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Ucraina: l’attualità di Mounier e l’art. 11 della Costituzione

Stefano Ceccanti giovedì 24 Marzo 2022
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di Stefano Ceccanti

 

Premessa a Emmanuel Mounier, “I cristiani e la pace”, Castelvecchi Editore 2022

 

Premessa

Dedico questa breve prefazione a Beniamino Andreatta, che in una non dimenticata lezione di realismo nella sede dell’AREL (Agenzia di Ricerche e Legislazione), alla presenza di Roberto Ruffilli e Maria Eletta Martini, disse ad alcuni di noi che il titolo di un tavola rotonda “L’Europa necessaria, il riformismo possibile” del Congresso della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) di Verona, tenutosi qualche tempo prima, era giusto se inteso in un senso corretto: l’Europa necessaria doveva essere in primo luogo una moneta comune e una difesa comune su cui poggiare gli ulteriori necessari avanzamenti. 

  1. Il testo di Mounier del 1939

Credo che la crisi ucraina, dopo una nuova inutile conferenza di Monaco, rilanci seriamente, a quasi novant’anni dalla nascita di Esprit, l’attualità delle riflessioni di Emmanuel Mounier, con il rigetto sia del bellicismo sia di un astratto pacifismo, e, soprattutto, ci aiuti a leggere bene l’articolo 11 della Costituzione, risalendo alle culture fondanti che l’hanno generata e all’esperienza della Resistenza europea che ne sta alla base.  

Mi concentrerò qui sui profili strettamente giuridico-politici del testo di Emmanuel Mounier, dato che, sul quadro generale, l’introduzione di Giancarlo Galeazzi è del tutto esaustiva. 

L’interrogativo chiave di partenza, in termini etico-politici, ma che illumina anche le riflessioni giuridiche, è come reagire al Male, alla volontà di potenza che si è espressa a Monaco l’anno precedente e che ha trovato le democrazie europee, Regno Unito e Francia, del tutto impreparate. 

Ovviamente non si può che essere contro i bellicisti, ma questo significa che dobbiamo aderire a una forma di ideologia pacifista, che punta su un tipo di pace che assomiglia a una resa?

Per rispondere a questa domanda, Mounier inizia criticando la Conferenza di Monaco che non ha affatto garantito la pace, ma esclusivamente «l’assenza di guerra armata» (1). La cultura politica che vi si è espressa da parte delle democrazie occidentali è quella di un «pacifismo dei tranquilli», una «mediocrità» e un’«assicurazione contro ogni rischio», un’«utopia da sedentari» (2).  

Questo esito è inaccettabile perché la forza è «una componente costante dei rapporti umani. […] Non esiste diritto che non sia stato plasmato da una forza, che non si sostenga senza una forza»(3). Qui, contro ogni idealismo astratto, Mounier ricorda le tappe di crescita delle democrazie liberali: i diritti civili imposti dalla forza della borghesia, la legislazione lavoristica ottenuta con l’ascesa delle forze operaie. Nessuno può negare la capacità di mobilitazione delle idee, dello «zelo dei giuristi» e dei «buoni sentimenti degli interessati», ma senza l’organizzazione della forza questi elementi non sarebbero stati sufficienti: «il diritto con, la sua sola affermazione, provoca la forza e deve poi da questa proteggere la sua libertà di passaggio» (4)

Indubbiamente il cristianesimo punta ad allentare la «servitù della forza» per far prevalere altrimenti giustizia e carità, ma non è una pedagogia facile, immediata e neanche irreversibile: riemergono infatti costantemente «potenze oscure […] dalle caverne della vita e dagli abissi del peccato» (5).

Per questa ragione occorre lavorare simultaneamente sulla trasformazione delle istituzioni e su quella degli individui, ed è sulla base della consapevolezza di questa complementarietà che Mounier critica la  Chiesa cattolica per essersi sostanzialmente tenuta ai margini della Società delle Nazioni, in polemica intransigente contro i vari filoni della modernità avvertiti come avversari (giudeo-marxisti, massoneria, liberalismo protestante), privando quella prima preziosa istituzione internazionale del contributo del suo «realismo cristiano», che avrebbe potuto correggere l’ «idealismo cosmopolitista» (6). Anche perché la «creazione di una società naturale delle nazioni» è l’unico modo per mettere in discussione la «sovranità assoluta degli Stati» che genera le guerre» (7).

