La pressione fiscale diminuisce, ma non è percepita
Nel corso degli ultimi anni la pressione fiscale – somma di tutti i tributi e contributi, in rapporto al Pil – è leggermente diminuita, in Italia, pur rimanendo alta nella comparazione con gli altri maggiori Paesi dell’Area euro. Una delle ragioni che spiega la bassa percezione di questo risultato dell’azione di governo dei riformisti è da ricercare nel contemporaneo andamento della bolletta energetica (elettricità, gas). E’ la conseguenza di un approccio riformista incompleto. Denuncia:
I costi che pesano sulle bollette
Il progressivo sviluppo delle fonti rinnovabili è stato perseguito con un meccanismo di incentivazione a carico della bolletta energetica e non della fiscalità generale. Se questo ha avuto l’effetto positivo di aumentare la produzione da fonti rinnovabili nel nostro Paese, d’altra parte ha fatto sì che le bollette, nonostante la diminuzione dei prezzi delle materie prime, non abbiano subito significative riduzioni; anzi ora, con il rialzo del prezzo del petrolio, rischino di aumentare significativamente. Anche perché, nel frattempo, sulla bolletta energetica hanno finito per pesare ulteriori costi, quali quelli relativi a:
Tutto questo ha finito per influenzare pesantemente le dinamiche della bolletta energetica, anche perché si è sottovalutato l’impatto complessivo dell’insieme delle misure, che pure, prese ad una ad una, avevano un senso…
Alcune correzioni necessarie
Si impone una correzione. A partire dalla revisione e dal temperamento di alcune delle misure prese:
Più in generale, i riformisti debbono assumere impegno formale ad esplicitare e rendere pubbliche le conseguenze di ogni intervento legislativo e/o regolatorio sulle bollette, analiticamente, per ciascuna fascia di consumo. Ogni cittadino/impresa deve essere messo in grado di capire quali saranno le conseguenze sulle proprie bollette di ogni singola proposta e soluzione adottata.
La bolletta energetica costituisce un costo fisso che incide fortemente sulla spesa mensile delle famiglie italiane a reddito medio-basso. Diminuirla significativamente – data l’elevata propensione al consumo di queste famiglie – consente di migliorare il loro benessere, liberando quote di reddito per consumi oggi preclusi perché troppo costosi (istruzione; sanità; viaggi).
Luci e ombre dell’Ecobonus
Dai primi anni del 2000 è stata introdotta, in Italia, una fortissima incentivazione fiscale per le famiglie che investono sul risparmio energetico della propria casa (Ecobonus). Una misura che ha riscosso un grande successo, sia sul terreno economico (sommandosi alle detrazioni Irpef per ristrutturazioni edilizie, ha sostenuto il debole settore edile anche durante la Grande Recessione), sia sul terreno della tutela dell’ambiente (gli edifici risanati si contano ormai a centinaia di migliaia, in tutto il Paese).
Avrebbe dovuto risultare evidente, però, un limite insito nella struttura stessa di questo intervento: la sua sostanziale inapplicabilità ai grandi condomini costruiti negli anni 50-60 e 70 del novecento, dove abitano le famiglie meno dotate sia sul piano del reddito sia sul piano della ricchezza patrimoniale. Si tratta infatti di edifici “calorifero a cielo aperto”, responsabili di larga parte dell’inquinamento delle città, dove il riscaldamento e il raffreddamento costano moltissimo.
È vero che nella parte finale della legislatura il governo Gentiloni è riuscito a porre rimedio a questo limite, ma è almeno altrettanto vero che il ritardo con cui si è provveduto segnala un deficit di coerenza riformista: il mix di merito/padronanza e bisogno/protezione non era ben calibrato nel momento in cui la riforma è stata concepita, sicché un grande volume di risorse pubbliche è stato impiegato per uno scopo buono, ma in modo socialmente selettivo, a favore di chi sta meglio.