di Alberto Colombelli
Il 17 dicembre scorso sembrava un giorno tra tanti di avvicinamento al Santo Natale.
Quel giorno però ho sentito parole che da allora mi continuano ad accompagnare e che oggi, proprio per quanto si è determinato a partire da quel giorno, hanno un significato ancora più forte.
Nel suo saluto natalizio in redazione a Bergamonews Sua Eccellenza il Vescovo di Bergamo Mons. Francesco Beschi concentrò il suo messaggio sulla parola “speranza”, considerandola centrale in questo nostro tempo. Disse che anche se sempre più frequentemente viene considerata come la virtù dei pigri o dei deboli, in realtà la “speranza” è quanto mai da riconoscere e riaffermare oggi come la virtù dei forti.
Perché riuscire a coltivarla in un mondo sempre più conflittuale, con drammi umanitari diffusi ad ogni latitudine, richiede grande forza d’animo e incrollabile fiducia.
Immediato il mio pensiero è andato a quel “L’audacia della speranza”, scelto da Barack Obama nel 2006 come titolo del libro con cui si propose al mondo quale candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti d’America ed a quella sua capacità di generare partecipazione e coinvolgimento che ne seguì.
Riguardando le immagini della folla presente ai suoi discordi lungo tutta quella campagna elettorale, quello che mi colpisce ancora oggi è l’intensità della luce negli occhi delle persone al sentire le sue parole, quando chiedeva loro “Volete una politica di scetticismo o una Politica di speranza?” e la risposta unanime era “Di speranza”.
Lo stesso Barack Obama il 5 dicembre scorso a Chicago nella nuova edizione del Democracy Forum della sua Obama Foundation ha cercato di rilanciare la speranza dedicando l’evento al “pluralismo”, quale risposta opposta a quella polarizzazione che pare dominare la società odierna, alimentandone divisioni e conseguenti inevitabili conflitti.
“All’Obama Foundation Democracy Forum di quest’anno, ho parlato di pluralismo – l’idea che in una democrazia, dobbiamo tutti trovare un modo per convivere accanto a individui e gruppi diversi da noi. Quindi l’idea attraverso cui ci impegniamo ad adottare un sistema di regole che ci aiuti a risolvere pacificamente le nostre controversie e cerchiamo di coltivare abitudini che ci incoraggino non solo a tollerarci a vicenda, ma anche a partecipare ad un’azione collettiva. Sono convinto che se vogliamo che la democrazia, come la intendiamo noi, sopravviva, allora dovremo tutti lavorare per un rinnovato impegno a favore del pluralismo. L’alternativa è ciò che abbiamo visto qui negli Stati Uniti e in molte democrazie in tutto il mondo: non solo stallo e cinismo pubblico, ma una crescente volontà da parte dei politici e dei loro seguaci di violare le norme democratiche, usare il potere dello Stato per prendere di mira critici, giornalisti o rivali politici e persino ricorrere alla violenza per conquistare e mantenere il potere. (…) Non ci sono risposte facili. Alcuni dei problemi a cui stiamo assistendo si sono verificati nel corso di decenni, e anche risolverli richiederà tempo. Ma stiamo assistendo agli sforzi positivi dei giovani leader in questo paese e nel mondo per rinvigorire i valori pluralisti. E ciò che questi leader stanno scoprendo è che, quando ascoltano le persone, riconoscono le loro molteplici identità e cercano esperienze e valori comuni, non stanno solo rafforzando le abitudini democratiche. Stanno anche costruendo organizzazioni più forti e offrendo risultati migliori ai loro membri. Questo è il potere del pluralismo. È così che ridurremo il cinismo così prevalente nella nostra politica in questo momento. E alla fine, è così che lavoreremo insieme per risolvere le più grandi sfide del nostro tempo.” (Presidente Barack Obama, Chicago, 5 dicembre 2024)
È un nuovo messaggio di speranza che è stato immediatamente accolto dal nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Così sempre quel 17 dicembre, il suo discorso alle Alte Cariche dello Stato è stato proprio un richiamo ai valori del pluralismo e della democrazia.
“Non possiamo tornare indietro, non possiamo rassegnarci al disordine e al conflitto permanente.
La pace e la cooperazione sono sempre possibili.
Su questa frontiera oggi misuriamo la vitalità e la forza delle nostre democrazie, della civiltà del diritto, dei valori di libertà, di giustizia, di uguaglianza che sono stati e sono i mattoni con cui abbiamo costruito la nostra pacifica convivenza.
Perché anche le nostre società, quelle del mondo occidentale, che per molti decenni sono state la base e il baluardo più forte di questi valori, appaiono sfidate da insidiosi fattori di rischio.
Si registra ovunque un fenomeno di evidente, progressiva polarizzazione che tocca tanti aspetti della nostra convivenza.
Appare sempre più difficile preservare lo spazio del dialogo e della mediazione all’interno di società che sembrano oggetto di forze centrifughe divaricanti, con una pericolosa riduzione delle occasioni di dialogo, di collaborazione, di condivisione.
Si tratta di una dinamica che non riguarda soltanto la politica ma la precede e va molto oltre. Tocca ambiti sociali, economici, culturali, persino etici.
Il pluralismo delle idee, l’articolazione di diverse opinioni rappresentano l’anima di una democrazia.
Questo è il principio cardine delle democrazie delle società occidentali.
