Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo manifesto nato dalla riflessione di un gruppo di docenti, dirigenti ed esperti di scuola che hanno scelto di richiamarsi alla figura del Marchese di Condorcet.
Se siete interessati, in fondo trovate i riferimenti per contattare il gruppo.
Una nazione che fosse governata sempre dalle stesse massime, e le cui istituzioni non sapessero adattarsi ai cambiamenti, effetto necessario delle rivoluzioni portate dal tempo, vedrebbe nascere la propria rovina dalle stesse opinioni, dagli stessi mezzi che avevano assicurato la sua prosperità. […] Come l’individuo costretto ad allontanarsi dal luogo che l’ha visto nascere ha bisogno di acquisire più idee di quello che vi resta legato, e deve, quanto più se ne allontana, procurarsi nuove risorse, così le nazioni che procedono attraverso i secoli hanno bisogno d’una istruzione che, rinnovandosi e correggendosi senza tregua, segua il corso del tempo, qualche volta lo anticipi, e non lo contrasti mai.
(Condorcet, Cinque memorie sull’istruzione pubblica, 1791)
La scuola è di nuovo ai margini
La scuola è di nuovo ai margini. Chi ha guardato ai partiti della nuova maggioranza con la speranza che ne potesse nascere qualcosa di buono è alle prese con la propria delusione. Non tanto per questa o quella iniziativa, ma perché è sempre più evidente che la scuola è tornata ad essere del tutto secondaria nell’agenda del governo e del paese.
Uno dei tanti paradossi della scuola è che il senso comune dei pochi che provano ad occuparsene con sguardo distaccato continua a fare il pendolo tra due “sensazioni”. La prima, che non servano grandi elaborazioni teoriche, in quanto tutte le soluzioni sarebbero già sul campo, ma non vengano praticate, se non nella solitudine di pochi “illuminati” o come mero adempimento burocratico: l’autonomia, le indicazioni nazionali, la riforma dei professionali, la valutazione di sistema, per fare alcuni esempi. La seconda, che i problemi restino sempre gli stessi: tassi di dispersione scolastica ancora elevati; livelli di competenze degli studenti insoddisfacenti; inclusione scolastica che rimane spesso solo sulla carta; gravi divari tra Nord e Sud, tra licei e istruzione tecnica e professionale, tra studenti italiani e stranieri; un tempo scuola inadeguato nella primaria e secondaria di primo grado; il disallineamento tra le esigenze del mondo del lavoro e quelle di istruzione e formazione; le insoddisfazioni (professionali e salariali) del corpo docente; il carico eccessivo di burocrazia che pesa sulle scuole e sui dirigenti scolastici.
A fronte di questa situazione bisogna uscire da logiche contingenti, legate alle proposte politiche o alle emergenze del momento e allungare lo sguardo, gettare il cuore oltre l’ostacolo dell’autocommiserazione, del conformismo e della difesa acritica di un fortino assediato. Anche perché il pericolo maggiore che corre la scuola (oggi più che mai) è che nessuno stia assediando niente: essa infatti – dopo essere stata usata da tutti (“destra” e “sinistra”, “rossi” e “azzurri”, “gialli” e “verdi”) per dare un colpo all’avversario politico di turno – è ricaduta nel disinteresse generalizzato della politica e di gran parte della società.
