di Pasquale Pasquino
Enrico Morando e Giorgio Tonini hanno scritto un articolo che fa riflettere sulla questione della probabile modifica della legge elettorale, di cui si è cominciato a parlare in relazione alla riforma costituzionale che dovrebbe ridurre di un terzo circa il numero dei parlamentari. Vorrei presentare delle osservazioni che, senza discutere della possibile scissione del PD che è il tema essenziale dell’articolo citato, vogliono essere un contributo al dibattito sul sistema elettorale.
La migliore legge elettorale è quella a doppio turno
1. Chi scrive pensa ed ha scritto negli scorsi anni che la legge elettorale migliore in una democrazia liberale sia quella a doppio turno (l’Italicum, in un sistema parlamentare come il nostro, rappresentava una buona variante di questo meccanismo). Non è detto peraltro che sia sempre possibile introdurla dove non c’è, e nemmeno che sia quella più utile a sorreggere stabilizzare un sistema democratico liberale in difficoltà o uno fragile. Si pensi al caso della Ungheria postcomunista dove, grazie ad una legge elettorale in parte maggioritaria, il leader di Fidesz ha potuto ottenere per il suo partito una maggioranza qualificata dei seggi in Parlamento e modificare la costituzione del paese in senso autoritario. Ma su questo ultimo punto tornerò più avanti.
Il sistema politico italiano è tripolare
2. La situazione politica italiana vede oggi la presenza di tre forze maggiori:
a. Una destra dominata da una componente radicale ed antieuropea, e in cui il segmento pro-europeo è debole e forse in via di sparizione
b. Una sinistra socialdemocratica, decisamente europeista, e
c. Un partito di difficile definizione dal punto di vista dello spettro tradizionale destra/sinistra. In genere definito come populista, ma che, indipendentemente dalla retorica largamente assimilabile a queltipo (secondo la definizione di Cas Mudde), potrebbe meglio essere definito qualunquista, assistenzialista ed ecologista radicale, almeno nelle dichiarazioni di intenti. Insomma, un soggetto politico inedito e senza reali precedenti o equivalenti, almeno nel panorama politico europeo. In realtà si potrebbe avanzare l’idea che si tratta di un partito nato come estremista che cerca che sopravvivere occupando il centro coalizionale del sistema politico, un centro di opportunità, piuttosto che di valori.
La riduzione del numero dei parlamentari trasforma la rappresentanza
3. Nella situazione presente la forte riduzione del numero dei parlamentari sembra una trasformazione costituzionale inevitabile (si tratta a mio parere di una cattiva idea alla moda, perché asseconda l’antipolitica più becera di molti, ma non ha alcun impatto positivo, al contrario squalificando il mestiere politico – si farebbe il parlamentare per occupare una “poltrona” –, ha quello di scoraggiare persone con buone capacità intellettuali di impegnarsi nella vita del Parlamento). In presenza di una tale mutazione, lo statu quo politico-costituzionale verrà modificato. E in quanto tale non sarà più difendibile, perché estinto. Trasformazione della rappresentanza, quella in via di approvazione, a favore dei partiti più grandi e a svantaggio dei più piccoli e delle regioni meno popolate. Ma mutano, ciò che più rilevante, equilibri costituzionali: il concreto meccanismo per la nomina del Presidente della Repubblica (che può scegliere un terzo dei componenti della Corte Costituzionale), oltre all’impatto sui regolamenti e sulla composizione delle commissioni parlamentari, ecc.
4. Nella situazione presente, a riforma approvata del numero dei parlamentari, con la legge elettorale esistente e i sondaggi che abbiamo, le elezioni darebbero molto probabilmente una maggioranza assoluta di seggi alla destra a trazione leghista. Cosa potrà accadere in futuro non lo sappiamo e non è il caso di speculare.
5. Il governo giallo-rosso, ormai insediatosi è nato, con diversi mal di pancia, per evitare appunto elezioni che comportavano il rischio inaccettabile di uno scontro drammatico con l’Unione Europea. Elezioni che anche senza la riforma relativa al numero dei parlamentari, avrebbero avuto il risultato di cui sopra e che si è voluto evitare.
6. Mantenere, d’altro canto, la legge elettorale esistente dopo aver ridotto il numero dei parlamentari (se non cambiano in modo significativo i sondaggi) significa chiedere al M5S un harakiri. Se, per evitarlo, il M5S ha deciso di allearsi con il suo nemico di sempre ed è difficile pensare che si suiciderebbe adesso. Senza tener conto che il PD all’opposizione nella situazione presente non potrebbe far nulla per ostacolare la deriva antieuropea della Lega al governo.
Il ruolo del M5s e la legge elettorale proporzionale
7. Questa appena detta è la ragione per la quale oggi il M5S sembra insistere per una legge elettorale proporzionale (con sbarramento) E su questo tema, peraltro, o LEU entra nel PD oppure con uno sbarramento al 4/5% fa cadere il governo.
