di Salvatore Bonfiglio
Nelle prossime settimane l’ampia maggioranza parlamentare, che sostiene il governo guidato da Mario Draghi, e l’opposizione parlamentare, rappresentata soprattutto da Fratelli d’Italia, dovranno affrontare la questione della legge elettorale per la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, per due principali motivi. Il primo riguarda la legge n. 165 del 2017 (c.d. Rosatellum-bis, ora Rosatellum-ter, dopo la legge 27 maggio 2019 n. 51), che andrebbe comunque cambiata, in quanto presenta profili di dubbia costituzionalità – basti pensare al fenomeno delle pluricandidature. Inoltre, ed è questo il secondo motivo, perché il Rosatellum non è in grado di favorire la formazione di maggioranze omogenee e stabili.
Al di là di alcuni rilevanti aspetti tecnici, che ho avuto modo di illustrare in un recente contributo apparso sul sito lacostituzione.info, è utile che nel discutere la riforma della legge elettorale si possa, innanzitutto, concretizzare un ampio consenso parlamentare su un aspetto essenziale: «ciò che conta per i diritti politici del cittadino è il peso effettivo che egli riesce ad esercitare non soltanto sulla titolarità, ma sull’indirizzo politico del potere di Governo» (Elia). Come Mortati, infatti, anche Elia pensava che per inverare il principio democratico – da temperare sempre con il principio della tutela dei diritti fondamentali – il corpo elettorale non potesse essere escluso dalla fase di pre-determinazione delle linee di base dell’indirizzo politico, nel rispetto dell’ordinamento costituzionale vigente, in cui il programma di governo viene giuridicamente in essere soltanto dopo la formazione del governo e si ricollega all’instaurazione del rapporto di fiducia, elemento caratterizzante la forma di governo parlamentare (Galizia).
L’esercizio della sovranità popolare, nelle forme e nei limiti della Costituzione, deve dunque favorire la partecipazione dei cittadini – in primo luogo, ma non solo, attraverso i partiti politici (tema su cui sono intervenuto spesso, da ultimo aggiornando con Gabriele Maestri il mio libro I partiti e la democrazia) – alla politica nazionale, sottraendo «l’elettore alla condizione di inferiorità in cui viene mantenuto, per dare, non ultimo vantaggio, un coefficiente di stabilità ai governi della Repubblica» (Elia).
Grazie alla formazione di coalizioni pre-elettorali e, sulla base della scelta operata dal corpo elettorale, si può favorire la formazione di compagini e maggioranze parlamentari capaci di dar vita a governi più stabili, mettendo l’elettore nella condizione di fare una scelta sia a favore del singolo partito, sia per la coalizione di partiti in grado di costituire una maggioranza. Soltanto così si evita di dare una “delega in bianco” ai partiti politici, favorendo una più stretta correlazione fra uomini e programmi e riducendo le potenzialità trasformistiche degli accordi partitici post-elettorali. Durante e dopo il governo Draghi, tanto autorevole quanto necessario per far fronte alla crisi sanitaria, economica e sociale, i partiti dovranno dare una risposta al bisogno di legittimazione democratica, diventando più responsabili di fronte agli elettori per le scelte di politica nazionale ed europea.
Professore di Diritto pubblico comparato e diritti fondamentali all’Università di Roma Tre, Facoltà di Scienze Politiche. Direttore del Laboratorio Multimedia di Diritto comparato, Dipartimento di Studi Internazionali (Università Roma Tre). Direttore della rivista “Democrazia e sicurezza”. Componente del Comitato scientifico di Libertà Eguale.