di Giovanni Cominelli
Il 4 novembre 2018, a cento anni dalla conclusione della Prima guerra mondiale, è una straordinaria occasione per fare un rapido ceck up della condizione della memoria pubblica degli Italiani.
La vittoria “mutilata”
Quella data – oggi Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate, a suo tempo Festa della Vittoria – è stata fortemente valorizzata, già dal 1919, benché o proprio perché per il nostro Vate nazionale Gabriele D’Annunzio la suddetta vittoria fosse arrivata a noi pesantemente “mutilata”.
Il tentativo mussoliniano di restituircela nella sua integralità fu definitivamente spezzato dall’esito tragico della Seconda guerra mondiale. Da allora è progressivamente sprofondata nella memoria pubblica nazionale, man mano venivano a mancare per inesorabile legge biologica i 4 milioni di Italiani passati nelle trincee.
E’ rimasta salda solo nella memoria diffusa e dispersa delle ottomila e più comunità locali d’Italia, dove le piazze centrali sono ancora presidiate dai Monumenti ai Caduti costruiti per lo più con stili e retoriche eroico-imperiali nel primo dopo-guerra o dove ancora svettano gli alberi dei Parchi delle Rimembranze. Se la memoria nazionale poteva indulgere alla retorica della Patria, da utilizzare per fini politici contingenti, più dolente e autentico restava e permane il ricordo dei Caduti, i nomi scolpiti su lunghe lapidi, cui quasi ogni famiglia italiana ha dolorosamente contribuito.
L’erosione della memoria nazionale
Tuttavia il decadimento e l’erosione della memoria pubblica nazionale del 4 novembre lungo i decenni del secondo dopoguerra non sono stati affatto un evento fatale né si devono alla sovrapposizione di date nazionali più recenti e più divisive, quali il 25 aprile o il 2 giugno, come Giorgia Meloni ha recentemente sostenuto. Semmai, la reazione al divisivismo avrebbe dovuto favorire proprio il recupero di quella data unificante. Invece ha cessato di essere festività autonoma, essendo stata associata alla prima domenica di novembre con la Legge n. 54 del 5 marzo 1977.
Quest’anno fortunatamente il 4 novembre cade di domenica. Fu Azeglio Ciampi in un memorabile discorso del 4 novembre del 2005 a tentare di rilanciarla quale “giorno della memoria comune degli Italiani”, con motivazioni etico-politiche attualizzanti: “L’unità d’Italia, l’indipendenza e la libertà sono conquiste straordinarie… che vanno difese come capacità di cooperare per il bene comune, come desiderio di provare, anche individualmente, la gioia di fare qualcosa per il bene dell’Italia, per il suo prestigio nel mondo, per il benessere della nostra comunità”.
Il ritorno del sogno autarchico da destra a sinistra
Oggi la succitata Meloni approfitta della data per una campagna denominata “Non passa lo straniero”. Niente paura! Non si tratta più dei Longobardi del 568 né dei Francesi di Carlo VIII del 1494 né dei Tedeschi dell’operazione “Achse” (Asse) del maggio 1943, che pure al fascismo non sembravano stranieri.
I nuovi invasori usano mezzi subdoli e pacifici: essi sono Juncker, la Merkel, Soros, rappresentante della plutocrazia ebraica, le agenzie di rating, la grande finanza mondiale, persino Roberto Saviano, gli immigrati… insomma, scrivevano già le BR, è lo Stato imperialistico delle multinazionali (copyright Brigate rosse, anni ’70)…
Una boutade tragicomica di un gruppo di nostalgici del fascismo, con il loro 4,35% o di sinistra rosso-bruna alla Diego Fusaro?
Il fatto è che questo rilancio della patria autarchica una volta solo di destra, oggi anche di sinistra radicale, va nella stessa direzione autoisolazionista e di lotta di tutti gli Stati contro tutti gli Stati del duo Salvini – Di Maio. E costoro sono a tutt’oggi sostenuti dalla maggioranza degli elettori.
100 anni dalla Grande Guerra: Macron rilancia la memoria degli Europei
Ciò significa che la memoria della Prima guerra mondiale si è persa: dimenticate le cause, dimenticati gli effetti. A 100 anni dalla fine della Grande Guerra, l’idea di Patria è di nuovo in questione, oscillando ora il pendolo della memoria pubblica italiana verso l’estremità, prima delle piccole patrie locali, ora del nazionalismo autarchico, foriero di isolamento, conflitti economici, guerre.
E’ questa erosione e decadimento della memoria che ha spinto Macron a invitare più di cento leader del mondo per l’11 novembre prossimo a celebrare i 100 anni dalla fine della guerra non come una vittoria della Francia, ma come una sconfitta di tutta l’Europa, “un’inutile strage”, aveva scritto Benedetto XV, cui parteciparono oltre 60 milioni di uomini in armi, di cui 12 milioni caduti.
Egli ha lucidamente presente le poste in gioco della memoria e della storia, quando afferma: “…si stanno ripresentando tutte le fasi che hanno condotto l’Europa alla crisi del 1929”.
La speranza dell’Europa federale
Sì, ad un secolo di distanza, pare che la coscienza pubblica degli Europei e, in particolare, quella degli Italiani si stiano disperatamente riavvolgendo all’indietro. Né la memoria retorica alimentata per ragioni politiche contingenti né quella privata e dolente delle famiglie stanno più all’altezza della catena degli eventi. Così, mentre la storia, nel tempo della globalizzazione, torna a bussare prepotentemente alle nostre porte private, le persone ripiegano, alla ricerca di un illusorio riparo autarchico.
Macron va controcorrente, nella speranza attiva che la storia non sia destinata fatalmente a ripetersi una tragica terza volta, dopo la Seconda guerra mondiale.
La politica assuma le proprie responsabilità: un invito rivolto ai politici europei ad uscire dalla pigrizia intellettuale, dal torpore rassegnato, dai modesti calcoli elettorali del presente. La speranza si chiama Stati Uniti d’Europa, l’Europa federale, oltre l’Europa intergovernativa degli Stati nazionali, le cui leadership paiono oggi incapaci di traguardare il proprio passato secolare e di sollevarsi verso il futuro.
La pace: il miracolo di Schumann
E controcorrente va anche la conclusione della causa di beatificazione di Robert Schumann, uno dei padri dell’Europa unita, avviata nel 1990 dal vescovo di Metz Mons. Pierre Raffin. Tra “i miracoli” il suo più grande è stato quello di aver proposto nel suo discorso delle ore 16.00 del 9 maggio 1950 la CECA, Comunità del carbone e dell’acciaio, partner principali essendone Francesi e Tedeschi, che fino ad un lustro prima si erano massacrati a vicenda.
Schumann passava all’attuazione concreta della presa di posizione del 5 agosto 1943 di Jean Monnet, ispiratore di Schuman: “Non ci sarà pace in Europa se gli Stati verranno ricostituiti sulla base della sovranità nazionale… gli Stati europei sono troppo piccoli per garantire ai loro popoli la necessaria prosperità e lo sviluppo sociale. Le nazioni europee dovranno riunirsi in federazione”.
Come è evidente, il 4 novembre è una scadenza europea.
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.