di Dario Parrini
Personalmente sostengo il Sì al referendum del 20 e 21 settembre ma più ancora l’esigenza di un dibattito razionale.
Perciò da riformista convinto e da Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato rivolgo un appello a commentatori, analisti e editorialisti: liberiamo la discussione sulla diminuzione da 945 a 600 parlamentari da tre pericoli letali: la banalizzazione rozza, il tribalismo, i processi alle intenzioni.
Per riuscirci occorre rispondere correttamente a questa domanda: cosa può essere oggi il riformismo costituzionale?
Per qualcuno non si è riformisti se non si dimostra un’ostilità ossessiva nei confronti del Movimento Cinque Stelle, e merita la patente di riformista solo chi dà una martellata al giorno ai pentastellati, magari anche a casaccio, non smettendo però, e qui sta il bello, di governare con loro.
Teoria bizzarra, sebbene sia comprensibile che la ricerca di uno spazio narrativo e di visibilità rappresenti un bisogno vitale per alcuni piccoli gruppi o partiti.
Questo è tribalismo politico, ed è deleterio, perché avvicina la discussione a un clima da curva calcistica allontanandola dalla sostanza dei problemi e iniettandovi esagerazioni e catastrofismi poco comprensibili.
Non meno rischiosa è l’opera dei banalizzatori rozzi, secondo i quali un parlamentare elettivo ogni 100 mila abitanti (oggi in Italia ne abbiamo uno ogni 65 mila abitanti circa) costituisce un attentato alla democrazia parlamentare, anche se da decenni è la norma in Paesi della nostra stessa stazza demografica: in Germania, Francia e Regno Unito per ogni parlamentare eletto a suffragio universale ci sono tra 100 e 115 mila abitanti.
Il processo alle intenzioni è, dei tre pericoli, il più insidioso: porta i suoi alfieri a sostenere che chi sta per il Sì è un opportunista arresosi alla retorica anticasta, e che solo battendosi per il No si può salvare l’anima e accreditarsi come genuini difensori della dignità delle istituzioni rappresentative.
Sono sciocchezze: come c’è, e non lo nego, un Sì populista al referendum, così c’è un Sì ragionato e riformista: più terreno guadagna questa posizione, meglio è per tutti.
Chi propende per un Sì ragionato e riformista ad esempio ricorda che la sinistra italiana ha costantemente proposto la riduzione del numero dei parlamentari dal 1979, anno in cui giunse l’elezione diretta di un’ottantina di europarlamentari a distanza di nove anni da quella di quasi 900 consiglieri regionali.
E chi ricorda questa cosa lo fa senza arroganza, perché al contempo è perfettamente disposto a riconoscere che la riduzione del numero dei parlamentari è un primo passo, da solo non sufficiente, e che servono in tempi rapidi misure ulteriori per una sua equilibrata attuazione, in primo luogo una buona legge elettorale, nuovi regolamenti parlamentari e la parificazione dell’età di elettorato attivo e passivo nelle due camere.
Per il fronte del Sì ragionato e riformista il provvedimento oggetto del referendum può costituire una spinta ad aprire una stagione di correttivi diretti a dare più snellezza, efficienza, efficacia e profondità al lavoro parlamentare.
Mentre una vittoria del No non produrrebbe altro risultato che la pietrificazione dell’esistente e l’affossamento, per un lungo periodo, di ogni proposito di intervento costituzionale innovativo, sia esso puntuale o globale (quantunque l’era delle riforme globali abbia subito una drammatica battuta d’arresto nel 2016).
La morale del riformista costituzionale è semplice: una cosa in sé giusta, ma incompleta e imperfetta, si perfeziona e si completa, non si abbatte.
Sindaco di Vinci dal 2004 al 2013. Parlamentare Pd dal 2013, è stato Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato dal 2020 al 2022. Attualmente ne è Vicepresidente.