8. Si osserverà che una legge elettorale proporzionale ha la conseguenza di mantenere in vita la partitocrazia. Intendo il fatto che le decisioni circa la formazione del governo vengono decise dopo le elezioni, come è avvenuto già nel marzo 2018. Sicché con un sistema proporzionale parlare di volontà popolare, come fanno molti a sproposito, non ha praticamente alcun senso. Il governo è il risultato di accordi fra partiti senza che gli elettori ne sappiano nulla. Il M5S pretende che il “popolo” siano gli 80.000 iscritti che votano su una piattaforma elettronica privata e che i milioni che li hanno votati non contino nulla. Non c’è mica da stupirsi che in un anno abbiano perso più di sei milioni di voti. Continuando così rischiano di restare con le poche migliaia di militanti che sono connessi a “Rousseau”: democrazia diretta dello 0,x % del corpo elettorale.
9. Si osserverà anche che nella concreta situazione italiana, il sistema proporzionale garantisce al M5S una posizione praticamente sicura di governo, se non dovesse vincere la destra unita. Cosa oggi, peraltro, ben possibile. Resta che un partito partitocratico come il M5S non ha, da quello che dicono, alcuna intenzione di dichiarare alleanze prima delle elezioni, come è necessario nei sistemi maggioritari, poiché non vuole affatto far decidere ai cittadini, ma vuol mantenere un potere negoziale indipendente dai risultati elettorali, dopo le elezioni.
10. Sembra anche che non sarà possibile per il futuro prevedibile pensare di scalzare il M5S da questa posizione decisiva che in scienza politica si chiama coalitional power e nel linguaggio giornalistico italiano “posizione da Ghino di Tacco”. Almeno la sinistra non può pensare per il futuro prevedibile di liberarsi di una alleanza con i 5S, se vuole restare al governo.
11. Questo potere coalizionale resta praticamente intatto per i 5S con la legge elettorale in vigore. Essa non elimina i 5S, ma favorisce la destra che potrebbe ottenere grazie ad essa la maggioranza dei seggi. E infatti Salvini ne chiede il mantenimento. E si opporrà al proporzionale, come, per convenienze di altri tempi, si era opposto all’Italicum!
12. Che fare? Ovvero: è possibile per le forze politiche della maggioranza del governo Conte 2 fare altro che una legge elettorale proporzionale?
Bisogna isolare le ali estreme
13. Aggiungo una postilla che ha peraltro un carattere generale.
La ragione del mio essere a favore dei sistemi a doppio turno non è fondata sull’idea, un po’ ingenua, a mio avviso, e rousseauista, che il popolo (i cittadini elettori, come è meglio dire e più specificamente la loro maggioranza, o la più grande minoranza nei sistemi maggioritari) abbia sempre ragione – vedi il voto sul Brexit, l’elezione di Trump, di Bolsonaro e di Orban, ecc. Piuttosto ha a che fare con la circostanza che tale sistema, vedi il caso francese, permette di isolare le ali estreme dello schieramento politico ed aiuta la vittoria delle forze anti-estremiste, di centro, se si vuol usare il linguaggio delle metafore spaziali.
Oggi il sistema politico italiano è fortemente polarizzato, fra una destra illiberale e un movimento politico, certo in declino ma necessario per la formazione di un governo alternativo alla destra radicale, che ha caratteristiche di confusionismo, e tratti a sua volta radicali. Un maggioritario a doppio turno non lascia nessuna garanzia e nemmeno una qualche speranza ragionevole, nelle circostanze attuali, di una vittoria delle forze moderate e dichiaratamente europeiste. Una scelta di tal genere si trasforma in un gioco d’azzardo e in un sacrificio senza senso sull’altare della cosiddetta volontà popolare, che è semplicemente il risultato dell’algoritmo elettorale. Insomma, in una scelta a favore della reductio della democrazia all’ elettoralismo. Nel mondo di oggi, possiamo dire a favore di una concezione “orbanista” della democrazia.
Mi sembra che i nostalgici del maggioritario siano quelli che non hanno ancora fatto il difficile lutto della sconfitta del 2016: Veltroni, Prodi, Parisi e altri. Quello che dicono lo sappiamo benissimo, il proporzionale non è un buon sistema. Ma non capisco perché non abbiano sostenuto che si doveva andare alle elezioni subito e invece che la sinistra doveva sposarsi (Prodi dixit) governativamente coi 5S! Insomma, il sistema elettorale è più importante del restare nell’Unione Europea e di ritrovarsi con un governo di estrema destra? Ce lo devono spiegare gli avversari, oggi, della poco attraente legge elettorale proporzionale.
Pasquale Pasquino, nato a Napoli nel 1948, è Director of Research al French National Center for Scientific Research (CNRS) nonché docente di Politics and Law alla New York University. Dopo gli studi di filologia classica, filosofia e scienze politiche ha pubblicato ricerche sulla storia delle idee relative allo Stato e alle costituzioni. In anni recenti la sua ricerca si è concentrata sulla giustizia costituzionale in una prospettiva costituzionale. In passato ha lavorato presso il Max Planck Institute di Göttingen, il Collège de France e il King’s College di Cambridge.