Oltre al bellicismo che sta dietro la sovranità statale occorre però per Mounier anche prendere atto  della distanza che separa «il realismo cattolico e una certa ideologia pacifista», giacché «al di fuori dei sentieri della santità integrale», dopo aver esperito seriamente tutte le alternative possibili,  «può arrivare il momento in cui tali mezzi si rivelano definitivamente inefficaci» ed allora, solo a quel punto, «il cattolicesimo ammette la legittimità della violenza al servizio della giustizia» (8)

Fermo restando che nel nostro lessico odierno avremmo usato non la parola “violenza” ma “forza” (perché la seconda comporta un nesso col Diritto, la prima no) Mounier vuole essere rigoroso e non generico e ricorda quindi le quattro condizioni poste dalla Chiesa cattolica (e che devono essere tutte compresenti) per ritenere giusta una guerra: autorità legittima, causa giusta intesa come riparazione di una grave ingiustizia e proporzionalità dei mezzi rispetto ai mali arrecati, retta intenzione ossia scopo di una pace giusta, necessità del mezzo bellico come unico per riparare l’ingiustizia.

Tutto questo complesso apparato di criteri è necessario perché, e qui sta la conclusione chiave, per evitare la guerra non si può escludere a priori il rischio di guerra: «il rischio è ovunque, salvo nell’avvilimento o nel suicidio deliberato. […] Deve essere corso, facendo al contempo uno sforzo tanto più eroico per scongiurarlo» (9).

  1. La complessità persistente del Magistero della Chiesa ricostruita da Mounier con qualche importante aggiornamento

Nonostante la diffusione di posizioni pacifiste radicali nel seno della Chiesa cattolica, eticamente apprezzabilissime sul piano individuale, e la necessità di un protagonismo diplomatico ed ecumenico della Santa Sede,  che la porta, con il Pontefice pro tempore in carica, chiunque egli sia, a non polemizzare con nettezza nei confronti di Paesi aggressori, come oggi nel caso della Russia putiniana, la complessità descritta nella sua epoca da Mounier, pur con alcuni importanti aggiornamenti, resta al centro del Magistero odierno della Chiesa.

Il Compendio della dottrina sociale della Chiesa cattolica del 2006, nel numero 500 ripropone le quattro condizioni enunciate da Mounier, con un’aggiunta di maggiore cautela sulla «potenza dei moderni mezzi di distruzione» (10). Sulla questione dell’autorità legittima, il n. 501 richiama la Carta dell’ONU e il ruolo del Consiglio di Sicurezza. Il paragrafo 506 apre con analoghe condizioni anche a forme di ingerenza umanitaria dentro il singolo Stato, mettendo quindi in discussione la sovranità statale ed elogia l’istituzione della Corte Penale Internazionale.

In altri termini, rispetto alla ricostruzione di Mounier, la Dottrina sembra mostrare un dubbio maggiore rispetto al canone della proporzionalità, essendo cresciuta la potenza distruttiva dei mezzi, ma sembra estendere la retta intenzione anche all’ingerenza umanitaria. I due aggiornamenti più rilevanti, in sintesi, confermano la complessità della Dottrina, perché l’uno invita ad una maggiore prudenza mentre l’altro estende le finalità che possono legittimare l’uso della forza. 

Il paragrafo 500 condiziona l’esercizio della legittima difesa anche alla sua ragionevole efficacia: essa va praticata quando «ci siano fondate condizioni di successo», cosa che ovviamente mira ad evitare forme di testimonianza estrema. Non si può tuttavia leggere questa osservazione in modo semplicistico, come se la valutazione fosse limitata al solo momento di un’aggressione e alle sue più immediate conseguenze: così sarebbe ammessa solo una resa senza condizioni. La Scrittura, del resto, ci presenta il caso di Golia, molto più alto e forte, ma con una capacità visiva inferiore a colui che lo sconfisse (Davide oppure Elcanan, a seconda delle diverse narrazioni). Chi vede più lontano sa che chi appare soccombente a breve non lo è necessariamente alla fine del percorso.

In ogni caso, obiettivamente, prima e dopo, resta una grande complessità dei criteri individuati e il rifiuto di posizioni semplificatorie, come aveva chiarito pochi anni prima la Nota dottrinale della Congregazione della Dottrina della Fede del 2002, che rigettava puntualmente sulla pace «una visione irenica e ideologica, […] dimenticando la complessità delle ragioni in questione», a cui opponeva «un impegno costante e vigile da parte di chi ha la responsabilità politica»(11).

  1. Il testo di Mounier illumina anche i lavori della nostra Assemblea Costituente e le interpretazioni dell’articolo 11

La prima grande democrazia europea ad affrontare un processo costituente fu, come noto, la Francia della Quarta Repubblica, perché il suo territorio metropolitano fu liberato prima del nostro, in seguito allo sbarco in Normandia. Il suo Preambolo, tuttora vigente perché richiamato da quello della successiva Costituzione del 1958, affronta quindi in modo pionieristico, anche se non del tutto originale, i nodi segnalati da Emmanuel Mounier, in due distinti periodi, modellati sugli articoli 6 e 7 della Costituzione spagnola del 1931 (12):

La Repubblica francese, fedele alle sue tradizioni, si conforma alle regole del diritto pubblico internazionale. Essa non intraprenderà nessuna guerra in vista di conquiste, e non impiegherà mai le sue forze contro la libertà di alcun popolo.

