di Michele Salvati e Norberto Dilmore
Il testo che segue è una rielaborazione di quello presentato al Convegno di LibertàEguale di Orvieto il 12 settembre 2021, al quale aggiungiamo le cinque recensioni più impegnative sinora pubblicate (Belardinelli, Bosetti, Felice, Ferrera, Ricciardi: Cartella recensioni) del volume di Norberto Dilmore e Michele Salvati, Liberalismo inclusivo. Un futuro possibile per il nostro angolo di mondo, Feltrinelli 2021
La globalizzazione, il progresso scientifico, le crescenti diseguaglianze e l’emergenza ambientale richiedono una urgente risposta teorica e politica della sinistra: gli autori ritengono che essa vada cercata nell’ambito di una nuova forma di liberalismo inclusivo. La ragione per cui essi usano questa espressione inconsueta si basa su tre principali motivazioni.
1- Il liberalismo inclusivo è un esito del capitalismo auspicabile e possibile
La prima è che “liberalismo inclusivo”, in opposizione a “fondamentalismo di mercato”, non è una categoria che si riferisce al conflitto ideologico tra destra e sinistra, ma un esito del capitalismo che gli autori ritengono auspicabile e possibile.
Il liberalismo inclusivo è caratterizzato da istituzioni che non promuovono solo mercati liberi ed economie aperte, ma anche politiche per il raggiungimento della piena occupazione, la stabilizzazione del ciclo economico, una distribuzione equa dei redditi e delle ricchezze, un’adeguata protezione sociale per tutti i cittadini e, più di recente, azioni volte ad affrontare sfide globali come il cambiamento climatico e le pandemie. Il fondamentalismo di mercato invece, pur consentendo alle istituzioni di un paese di perseguire su scala ridotta alcuni di questi obiettivi (per esempio una protezione sociale limitata per i gruppi sociali più deboli), ritiene che spetti essenzialmente al mercato fornire una risposta , con il minimo possibile di interferenza da parte dello stato e dei corpi intermedi.
Le economie avanzate hanno già conosciuto una forma di liberalismo inclusivo nel corso delle Trente Glorieuses (1945-1975), in quello che diversi autori hanno definito il periodo del “compromesso socialdemocratico”. Periodi di fondamentalismo di mercato sono stati invece la Belle Epoque (1870-1914) e l’era neoliberista (1980-2008). La possibilità di una nuova forma di liberalismo inclusivo –inevitabilmente diversa da quella del compromesso socialdemocratico- discende dall’insostenibilità di quell’esperienza –il neoliberismo– che le democrazie liberali hanno vissuto tra l’inizio degli anni ’80 del secolo scorso e la crisi finanziaria del 2007-2008.
La convivenza con il capitalismo costringe però la sinistra a fare i conti con un sistema economico compatibile con un regime politico liberaldemocratico e conduce subito alla principale difficoltà che essa incontra nel sostenere i suoi obiettivi di maggiore eguaglianza e di sostenibilità sistemica, se il sistema economico è, e deve restare, fondato sulla libertà di mercato e di impresa. Questa difficoltà è affrontata in via teorica nel secondo capitolo del libro e con la formulazione di proposte concrete volte al suo superamento in quelli successivi.
2- Il liberalismo inclusivo è compatibile con varie tradizioni ideologiche e nazionali
La seconda motivazione è in parte conseguenza della prima: riferirsi ad un esito possibile del capitalismo contemporaneo fa sì che una nuova fase di liberalismo inclusivo possa rivelarsi compatibile con varie tradizioni ideologiche e nazionali: socialisti, cristiani, liberali, ambientalisti, conservatori…e altri possono in essa riconoscersi o ad essa adattarsi.
Naturalmente tradizioni diverse la declineranno in modi differenti: così avvenne nel periodo del compromesso socialdemocratico (dove per esempio i partiti democristiani o conservatori difesero gli interessi di gruppi sociali che non facevano parte del compromesso distributivo tra capitale e lavoro) o del periodo neoliberista (dove i partiti socialdemocratici cercarono di trovare soluzioni innovative alla flessibilizzazione del mercato del lavoro: si pensi per esempio alla flexicurity danese).
