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Tra Invalsi e maturità, cosa c’è dietro le differenze tra Nord e Sud

Giovanni Cominelli mercoledì 2 Agosto 2023
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di Giovanni Cominelli 

 

Ad estate 2023 già iniziata, sono state pubblicate due serie di dati relativi al funzionamento del sistema scolastico. La prima è quella dei risultati delle prove INVALSI – Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema di Istruzione – emersi dalla rilevazione nazionale sugli apprendimenti, condotta tra marzo e maggio 2023 nelle classi campione delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado.

La seconda riguarda i risultati degli esami di maturità 2023. A queste due serie, si deve aggiungere la rielaborazione, fatta dal Sole 24 Ore, dei dati relativi ai titoli di studio della popolazione residente oltre i 9 anni, che è l’età minima di riferimento per l’alfabetizzazione.

Il giornale del 31 luglio ha dedicato due titoli a questi temi. Il primo: “Alla maturità il gap scompare e il Sud diventa ‘eccellente’; il secondo: “Livelli di istruzione, Italia spaccata. Al Sud dilaga la povertà educativa”. “Povertà educativa” ed “eccellenza” che ineriscono allo stesso soggetto – il Sud – meriterebbero di essere citati dalla Logica di Aristotele quali esempi di violazione del principio di non contraddizione.

Ma l’enigma è presto sciolto: la povertà educativa è reale, l’eccellenza è un’invenzione scolastica. La prima appare con tutta evidenza nell’elaborazione del Sole 24 Ore dei dati relativi ai titoli di studio della popolazione residente oltre i 9 anni: le dieci Province con la più elevata incidenza di residenti con più basso livello di istruzione, uguale o inferiore alla licenza media, sono tutte al Sud, dove si registrano dati drammatici.

Quanto all’“eccellenza”, i dati dell’esame di maturità 2023 e i risultati dei test INVALSI documentano – ma non è la prima volta! – che il Sud è più ricco educativamente del Nord in forza dei primi ed è più povero educativamente per i secondi.

Così la Calabria ha il 32,1% di voti alti – l’eccellenza all’esame di maturità – ma nelle prove standardizzate INVALSI raggiunge solo il 6,1% degli eccellenti. In Lombardia gli eccellenti alla maturità sono solo il 15,1%. Impressionante il rovesciamento dei dati rispetto a tutte le Regioni del Nord. I diplomi con 100 e lode raggiungono in Puglia e Calabria il 5,6% dei diplomati, contro la media nazionale del 2,7%. I diplomi con 100 in Calabria sono l’11,9%, in Puglia il 9,9%, la media nazionale è del 7,3%.

A quanto pare, esistono “due Italie nella valutazione della maturità”. Eppure l’istituzione scolastica statale, benché articolata in oltre 40 mila sedi e in circa 8 mila autonomie scolastiche in riduzione tendenziale, così come prevede la legge di Bilancio, è unica e omogenea per leggi, regole, procedure, standard. Invece, si deve prendere atto che non solo la società italiana e il Paese sono attraversati dal fossato Nord/Sud, ma anche l’Amministrazione pubblica, compresa quella scolastica.

Per due ragioni. La prima: l’Amministrazione scolastica è solo apparentemente centralistica, in realtà è anarchica, perché non dà nessuna valutazione delle capacità educative delle scuole e, per quanto riguarda l’esame di maturità, non esercita nessun controllo e non irroga nessuna sanzione per comportamenti opportunistici o “irregolari” di insegnanti e, soprattutto, di dirigenti e di Commissari interni ed esterni di esame.

Tutti seguono le stesse procedure, che coprono pratiche e risultati del tutto divergenti. Il rispetto delle procedure è l’unico oggetto di ispezione e controllo del corpo degli Ispettori. Diversamente che all’OFSTED – Office For Standards in Education – inglese, all’INVALSI non è stata dato nessun compito ispettivo in profondità delle prestazioni delle scuole. Solo questionari su classi campione.

Non è poco, ma assai meno di quanto sarebbe necessario. La seconda ragione è che l’Amministrazione è fatta di persone, che abitano in un territorio, che hanno una specifica mentalità e configurazione culturale e socio-economica, la quale modella e pervade gli apparati amministrativi. L’Amministrazione è socialmente porosa, inevitabilmente.

Il fatto è che gli alti voti elargiti al Sud sono considerati dalle famiglie, dai ragazzi e, perciò, dagli insegnanti e dai dirigenti come un passe-partout sociale, uno strumento di riscatto e di salita lungo i gradini della scala sociale. I voti alti costituiscono certamente un vantaggio competitivo rispetto al Nord nel caso di concorsi pubblici e di accesso alle Facoltà a numero chiuso, per il quale il voto di maturità conservi un qualche peso.

Valgono assai meno per il lavoro privato e per le professioni, dove il criterio di assunzione è: “vediamo che cosa sai fare!”. Occorre prendere atto che all’auto-inganno fraudolento dell’eccellenza del Sud del Paese partecipano in simbiosi l’Amministrazione, la società meridionale e la politica: sono della stessa pasta. Perché anche alla politica meridionale interessano “i voti”, in particolare quelli espressi nelle urne.

Per tentare un qualche rimedio, il Ministro Valditara il 9 giugno ha presentato, sotto la spinta cogente del PNRR e nella prospettiva della creazione dello Spazio Europeo dell’Istruzione, l’Agenda Sud: in collaborazione con l’INVALSI, è stato elaborato un Progetto biennale 2023-24 e 2024/25, che ha individuato 150 scuole, nelle quali sperimentare politiche di contrasto della dispersione scolastica, allo scopo di ridurre il divario dei livelli di istruzione tra Nord e Sud.

Tentativi necessari, ma…

Sul piano dell’Amministrazione scolastica servirebbero ulteriori passaggi. Uno: costruire un Ispettorato all’inglese, che valuti la capacità di offerta educativa delle scuole, riconoscendo a Consigli di amministrazione delle scuole- da istituire – il potere di assumere e licenziare presidi e insegnanti incapaci e al Ministero quella di chiudere le scuole, qualora strutturalmente inadempienti sul piano dell’offerta educativa.

Due: abolire l’esame di maturità, sostituendolo con una rigorosa certificazione da affidare a agenzie di certificazione esterne alle singole scuole e all’Amministrazione scolastica.

Altri due passaggi vanno oltre le competenze del MIM. Uno: abolire il valore legale del titolo di studio. Qui si incontra l’art. 33, quinto comma, della Costituzione, che prescrive un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.

Eppure, funziona ormai come copertura del disvalore reale e come velo che impedisce di vedere il lento decadere delle istituzioni scolastiche e universitarie, se dobbiamo prendere per buone le indagini sull’analfabetismo funzionale e sulla perdita della lingua italiana scritta, quale si constata nelle tesine e nelle tesi di laurea di fior di laureati.

L’altro passaggio è culturale. Riguarda la società meridionale intera, il suo substrato antropologico-culturale, i suoi intellettuali, in primo luogo gli insegnanti, i suoi scrittori, i suoi cineasti, i suoi mass-media, tutti uniti nell’esaltazione di un modello di vita meridionale, nel vittimismo, nel miserabilismo e nell’assistenzialismo.

È vero che dove c’è povertà economica, c’è povertà educativa. Ma anche viceversa. Troppo spesso la povertà educativa è una scelta: investire in consumi ostensivi e spesso opulenti, invece che in istruzione, è questione culturale.

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