Ma sempre più spesso vi appare la strada di una radicalizzazione che pretende di semplificare escludendo l’ascolto e riducendo la complessità alle categorie di amico/nemico.
Quando si innescano conflitti che feriscono e lacerano una società; quando si cerca di sostituire alla forza della ragione la violenza o la prepotenza del più forte; quando si alimentano e si giustificano diseguaglianze crescenti e insopportabili occorre riflettere per riprendere un percorso costruttivo. (…)
Si insinua nelle nostre opinioni pubbliche il dubbio che il potere democratico sia debole, inefficiente, lento, inadeguato a governare realtà in veloce evoluzione. O addirittura sia un fattore penalizzante nella competizione con sistemi non democratici. È singolare e contro la realtà che si trascuri come nelle democrazie le decisioni assunte, sulla base del consenso liberamente espresso dai cittadini, siano ben più salde e affidabili.
Bisogna amare la democrazia.
Bisogna prendersene cura.
È garanzia di libertà, promuove benessere e sviluppo, costante ricerca della pace. Obiettivi, questi, negati dai regimi autoritari, incapaci di dare risposte alle speranze delle persone e, in realtà, assai meno saldi e forti di quanto vorrebbero far credere.
Evitando che conflitti e radicalizzazioni, artificialmente alimentate da chi pensa in tal modo di ottenere spazio e visibilità, riescano a produrre una desertificazione del tessuto civile che lascerebbe campo libero ad avventure di ogni tipo.
Vorrei dire ai più giovani, che governeranno il futuro: quel che sta cambiando attorno a noi presenta un grande fascino. Le possibilità offerte dalle tecnologie digitali, l’intelligenza artificiale, l’idea di una “connessione” permanente che ci fanno sentire al centro del mondo. Tutto questo apre potenzialità straordinarie, positive, di grande valore, a condizione che non perdiamo la misura della nostra umanità.
E la nostra umanità si esprime anzitutto in relazione. Nel vivere insieme agli altri. Nel condividere. Nel fare comunità.
Le nostre democrazie hanno bisogno di questa umanità, di queste relazioni, di rinnovata partecipazione che torni ad animare e a dare valore allo spazio pubblico, alla dimensione comunitaria.
È questa l’unica, impegnativa e concreta alternativa alle lacerazioni delle nostre società, allo svuotamento di senso, alla disaffezione, alle mille solitudini che abitano le nostre città.
Leggo con queste lenti il crescente e preoccupante fenomeno dell’astensionismo, registrato nelle tornate elettorali da diversi anni a questa parte.
Una democrazia senza popolo sarebbe una democrazia di fantasmi.
Una democrazia debole.
È necessario operare per recuperare fiducia, adoperandosi prima di tutto, per ricostruire il rapporto tra persone e istituzioni.
Perché le istituzioni vivono della partecipazione e dell’impegno personale.
La democrazia non si esaurisce nelle sue procedure: è impegno, passione, senso della comunità, richiede che si contribuisca alle scelte, a ogni livello.
Anche per questo è necessario sostenere il pluralismo, nelle articolazioni sociali come nell’informazione, non affidando soltanto alle logiche di mercato quel che è prezioso per la qualità della convivenza e per una piena cittadinanza.” (Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Roma, 17 dicembre 2024)
Il giorno prima sempre il nostro Presidente della Repubblica parlando alla Conferenza delle Ambasciatrici e degli Ambasciatori estese il significato stesso di pluralismo dicendo anche che “il dialogo interculturale costituisce uno strumento potente, di cui spesso non si coglie appieno il valore. La cultura crea legami profondi, forti e duraturi, scevri da convenienze o tensioni di natura politica o economica.” (Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Roma, 16 dicembre 2024)
Soprattutto lo ha fatto con un messaggio finale rivolto al futuro capace di tenere accesa, insieme, la nostra speranza.
“In questo quadro occupano un ruolo determinante le generazioni più giovani, impegnate in molti ambiti per la costruzione di un mondo con migliori condizioni.
Il futuro è nelle loro mani, a patto di poterlo ricevere in consegna non compromesso da chi li ha preceduti.
È giusto osservare da vicino e divenire protagonisti di quello che si profila in avvenire.
Anche in questo vostro ambito, in politica estera, vi è bisogno di un continuo apporto di idee nuove, di iniziative, di stimoli.” (Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Roma, 16 dicembre 2024)
Speranza è pluralismo, speranza è capacità di dialogo, anche e soprattutto interculturale.
E in questi giorni la speranza è soprattutto rivolta a chi sempre e proprio quel 17 dicembre ci condivideva una nuova puntata del suo podcast “Stories” esprimendoci tutta la sua felicità per essere riuscita a tornare a Teheran per raccontarci come era nel frattempo cambiata.
Così oggi la nostra speranza è prima di tutto che Cecilia Sala possa tornare a casa quanto prima.
Sarebbe un segno senza eguali che un nuovo dialogo anche tra le posizioni più distanti oggi è ancora possibile.
Consulente d’impresa, esperto in Corporate Banking. Già delegato dell’Assemblea Nazionale del Partito Democratico, è attivo nell’Associazione europeista Freedem e nell’Associazione InNova Bergamo. Ha contribuito al progetto transnazionale di candidatura UNESCO delle ‘Opere di difesa veneziane tra il XV e il XVII secolo’. Diplomato ISPI in Affari europei. Componente del Comitato scientifico di Libertà Eguale. E’ impegnato nella costruzione di una proposta di alleanza tra tutti gli europeisti riformatori.