di Pietro Ichino
Un modo diverso dall’”alleanza strategica” con il M5S teorizzata da Dario Franceschini, e migliore, per ancorare davvero l’Italia alla UE e all’Occidente
Cerco di rispondere alla domanda che Alessandro Maran ci ha posto sul Foglio di martedì 7 luglio (ripubblicato da Libertà Eguale il 9 luglio scorso): “c’è un modo diverso dall’alleanza del Pd con il M5S per ancorare l’Italia all’Europa e tenere la barra dritta sulla rotta atlantica?”.
Domanda che fa seguito a un’altra implicita: “Come si fa a mantenere credibilmente l’Italia nella UE alleandosi a un partito come il M5S, nel quale l’euroscetticismo costituisce ancora un tratto dominante?”.
La risposta a entrambe le domande potrebbe essere:
“Sì, un modo diverso ci sarebbe: occorrerebbe che il Pd avesse la lucidità e la coerenza necessarie per denunciare al Paese i costi immediati e i rischi gravi della linea attuale del Governo nei confronti dell’UE, euroscettica nei toni e nella sostanza, nonostante l’abbandono degli slogan salviniani; e per affermare con forza la necessità di fare, al contrario, dell’Italia una protagonista del rilancio e dell’accelerazione del processo di integrazione europea. Che quindi il Pd avesse il coraggio di presentarsi subito al Paese, e domani alle elezioni politiche, come il punto di riferimento principale di uno schieramento incisivamente europeista”.
Il primo corollario di una scelta come questa sarebbe che il M5S ne verrebbe sfidato a sciogliere le proprie gravissime ambiguità sulla questione fondamentale.
Secondo corollario non meno importante: il porre esplicitamente e con forza al centro della politica nazionale la partecipazione del Paese al processo di integrazione europea costringerebbe Forza Italia a prendere nettamente le distanze dai suoi attuali ingombranti e imbarazzanti alleati, i quali del sovranismo fanno invece la loro bandiera.
Terzo corollario: diventerebbe possibile una sorta di federazione tra il Pd e i tre partiti minori liberal-democratici – Italia Viva, +Europa e Azione –, che diventerebbe il primo polo della politica nazionale, quanto meno sul piano qualitativo.
Ma si può chiedere questo a un Pd che oggi non sembra in grado di esprimere una linea propria neppure in tema di scuola, di politica industriale, di politica del lavoro e di efficientamento delle amministrazioni pubbliche?
Già senatore del Partito democratico e membro della Commissione Lavoro, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Ordinario di Diritto del lavoro all’Università statale di Milano, già dirigente sindacale della Cgil, ha diretto la Rivista italiana di diritto del lavoro e collabora con il Corriere della Sera. Twitter: @PietroIchino