Con riserva di reciprocità, la Francia consente alle limitazioni di sovranità necessarie per l’organizzazione e la difesa della pace. (13).

In poche righe sono sintetizzate almeno due delle condizioni del Magistero cattolico e più in generale il corpo di riflessioni maturate dalle culture democratiche che si erano opposte al nazifascimo.

A causa di questa sua primazia cronologica, il testo francese influenza per molti aspetti, compresa questa vicinanza delle culture politiche, i lavori successivi di altri processi costituenti, compreso quello italiano, che affronta questi nodi soprattutto nelle discussioni sugli articoli 11 e 52.

Il dibattito sul futuro articolo 11 iniziò in prima Sottocommissione il 3 dicembre 1946, con un testo di Dossetti chiaramente ispirato dal precedente francese:

Lo Stato rinuncia alla guerra come strumento di conquista o di offesa alla libertà degli altri popoli.

Lo Stato consente, a condizioni di reciprocità, le limitazioni di sovranità necessarie all’organizzazione e alla difesa della pace. (14).

Togliatti fu però il primo a collegare logicamente e indissolubilmente i due aspetti: 

“Si tratta di un principio che deve essere affermato nella Costituzione, per chiarire la posizione della Repubblica italiana di fronte a quel grande movimento del mondo intiero, che, per cercare di mettere la guerra fuori legge, tende a creare una organizzazione internazionale nella quale si cominci a vedere affiorare forme di sovranità differenti da quelle vigenti. […] Il principio della rinuncia alla guerra come strumento di politica offensiva e di conquista, oltre il fatto che è compreso in tutte le Costituzioni, deve essere sancito nella Costituzione italiana per un motivo speciale interno, quale opposizione cioè alla guerra che ha rovinato la Nazione” (15). 

La rinuncia alla guerra prende il suo senso nella costruzione di una nuova autorità legittima chiamata a rompere il sistema delle sovranità nazionali assolute.

Il costituzionalista sturziano Carmelo Caristia lo tradusse immediatamente nella sua conseguenza normativa: propose ed ottenne di fondere i commi.

Non si trattava peraltro solo di dare un fondamento all’adesione italiana all’ONU, ma anche di predisporsi a forme di unità europea, come venne chiarito in particolare il 24 gennaio 1947 nello scambio di opinioni tra Lussu (che l’avrebbe voluto esplicito) e Moro (che riteneva preferibile che il termine “internazionale” coprisse tutto senza specificazioni, tesi che prevalse) (16). Alle forme di futura unità europea aveva peraltro già fatto riferimento Tupini il 3 dicembre 1946 e molti ne avrebbero poi parlato in Aula.

L’unico vero perfezionamento e arricchimento, rispetto al verbo ‘ripudia’, fu così introdotto da Ruini, il 24 marzo 1947:

“Si tratta anzitutto di scegliere fra alcuni verbi: rinunzia, ripudia, condanna, che si affacciano nei vari emendamenti. La Commissione, ha ritenuto che, mentre ‘condanna’ ha un valore etico più che politico-giuridico, e ‘rinunzia’ presuppone, in certo modo, la rinunzia ad un bene, ad un diritto, il diritto della guerra (che vogliamo appunto contestare), la parola ‘ripudia’, se può apparire per alcuni richiami non pienamente felice, ha un significato intermedio, ha un accento energico ed implica così la condanna come la rinuncia alla guerra.” (17).

Importante, però, per illuminare le culture politiche dei costituenti, è anche il dibattito sull’articolo 52 della Costituzione e più specificamente sulla bocciatura a larghissima maggioranza dell’emendamento pacifista radicale contro il servizio militare e per la neutralità perpetua presentato dal deputato socialista Arrigo Cairo. La proposta, che riecheggiava l’impostazione dell’articolo 9 del progetto di Costituzione giapponese, noto ai costituenti perché tradotto come molti altri dal Ministero per la Costituente (18), fu respinta in due votazioni diverse il 22 maggio 1947 (19).

