine è qualcosa che è bene sia messo in discussione, superato, spostato ogni volta di un pezzo, sia materialmente sia idealmente. Avere un confine ed essere permeabili: oltre è impossibile andare. Persino gli Stati Uniti, una delle rare nazioni che si è formata unendo stati diversi, piuttosto che dividendo stati esistenti, è una federazione che mantiene e coltiva la diversità tra gli stati.

 

Società aperta e società chiusa

Allora, se le cose sono così complicate, se la differenza non sta nel sovranismo e nel globalismo, la frattura politica di questi anni (soprattutto di quelli a venire) sta da un’altra parte. Forse sta proprio tra una società aperta, occidentale, dai valori liberali e una società chiusa, dimentica della sua nascita, statalista, autoritaria. Questo sì che può incendiare i cuori. Questo sì che riconnette parole e cose. Questo sì che parla della nostra identità in divenire.

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