di Ranieri Bizzarri
L’uscita di Italia Viva dal governo Conte rappresenta un atto politico molto più denso di significati di quanto non possa sembrare a prima vista. La cronaca ci consegna una crisi di governo in mezzo ad una situazione drammatica dovuta alla pandemia di coronavirus. Ogni giorno, ormai da settimane, viaggiamo ad un ritmo di 500 decessi. L’arzigogolato sistema di monitoraggio delle Regioni a base di colori e parametri più o meno comprensibili ha ridotto un po’ la diffusione pandemica, ma si è raggiunta una inquietante stazionarietà dei contagi. Inoltre, per compensare la tragica situazione economica si sta mettendo mano ad un decreto ristori 5, con uno scostamento di più di 30 miliardi.
La campagna vaccinale è appena iniziata e mesi duri si prospettano davanti a noi. Non ho dubbi che una crisi di governo in queste condizioni sia un atto gravemente irresponsabile e decisamente anti-nazionale, qualunque sia la bontà delle ragioni che l’ha determinata. E tuttavia riconosco un elemento di fondo che -accanto a ragioni assai più strumentali- ha favorito la crisi: dopo una fase molto efficace nella scorsa primavera e il grande successo conseguito in Europa col conseguimento del Recovery Fund in estate, il governo Conte si è progressivamente avvitato nell’inconcludenza, e non si è dimostrato all’altezza del drastico peggioramento della situazione sanitaria ed economica italiana.
Come Paese abbiamo costantemente inseguito la devastazione portata dal virus, arrancando sul tracciamento e sui controlli, incapaci di coordinare le risposte regionali in maniera sensata, e dando sempre l’idea di mettere una toppa a qualunque buco. Fatalisticamente, abbiamo puntato tutto sul vaccino (di cui nel 2021 saremo solo uno tra tanti acquirenti, altra nota poco rassicurante) e sui miliardi del recovery fund. Un sostanzioso contributo in Euro che, secondo le illusioni delle forze politiche che sostengono il governo, dovrebbe coniugare la rinascita dell’Italia con la permanente affermazione delle forze europeiste nel nostro Paese.
Il tutto si basa su un audace piano politico in quattro fasi. Fase 1: referendum sui parlamentari. Fase 2: sistema elettorale proporzionale (corretto da qualche guazzabuglio per aumentare la governabilità, ca va sans dire). Fase 3: Mario Draghi al Quirinale. Fase 4: redimere all’occidente pro-vax la rimanente parte dei grillini social-governativi ed insieme a loro presentarsi ai cittadini con le diapositive dell’Italia rinata a suon di Euro comunitari per impedire il governo dei sovranisti cattivi (e votati) attraverso un Parlamento proporzionale balcanizzato. Vaste programme, se vogliamo usare ancora il francese per le citazioni.
Ma la crisi di governo ha anche, purtroppo, un altro lato politico oscuro. Negli ultimi dieci anni Renzi è stato uno dei protagonisti della vita politica italiana. Nella sua parabola, Renzi ha prima provato ad impiantare un riformismo coerente e pragmatico nel corpo del Partito Democratico. Si è trattato quasi di un esperimento scientifico, dato che il PD è figlio di partiti che riformisti non sono mai stati, avendo invece adottato la strategia gramsciana di connettersi sentimentalmente al popolo ed edificare una visione antropologica più che una politica reale. Col risultato che ormai il popolo è andato, perché i simboli di diversità antropologica dalla destra, di politicamente corretto anche sul nome degli animali, di rivendicazione di minaccia fascista di fronte a qualunque baggianata, se li possono permettere solo persone che hanno un reddito medio-alto, un posto sicuro, e – in taluni casi – tempo da passare nelle bolle autoreferenziali dei social.
E nel frattempo la fascia bisognosa e marginalizzata della società vota convintamente a destra, dove trovano perlomeno sfogo al loro rancore verso una “società signorile di massa” (copyright di Luca Ricolfi) che ha abolito l’ascensore sociale. Insomma, Renzi ha provato a bestemmiare in Chiesa, come si dice in Toscana. Il suo governo ha colto importanti e duraturi risultati, ma la sua ansia di farsi largo politicamente lo ha portato a fregarsene del partito e a scansare teste pensanti dalla sua strettissima cerchia. Gravi errori strategici, una sconfinata arroganza, e la doppia sconfitta referendum-elezioni ne hanno poi determinato la caduta.
