di Alfonso Pascale
Il progetto di integrazione europea è stato concepito fin dall’inizio come un patto per la pace tra stati che si erano fatti la guerra in continuazione, sia con le armi che con il cibo. Tant’è che quel progetto affidava la garanzia della pace a istituzioni sovranazionali che dovevano essere pronte a difendere gli stati firmatari da aggressioni militari e commerciali interne ed esterne.
Contemporaneamente all’ideazione e approvazione della Comunità europea di difesa (CED), progetto sospeso (“non-votato”) dall’Assemblea nazionale francese, si propose dapprima l’istituzione di una “Alta autorità agricola sovranazionale europea” e poi una “Comunità europea dell’agricoltura” (CEA) con organi simili alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Progetti che non videro la luce per contrasti tra i sei paesi che daranno vita nel 1957 alla Comunità economica europea (CEE).
Ma mentre la rinuncia alla difesa europea fu possibile perché gli europei occidentali si rifugiarono sotto l’ombrello protettivo della NATO, il Trattato di Roma istituì la Politica agricola comune (PAC), inserendola al centro dell’attività della CEE.
È solo per questo motivo che la sicurezza militare e quella degli approvvigionamenti alimentari sono state separate. Ma ora che le decisioni di Trump, nella loro brutalità, fanno emergere una Unione europea del tutto indifesa da eventuali aggressioni belliche esterne, è possibile tornare a ragionare in modo sinergico sulla sicurezza.
La proposta di ReArm Europe va sostenuta perché molti stati membri dell’UE sono in ritardo sul piano degli investimenti per la difesa. Ma essa va riformata per fare in modo che una parte degli 800 miliardi di euro previsti dal piano debba essere utilizzata per costruire le infrastrutture e gli apparati di una difesa sovranazionale. Occorre formare un gruppo di stati membri che dia vita volontariamente ad un Political Compact, fuori dai Trattati, che stabilisca i termini per usare e controllare la forza.
Una tale iniziativa va collocata in quella più ampia assunta dal premier britannico Keir Starmer che ha promosso la “coalizione dei volenterosi”, impegnata a garantire la sicurezza di Kiev e a rilanciare la difesa europea dopo un’eventuale tregua concordata con la Russia. È interessante che tra i 25 paesi che hanno aderito vi siano anche il Giappone, il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda. Inoltre, cresce l’interesse del Canada ad entrare nell’UE. Un recente sondaggio di Abacus Data ha rilevato che il 68 per cento dei canadesi considera positiva tale prospettiva.
È un bene che l’Unione europea si apra a rapporti di collaborazione con questi paesi per garantire la propria sicurezza, costruendo istituzioni sovranazionali che disincentivino comportamenti gerarchici dei più forti e opportunistici dei più deboli. Anche la sicurezza alimentare ne uscirà rafforzata perché si potrà estendere ai prodotti agricoli di questi paesi la normativa europea, notoriamente più restrittiva dal punto di vista della sostenibilità.
Presidente del CeSLAM (Centro Sviluppo Locale in Ambiti Metropolitani). Dopo una lunga esperienza di direzione nelle organizzazioni di rappresentanza dell’agricoltura, nel 2005 ha promosso l’associazione “Rete Fattorie Sociali” di cui è stato presidente fino al 2011. Docente del Master in Agricoltura Sociale presso l’Università di Roma Tor Vergata, si occupa di sviluppo locale e innovazione sociale. Collabora con istituzioni di ricerca socioeconomica e di formazione e con riviste specializzate. Ultima pubblicazione: CYBER PROPAGANDA. Ovvero la promozione nell’era dei social (Edizioni Olio Officina, 2019).