Realizzare una scuola veramente democratica
È necessario costruire una visione che parta dalle esigenze e dalle aspirazioni di chi a scuola ci va ogni giorno per apprendere e per lavorare, una visione nuova e ambiziosa che risponda alle esigenze di una trasformazione profonda in atto. La scuola italiana, infatti, vive una lunga e grave crisi di crescita. Dai primi anni Duemila il tasso di scolarizzazione nella secondaria superiore ha superato abbondantemente il 90% e oggi si avvicina al 100%, mentre ancora nei primi anni Novanta, quando andavano a scuola i più giovani tra i docenti italiani, era inferiore al 70%. La scuola ha reagito a questa rivoluzione segregando (nell’istruzione professionale o nelle periferie urbane) e bocciando. Le tensioni che la attraversano sono frutto di questa contraddizione: aver raggiunto la scolarizzazione di massa, ovvero la missione che le era stata assegnata dalla società (dalla Costituzione, come dal senso comune), ma senza essere preparata ad affrontarla. Realizzata la scuola di massa, adesso va fatto il passo successivo: realizzare la promessa di una scuola democratica e inclusiva, che fino a oggi non è stata mantenuta. Se i docenti hanno l’impressione di non riuscire a “tenere” i loro studenti, se si trovano spesso a gestire conflitti difficili con loro e con le famiglie, se gli studenti stessi vivono con disagio l’ambiente scolastico, è perché una scuola che deve davvero accogliere tutti è ancora dominata da strutture rigide, selettive. Ed è così che l’oggettiva inadeguatezza dell’istituzione viene trasformata spesso in accuse di inadeguatezza dei singoli, che invece sono anch’essi vittime di questa distanza tra teoria e prassi.
La sfida che abbiamo di fronte è quella della democrazia: ecco perché abbiamo scelto di richiamarci alla figura di Condorcet e al suo sforzo di definire le caratteristiche della scuola repubblicana nella Francia rivoluzionaria nel solco dell’innovazione. Ovviamente quasi nulla di quelle proposte è oggi applicabile, e anche il metodo va preso con la dovuta distanza, perché l’eccesso di illuminismo è tra le cause del fallimento delle più recenti esperienze riformatrici di ogni colore politico. Ma lo spirito e lo sforzo intellettuale del rivoluzionario francese devono essere gli stessi: l’ambizione di RI-pensare il rapporto necessario tra scuola e democrazia liberale, RI-pensare le ragioni più profonde del fare scuola oggi, RI-pensare il modo in cui i docenti percepiscono se stessi e il proprio ruolo, RI-pensare il rapporto tra la scuola e la società, RI-pensare un sempre più necessario protagonismo studentesco. Non servono quindi riforme calate dall’alto, ma un processo di costruzione dal basso di un’idea condivisa di scuola da parte di tutti i protagonisti: gli studenti e le loro famiglie, il personale scolastico, la società.
Quattro proposte per (Ri)Pensare la scuola
Abbiamo individuato quattro interventi strutturali di cui la scuola italiana ha bisogno: 1) riformare i cicli scolastici e abolire le bocciature; 2) una maggiore connessione tra scuola e società (con particolare attenzione al lavoro); 3) archiviare la logica contingente del cosiddetto “bonus merito” e adottare quella strutturale di introdurre le carriere per i docenti; 4) liberare le istituzioni scolastiche e i loro dirigenti da una burocrazia soffocante, che impedisce alle scuole di essere realmente autonome. Ciascuno di essi rappresenta un’occasione mancata nei tentativi passati di riforma. Le abbiamo chiamate le “grandi incompiute”. Occasioni che si sono perse, almeno secondo noi, innanzi tutto per l’incapacità di costruire dal basso un consenso duraturo alla visione riformatrice, di far sentire tutti gli attori interessati protagonisti di un disegno di cambiamento. Esattamente quanto ci proponiamo di fare con il network di gruppi locali che costruiremo insieme nei prossimi mesi.
Non pretendiamo che questi punti siano esaustivi, ma sono quelli che più degli altri consentono di aggredire i nodi che hanno marginalizzato la scuola. Su ciascuno di essi auspichiamo che si possa mobilitare una parte importante della società; non solo di quella che opera a scuola e attorno a essa. Non ci rivolgiamo solo al personale scolastico, dunque, anche perché ciascuno di questi interventi è declinato pensando innanzi tutto agli interessi degli studenti: la scuola è per loro.
Cosa ti proponiamo di fare?
LE GRANDI INCOMPIUTE: quattro proposte per una scuola veramente democratica
Aggiungerei un punto sulla formazione e il reclutamento degli insegnanti. Nutro qualche dubbio sull’ autonomia delle singole scuole perché non esiste, dal mio punto di vista, una capacità dirigenziale illuminata, indipendente dalle dinamiche territoriali di potere (soprattutto legate ai sindacati).