Bene, da quando Renzi è finito in disgrazia, dentro il PD si è tirato un sospiro di sollievo ed è cominciata l’opera di recupero dopo la tempesta riformista. L’idea di un partito politicamente meticcio col 40% dei voti è rapidamente scomparsa. Zingaretti è stato eletto come rappresentante indiscusso della religione del queta non movere et mota quetare, perché nell’epoca della post-verità, è un po’ difficile fare delle scelte senza che subito non vi siano degli scontenti, perlomeno via social. Il programma del PD si è fatto pre-politico. Più propriamente esso è da allora costituito da una sola parola “Unità”, eventualmente ripetibile tre volte in riti di piazza sempre più stantii. Unità naturalmente contro i fascisti, i cattivi, i sovranisti, quelli che chiamano Sindaco una Sindaca, ecc. E con il meraviglioso corollario, assai sbandierato, di non lasciare mai indietro nessuno. Purtroppo, chi è rimasto indietro non si fida del PD, e non lo vota mai.
Qualcuno una volta ha detto: peggio della sinistra c’è solo la destra, e aveva ragione. Dopo la sconfitta del 2018, il governo gialloverde dominato dal Capitano, detto anche il Sovranista da spiaggia, ha coniugato il più classico assistenzialismo con una narrazione basata sulla piccola e politicamente sicura vigliaccheria esercitata verso i più deboli, adducendo nientedimeno la minaccia alla sicurezza nazionale ed alla società da parte di alcune migliaia di poveri Cristi sopravvissuti al naufragio su gusci di noci. Gente che – potendo – in Italia non ci starebbe nemmeno un minuto.
Ma ecco, quando il sovranista da spiaggia è crollato sotto il peso della sua incapacità di comprendere il mondo occidentale e europeo, Renzi ha iniziato a costruire il suo vero capolavoro. Prima, si è speso in prima persona per la nascita del governo giallorosso (sempre con Conte al comando), favorendo un matrimonio politico tra PD e M5S che -nelle teste di molti dirigenti PD- era ormai ideologicamente maturo. Poi ha fondato il suo partitino personale, con il simbolo della spunta nella lista della spesa. Partito che è rimasto nel governo, naturalmente. La logica dell’operazione è stata surreale: Renzi si è sempre richiamato alla necessità di un grande partito a vocazione maggioritaria, che prevede un paziente e continuo lavoro di elaborazione e azione politica. Ma di fronte ad una prevedibile temporanea restaurazione ha abbandonato la nave, invece di lavorare per riaffermare le sue idee. Non potendo vincere la partita nel breve, ha portato via il pallone. E in questi giorni, in mezzo alla pandemia, ha tolto anche la spina anche al governo che ha contribuito a far nascere. Un governo scarsamente efficace, come detto, ma la cui caduta di sicuro non migliorerà le condizioni dei cittadini, né la credibilità dell’Italia in Europa. E che ha già aperto le porte al classico trasformismo parlamentare italiano.
Un capolavoro, dicevo. Voluto o meno, il gesto di Renzi favorirà anche la completa liquidazione del riformismo liberale dentro al PD e probabilmente farà diventare Conte (!) il futuro del centrosinistra moderato italiano. È infatti di qualche ora fa una dichiarazione di Andrea Orlando che apre al partito di Conte, perché lo ritiene poco pericoloso per il PD ed anzi utile a fargli riprendere il suo naturale ruolo di partito di sinistra. Et Voilà.
Renzi non è stupido, e sa benissimo che il suo atto sostanzia la narrazione che lui e le sue idee fossero “coronavirus” della destra che avevano infettato la “vera” sinistra. Davvero un bel regalo a chi come me non si è mai rassegnato alla chiesa gramsciana, ed ha seguito Renzi per le sue idee e senza prebende, fermandosi solo davanti all’imbarazzante e strumentale mini-scissione di Italia Viva.
Grazie Matteo e in bocca al lupo per il tuo prossimo incarico. Se puoi, ogni tanto pensa con il tuo proverbiale sorriso anche a noi poveri grulli che ti si è dato retta perché eravamo (e siamo) convinti che le tue idee fossero giuste per la sinistra moderna. E ora siamo in mezzo alle tue macerie, tentando di spostarle a mani nude. Ma non ci arrenderemo, lo sappiano i dirigenti della “vera sinistra”.
Laureato e dottorato in Chimica, è Professore associato di Biochimica all’Università di Pisa. E’ stato Research Fellow in USA, Francia e Olanda. Si occupa di processi biochimici alla base dello sviluppo dei tumori. Fa parte della Presidenza Nazionale di Libertà Eguale