3- Il liberalismo inclusivo consente di identificare meglio nemici e avversari
La terza è che essa consente di identificare meglio nemici e avversari. I nemici sono coloro che negano la democrazia rappresentativa, la rule of law e diritti fondamentali delle persone. Gli avversari sono coloro che, o per ragioni che si vorrebbero scientifiche, o per interessi personali e di ceto, o per puro conservatorismo credono che, con pochi aggiustamenti, si possa continuare sulla base delle politiche e del modo regolazione dell’economia affermatisi durante il periodo del neoliberismo. Insomma, oggi l’avversario è il neoliberismo. Il nemico è l’etno-nazionalismo. Ma la sinistra deve stare anche attenta alle frange non liberali che sono presenti al suo interno: il suo passato, o l’opportunismo elettorale, non la rendono immune da deviazioni illiberali.
Serve una nuova narrativa egemonica
Da queste motivazioni segue la tesi fondamentale del libro, che è politica e teorica insieme. Le due grandi fasi che hanno caratterizzato l’evoluzione del capitalismo dopo la seconda guerra mondiale nei paesi retti da sistemi politici liberaldemocratici (il “compromesso socialdemocratico” e il “neoliberismo”) sono state caratterizzate dall’egemonia di una visione politico-economica –di una “narrativa dominante”– promossa da una parte dello spettro politico liberale e accettata obtorto collo dall’altra. Solo una nuova narrativa egemonica a livello internazionale può farci uscire dal periodo di transizione e incertezza in cui oggi ci troviamo e nel quale il pericolo di “fenomeni morbosi” è grande. Si tratta di una tesi che deve molto alla teoria dell’egemonia culturale di Gramsci, rivista alla luce di ciò che è “auspicabile e possibile” oggi, dopo il fallimento del sogno/incubo comunista.
Questa tesi è enunciata nell’Introduzione e nei primi due capitoli del libro e poi illustrata attraverso analisi approfondite delle due grandi fasi economico-politiche che hanno attraversato nel dopoguerra tutti i paesi che sono attualmente economie capitalistiche moderne rette da regimi liberaldemocratici. Nel capitolo 6 vengono poi presentati alcuni lineamenti fondamentali che potrebbero caratterizzare una fase di liberalismo inclusivo sulla base dell’analisi delle trasformazioni politiche, economiche e sociali delineate nei capitoli precedenti, mentre nel capitolo 7 gli autori elaborano una serie di proposte per i partiti socialisti e socialdemocratici, e più in generale per le forze di centro-sinistra, affinché possano contribuire all’emersione e al successo della nuova narrativa.
Il breve capitoletto finale, dedicato all’Italia, pone soltanto l’interrogativo se, a seguito della grande svolta europea della Next Generation EU, l’Italia riuscirà ad essere parte trainante in un processo politico che dovrà comprendere l’intero angolo di mondo cui apparteniamo. Dato il degrado economico e politico del nostro paese si tratta di un esito molto difficile, ma, dopo la decisione cruciale di Mattarella e la nomina di Draghi a Presidente del Consiglio, forse non è impossibile. Il libro però non entra nei dibattiti che alimentano i giornali e appassionano politici e commentatori, giustamente interessati all’esito delle recenti elezioni amministrative o a quella del presidente della Repubblica o alle future elezioni politiche, se anticipate o a scadenza naturale.
Che interesse può suscitare questo libro?
In questo contesto nazionale che interesse può suscitare, quale utilità può avere oggi un libro come Liberalismo Inclusivo? Forse, solo una utilità differita, a lunga scadenza. Per una sinistra nazionale travagliata da problemi identitari non risolti, che creano al suo interno conflitti dannosi e all’esterno una difficile decifrabilità dei suoi obiettivi e delle sue proposte,… per questa sinistra, ma anche per la destra liberale del nostro paese, una discussione radicale, accompagnata da analisi storiche ed economiche approfondite, potrebbe forse nel tempo rivelarsi utile. Per questo motivo sono importanti le tre “Avvertenze” che concludono l’Introduzione al libro. Tre avvertenze che insistono tutte sulle difficoltà che incontrano una possibile nuova fase di liberalismo inclusivo e il consenso egemonico internazionale sul quale deve fondarsi.