Una breve conclusione

Lungi dal congelare la Storia, la fine della Guerra fredda, ha ripresentato costanti dilemmi sui nodi della pace e della guerra. Con la conclusione di un periodo in cui gli equilibri erano definiti da due superpotenze nell’ambito di sfere di influenza ben definite, anche se non comparabili tra loro (l’Occidente delle società aperte, pur con tutte le sue imperfezioni e contraddizioni, è stato ed è comunque un ‘mondo libero’), si sono moltiplicate le situazioni di crisi in cui le democrazie occidentali si sono trovate a dover scegliere tra mobilitazione bellica e neutralità: dalla prima Guerra del Golfo deliberata dall’ONU, alla seconda voluta da Bush contro il parere dell’ONU (e per questo ritenuta dal Presidente Ciampi in contraddizione frontale con l’articolo 11, tanto da precludere una partecipazione italiana), all’intervento umanitario in Kossovo contro la durissima repressione della minoranza albanese da parte di Milošević, a quelli in Afganistan e in Libano fino all’invio di armi all’Ucraina. Questi dilemmi si prestano male a sicurezze assolute e spesso i giudizi possono anche cambiare, perché una piena consapevolezza dell’impatto delle decisioni si può avere, tendenzialmente, solo dopo lo svolgimento degli eventi. Inoltre, non tutto ciò che è legittimo è di per sé opportuno e fecondo.

Tuttavia, senza cadere in facili manicheismi, giova sempre ricordare che un Diritto imperfetto è sempre meglio di alcun Diritto. L’approccio delle culture democratiche che hanno fatto nascere la Costituzione, a differenza della sostanziale rassegnazione del bellicismo alle pulsioni peggiori della volontà di potenza e alla ricerca di perfezione del pacifismo astratto, fa propria l’importanza della battaglia per le cause imperfette teorizzata da Emmanuel Mounier, che l’ha ripresa dal filosofo Paul-Ludwig Landsberg.

Come ha scritto Mounier, la «forza creatrice» dell’impegno nasce dalla

“tensione feconda che esso suscita fra l’imperfezione della causa e la sua fedeltà assoluta ai valori che sono in gioco. L’astensione è un’illusione. Lo scetticismo è ancora una filosofia: ma il non intervento fra il 1936 e il 1939 ha prodotto la guerra di Hitler. D’altra parte, la coscienza inquieta e talvolta lacerata che noi acquistiamo dalle impurità della nostra causa ci tiene lontani dal fanatismo, in uno stato di vigile attenzione critica; e, inoltre, col sacrificare alla sollecitazione del reale le vie e le armonie da noi fantasticate, conquistiamo una sorta di virilità, che risulta dall’esserci liberati da tante ingenuità e illusioni, e dallo sforzo continuo di fedeltà su vie irte d’imprevisti. Il rischio che noi accettiamo nell’oscurità parziale della nostra scelta ci pone in uno stato di privazione, d’insicurezza e di ardimento che è il clima delle grandi azioni.”  (20).

 

Note

  1. Ivi, p. 51
  2. Ivi, p. 60
  3. Ivi, p. 64
  4. Ivi, p. 65
  5. Ivi, p. 67
  6. Ivi, p. 72
  7. Ivi, p. 98
  8. Ivi, p. 115
  9. Ivi, p. 97
  10. Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, La legittima difesa, n. 500: https:// bit.ly/3KFh7lB
  11. Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica: https://bit.ly/3t95tJH. Il richiamo alla complessità del tema della pace è rilevante, perché invece, in altri ambiti, a partire dalla legislazione sull’aborto, quella Nota affermava l’esistenza di princìpi “non negoziabili”, con un’evidente asimmetria criticata sin dall’inizio da vari settori ecclesiali e che ha portato poi al suo pratico superamento con la lettera del cardinale Ladaria del 7 maggio 2021, come spiegato qui: http://www.libertaeguale.it/la-lettera-di-ladaria-fara-bene-alla-democrazia-americana-intervista-a-stefano-ceccanti/
  12. Reperibile qui: http://www.dircost.unito.it/cs/docs/spagna1931.htm; per un inquadramento sintetico si veda qui: https://www.ilriformista.it/storia-della-spagna-1931-quando-fu-proclamata-la-seconda-repubblica-210693/
  13. Reperibile qui: http://www.dircost.unito.it/cs/docs/francia194.htm
  14. La nascita della Costituzione, Articolo 11, 3 dicembre 1946, nascitacostituzione.it: https://bit.ly/3i1JIVU
  15. Ibidem.
  16. Ivi, 24 gennaio 1947.
  17. Ivi, 24 marzo 1947.
  18. Il sito della Camera consente di consultarli tutti nella versione di allora, disponibile per gli eletti alla Costituente. Qui quello giapponese: http://legislature.camera.it/_dati/costituente/documenti/ministerocostituente/p2_Vol1_12.pdfE.
  19. La nascita della costituzione, Articolo 52, nascitacostituzione.it: https://bit.ly/3JhxDrK
  20. Emmanuel Mounier, Il personalismo, Ave, 1978, pp. 132-134.
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