Per concludere… tre avvertenze
La prima riguarda il fatto che il libro è stato scritto da due economisti, forse con una maggiore informazione storica, politologica e internazionale di alcuni dei loro colleghi. L’auspicabilità politica di una nuova fase di liberalismo inclusivo è solo una premessa ideologico-filosofica, seppur motivata quanto è necessario e possibile nel contesto di questo lavoro. Il grosso del libro tratta della sua possibilità nel tipo di capitalismo che sta sviluppandosi. Se non si supera un test di sufficiente realismo, se quella possibilità proprio non c’è e c’è invece il rischio che impegnandosi in questo tentativo si sprecherebbero energie e potrebbero avverarsi esiti peggiori, sarebbe inutile o controproducente porsi l’obiettivo politico di un liberalismo inclusivo. Come economisti, dimostrare l’esistenza di un sufficiente realismo dell’obiettivo politico, dunque una possibilità concreta di una nuova fase di liberalismo inclusivo nel nostro angolo di mondo, è stato il nostro sforzo maggiore. In una prima versione il sottotitolo suggerito dall’editor era “un futuro auspicabile per il nostro angolo di mondo” mentre noi insistevamo per “auspicabile e possibile”. Ma poiché la preferenza dell’editor per un solo aggettivo era insuperabile, abbiamo optato per “futuro possibile”. E siamo grati all’editor per averci costretti ad una scelta.
La seconda avvertenza ha lo scopo di frenare una comprensibile aspettativa da parte del lettore. Il liberalismo inclusivo, nelle sue diverse materializzazioni storiche, riguarda solo gli aspetti più generali di una nuova fase internazionale per i paesi economicamente avanzati retti da democrazie liberali. Ciò significa che questa nuova fase sicuramente contrasta strategie politico-economiche nazionali neoliberiste (che non rispettano l’inclusività sociale) o etno-nazionaliste (che non rispettano i principi di uno stato democratico di diritto). Essa però lascia aperta ai singoli stati una grande varietà di strategie politiche iscrivibili nel vasto genere del liberalismo inclusivo. Come abbiamo appena accennato per l’Italia, è di queste diverse strategie e tattiche che si discute nelle cronache e nei commenti politici di ogni singolo paese. Insomma, le nostre categorie non risolvono da sole il problema delle scelte politiche nazionali: stando alle loro dichiarazioni, nell’ambito del centrosinistra italiano le posizioni di Letta, Orlando, Bettini, Zingaretti, Guerini, Speranza, Renzi, Calenda stanno tutte dentro la categoria generale del liberalismo inclusivo, e forse ci sta pure, oggi, la posizione del Movimento 5 Stelle. Una scelta politica richiede dunque molte altre informazioni e valutazioni relative a circostanze economiche, sociali e culturali proprie del momento storico di ogni paese. Oltre che un giudizio non facile sulla affidabilità delle dichiarazioni dei vari leader politici.
La terza avvertenza riguarda le prove alle quali le democrazie liberali saranno chiamate nei prossimi decenni. Questa forma di governo è fragile e tollera male tensioni estreme –dovute a guerre, epidemie, dissesti ambientali, scarsità di risorse essenziali. E’ il frutto di un lungo e drammatico processo storico iniziato in Europa quattro secoli fa e giunto a maturazione nel secondo dopoguerra: la democrazia liberale non ha fondamenta culturali sicure altrove, se pur ne conserva nel nostro angolo di mondo. A proposito delle minacce ambientali, si rifletta soltanto alla difficolta’ di gestione dei conflitti distributivi che ne conseguiranno e alla facilità con la quale imprenditori politici spregiudicati (..e in una democrazia liberale si deve consentir loro di agire liberamente!) potrebbero profittare del disagio degli elettori per rovesciare le politiche imposte dalla necessaria riduzione dei gas-serra. E alle conseguenze nazionali e internazionali che ci sarebbero se ciò non avvenisse e il pianeta entrasse in una crisi ambientale drammatica e irreversibile. La prospettiva politica suggerita nel nostro libro crediamo sia auspicabile e possibile: fino a quando e in che misura saremo in grado di perseguirla?
Docente di Economia Politica all’Università Statale di Milano, nella Facoltà di Scienze Politiche. Ha scritto e scrive per quotidiani (‘Corriere della Sera’, ‘Repubblica’, ‘Unità’, ‘Il Sole 24 Ore’, ‘Il Foglio’) e riviste (‘Stato e Mercato’, ‘Il Mulino’).
Deputato dei Ds-L’Ulivo nella XIII Legislatura. Tra i più importanti teorici del Partito democratico, ha dedicato all’argomento due libri: “Il partito democratico. Alle origini di un’idea politica” (2003) e “Il partito democratico per la rivoluzione liberale” (2007)